Una mostruosità moderna: la procreazione assistita eterologa  –  di Carla D’Agostino Ungaretti

… oggigiorno tutta l’atmosfera che si respira tende alla soddisfazione del desiderio ad ogni costo, qui e ora, supportata dai lauti guadagni dei tecnici preposti. Dopo che si sono passati anni usando contraccettivi di ogni genere, evitando la procreazione per soddisfare il proprio egoismo, ora si pretende che, con uno schioccare delle dita, il figlio (finalmente voluto) arrivi.

di Carla D’Agostino Ungaretti

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zzfglcntsDopo la sentenza pronunciata dalla Corte Costituzionale qualche mese fa, si direbbe che  la fecondazione assistita eterologa sia entrata con prepotenza nella mente, nel cervello e nei progetti di moltissimi italiani, come se si trattasse di una moda sociale della quale non si può fare a meno senza fare la figura del fanalino di coda del mondo civile e come se non si trattasse di un problema tremendo e di difficile soluzione perché coinvolge l’essere umano tutto intero, nel corpo, nella mente, negli affetti e questi sono solo alcune delle variabili coinvolte. Il Ministro della Salute Lorenzin si è espresso al riguardo in termini prudenti, aggiungendo saggiamente: “ Devo far rispettare la legge. Tutti mi chiedono di fare in fretta, ma nessuno mi chiede di fare bene[1]. Ma come è possibile “far bene” in questa materia?

Il 15 giugno la Consulta ha depositato le motivazioni di questa sentenza che io non esito a definire “nefanda” (ma come è possibile definirla diversamente?) a rischio di attirarmi epiteti ben peggiori di “parruccona”: “Il diritto di avere figli è incoercibile. Il divieto della fecondazione eterologa crea una discriminazione economica, la provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia così come riconosciuta per le adozioni”.  

Così, legittimando la fecondazione artificiale eterologa, i giudici hanno demolito anche la quarta colonna portante della legge n. 40 sulla procreazione assistita dopo il divieto di produrre più di tre embrioni; dopo l’obbligo dell’impianto di tutti gli embrioni prodotti e dopo il divieto di diagnosi preventiva finendo, in pratica per abrogarla. Ormai, a quanto pare, la classica teoria della divisione dei poteri dello Stato – legislativo, esecutivo e giurisdizionale, formalizzata da Montesquieu nel XVII secolo e recepita da tutto l’Occidente – sembra in procinto di scomparire in Italia per l’insaziabile fame del terzo potere ansioso di fagocitare i primi due. Ma non è di questo problema del nostro diritto costituzionale che voglio parlare, ma osservare invece come la Corte Costituzionale italiana abbia adottato il modello di etica radical – massonica che ormai ci viene imposto dai fautori del Nuovo Ordine Mondiale, tutti principi condannabili, non solo cristianamente (perché contro la sacralità della vita e del matrimonio) ma anche perché contrari al comune buon senso di una società ben ordinata.           

         Voglio perciò riflettere un po’ sulle  motivazioni della Corte. Anzitutto, che cosa significa incoercibile? E’ incoercibile l’impulso o il desiderio umani che non possono essere repressi con autorità, quindi nessuno deve rassegnarsi a non avere figli, se li desidera, perché è un suo inalienabile diritto. Ma è un diritto avere figli? Dico subito che io non lo ritengo tale e, cattolica “bambina e parruccona” come sono, aggiungo che, per una volta, mi trovo abbastanza d’accordo con un giornalista laico, Maurizio Maggiani[2].  La procreazione non è un diritto perché è una condizione umana, uno stato in cui ci si può ritrovare, non derivanti dalla cultura o dalla civiltà del popolo cui si appartiene, come lo sono i diritti, ma dalla conservazione e dall’evoluzione della specie, per cui solo gli individui costituzionalmente più sani e più forti – tra i quali io inserirei quelli capaci di procreare che poi, senza loro particolare merito o demerito, sono la maggioranza – o meglio adattabili alle possibili mutazioni ambientali sono quelli che contribuiranno alla prosecuzione della specie.

        Può darsi, quindi, che dal punto di vista strettamente biologico e antropologico, inquadrato in uno schema evolutivo, l’impossibilità di procreare possa essere interpretata come una condizione utile a mantenere l’equilibrio naturale della specie, assecondando lo sviluppo umano secondo gli schemi previsti da Dio ovvero, per chi non crede, secondo la legge naturale. Ma – e a questo punto non sono più d’accordo con lui – Maurizio Maggiani osserva che è lecito opporsi a questa condizione o stato di natura, percepiti come disumani, con tutti i mezzi scoperti dalla scienza e quindi anche con metodi artificiali, come quelli di cui sto parlando. Ma quale legge, o stato, o  condizione, o evento di natura sono totalmente “umani”? Che dire allora della malattia, della vecchiaia, della morte che spesso frappongono insormontabili ostacoli alla vita nel momento in cui ci sembra che le nostre potenzialità e la nostra creatività abbiano raggiunto l’apice? Ah, perdonatemi: dimenticavo che il pensiero moderno vorrebbe eliminare anche la vecchiaia. Con la morte sarà difficile che ci riesca e allora si provvederà, con un taglio netto, in altra maniera più sbrigativa  per non crearci troppi imbarazzi.

      Certamente la sterilità può essere fonte di dolore e frustrazione negli uomini e nelle donne e se riconosciamo, come si ritiene comunemente, che si tratti di una malattia  e che il diritto alla salute è ormai un principio tutelato in tutti gli ordinamenti giuridici – la prima domanda che mi viene in mente è: perché allora la scienza moderna non cerca di debellare la sterilità, così come nel XX secolo sono state debellate tante malattie che nei secoli passati mietevano vittime a iosa?  Pensiamo solo alla tisi polmonare, che nell’ ‘800 ispirò innumerevoli opere letterarie e musicali, sconfitta solo dalla scoperta della streptomicina; alla poliomielite che, fino alla scoperta del vaccino Sabin, fu l’incubo di tutti i genitori del ‘900; a certe forme di cancro oggi curabili e, in un futuro abbastanza prossimo, anche guaribili. Perché allora la scienza si è orientata verso certe pratiche procreative innaturali, costosissime, certamente non indolori e soprattutto dalle conseguenze fisiche e psicologiche ancora non conosciute del tutto?

       Probabilmente la prevenzione della sterilità sarebbe perfettamente realizzabile attraverso un’appropriata educazione delle giovani generazioni, attraverso una presa di coscienza di tutta l’umanità e la revisione di certi stili di vita che oggi vanno per la maggiore. Forse mi attirerò anche le critiche di molti amici di Riscossa Cristiana se io – che ho lavorato per ben 40 anni nel più importante Ente pubblico d’Italia –  sostengo che buona parte della responsabilità vada attribuita alla smania carrieristica di molte donne che rinviano la maternità a un’epoca in cui il loro orologio biologico comincia a dare segnali di rallentamento e necessita di essere ricaricato con batterie che purtroppo non esistono in natura. Invece, la prevenzione della sterilità non riscuote gli stessi entusiasmi delle nuove tecniche procreative e sarebbe interessante cercare di capirne il perché.

      Ma in quella direzione il discorso si allargherebbe troppo, perciò torniamo, per ora,  ai “diritti incoercibili”. Il mondo moderno si è ubriacato dei “diritti” senza rendersi conto (o forse se ne rende conto benissimo, ma preferisce privilegiare l’egoismo umano) che il “diritto al figlio” contraddice secoli di filosofia della persona, che attribuisce all’essere umano quella stessa dignità per la quale è ritenuto condannabile ovunque l’omicidio. Sul CORRIERE DELLA SERA Paola Trombetta si domandava qualche tempo fa: “ Come si può impedire di diventare madre a una donna che non produce più ovociti a causa di menopausa precoce, tumore all’ovaio, malattie genetiche?”[3] . La risposta più logica, a mio giudizio, dovrebbe essere:  “Curandola mediante la prescrizione delle terapie conosciute e proprie di quelle patologie, potenziandole e stanziando i fondi necessari alla ricerca in questa direzione, il che tutelerebbe anche il figlio da quelle malattie genetiche che rimarrebbero difficili da individuare con la procreazione eterologa”. Invece la giornalista si rammaricava che la donna in questione “fosse costretta ad andare all’estero, affrontando spese e rischi dovuti a procedure non sempre perfettamente eseguiti”, come se si trattasse di acquistare un oggetto raro o di lusso ancora non disponibile sul mercato italiano.

      La procreazione medicalmente assistita non rappresenta una vittoria della scienza medica come quelle che ho citato poc’anzi, ma solo il trionfo della tecnologia. Le coppie che vi fanno ricorso, sterili erano prima del trattamento e sterili rimangono dopo; le cause della loro sterilità non vengono individuate e il loro problema rimane. Ma oggigiorno tutta l’atmosfera che si respira tende alla soddisfazione del desiderio ad ogni costo, qui e ora, supportata dai lauti guadagni dei tecnici preposti. Dopo che si sono passati anni usando contraccettivi di ogni genere, evitando la procreazione per soddisfare il proprio egoismo, ora si pretende che, con uno schioccare delle dita, il figlio (finalmente voluto) arrivi. Ma si dimentica, anche perché i medici non lo spiegano chiaramente, che gli organi umani – e specialmente quelli dell’apparato riproduttivo femminile – sono strettamente collegati l’uno all’altro e il malfunzionamento di quest’ultimo spesso può rivelare patologie organiche o psicologiche che andrebbero curate preliminarmente. Ma come realizzare tutto questo in un mondo che ha sempre fretta?

      Così  nessuno si preoccupa delle incognite, dei rischi, delle tragedie umane che possono facilmente presentarsi attuando una procedura innaturale che fino a pochi anni fa sarebbe stata giudicata fantascientifica. Il tristissimo episodio verificatosi all’ospedale Pertini di Roma – che non doveva essere una fecondazione eterologa, ma ha finito per diventarlo – è, a mio giudizio, altrettanto raggelante quanto sconvolgente, perché paradigmatico di quanto io sostengo. A causa di una vecchia legge del 1939 ancora in vigore, che ragionevolmente attribuisce la paternità e la maternità alla coppia “gestazionale” o “partoriente” (e come poteva stabilire diversamente?) ora – a causa di un evento che io non esito a definire frutto della perdita del senno da parte della tecnologia moderna – i veri genitori di quei due disgraziati gemellini concepiti con quell’abominevole sistema saranno estromessi per sempre dalla vita e dall’educazione dei loro figli i quali, solo quando avranno raggiunto la maggiore età, potranno (eventualmente) promuovere la causa giudiziaria di riconoscimento di paternità. Nel frattempo, se il Parlamento o gli “onnipotenti” giudici lo riterranno possibile e opportuno, si potrà dare origine a una sorta di famiglia allargata (come oggi va tanto di moda) nella quale i veri genitori biologici avranno forse un non meglio definito ruolo di zii (ma con quali diritti e quali doveri?) sapendo invece che quei “nipoti” sono la loro carne e il loro sangue. Non è mostruoso tutto ciò? Il geniale vignettista Vincino ha descritto con tenerezza e partecipazione la vicenda di quei due gemellini, paragonandola ai piccoli cristiani perseguitati e in fuga dall’Iraq con i loro genitori, rappresentando una sorta di Sacra Famiglia in fuga verso l’Egitto con Maria che stringe tra le braccia due bambini invece di uno solo. “Sono nati nella clandestinità i due gemelli contesi”[4] . In questa vignetta io aggiungerei, tra le braccia di Maria, un terzo bambino: il piccolo tailandese Gammy, sfuggito all’aborto selettivo perché down e per questo motivo rifiutato dai committenti australiani. Ma le braccia di Maria sono talmente larghe che ben possono accogliere tutte le disgraziate creature vittime dell’aborto in questo mondo perverso.

            Ma ancora più mostruosa della situazione abnorme che si è creata è la preoccupazione con la quale si pretende di gestire questo tipo di fecondazione. Non più di 10 cicli di donazione per ogni fornitore, al fine di evitare il rischio della consanguineità (il mondo moderno ha ancora il tabù dell’incesto, ma presto crollerà anche quello e allora non sarà più necessario stabilire dei limiti alla donazione di gameti); età massima di 35 anni per le donne e di 45 per gli uomini, per garantire la migliore “qualità” delle cellule usate nel procedimento; indennizzo dei fornitori e loro anonimato, ma loro rintracciabilità in caso di malattie genetiche. Tutto ciò per garantire la migliore qualità possibile del prodotto artigianale finito (cioè del figlio) e garantire le agenzie preposte a questi procedimenti da fastidiose e costose conseguenze giudiziarie in caso di prodotto malriuscito.

      Ma sono ipotizzabili anche altre conseguenze. Data la “liquidità” del nostro sistema  di vita, può darsi che tra qualche anno la nostra “forma mentis” diventerà ancora più liberale e allora perché dovremmo vietare ai genitori biologici di soddisfare la loro umana curiosità di conoscere un giorno coloro ai quali hanno trasmesso il loro DNA (anche loro ne hanno il diritto, no?) se questi ultimi, divenuti maggiorenni, possono invece ricercare i genitori biologici, magari andando a riaprire antiche ferite che si sono a stento rimarginate? Seguendo la “liquida” logica che domina questo modo di pensare, perché non dovremmo permettere una opportuna selezione degli embrioni? Non è umano e naturale che i genitori desiderino figli sani e che in qualche modo somiglino loro? E se una coppia di italiani scoprisse che il donatore di spermatozoi o la donatrice di ovuli erano negri[5]? O viceversa se una coppia di nigeriani si ritrovasse un figlio bianco o con caratteri somatici orientali? Il ministro Lorenzin vorrebbe escludere questa eventualità, “perché non siamo al supermercato”, ma la maggior parte dell’intellighenzia scientifica nostrana, la ritiene naturale ed accettabile e chi ci dice che il legislatore avrà l’autorità necessaria per evitare, in un futuro più o meno prossimo, una vera e propria selezione eugenetica, quando la mentalità corrente avrà metabolizzato queste novità?

      Il “prodotto bambino” non conta nulla, anche se la Corte Costituzionale ha stabilito che, come per le adozioni, la provenienza genetica non rappresenta un imprescindibile requisito della famiglia. Con tutto il rispetto per la Suprema Corte, questa umile cattolica “bambina” non è d’accordo, perché questa motivazione non tiene conto della differenza – peraltro ben conosciuta nella letteratura psicologica moderna – tra l’adottato abbandonato (cui può essere assimilato il bambino concepito con gameti estranei a quelli dei suoi genitori legali) e l’adottato orfano.

      L’istituto dell’adozione, proveniente dal diritto romano, mirava a dare un erede a chi non ne avesse, e quindi a tutelare primariamente gli interessi dell’adottante garantendolo contro la possibile dispersione del suo patrimonio tra soggetti a lui estranei o sconosciuti. Nel XX secolo l’evoluzione della sensibilità sociale verso i minori rimasti privi di figure genitoriali ha fatto sì che l’adozione servisse a dare a quei bambini una famiglia capace di dare loro amore, protezione ed educazione, ma non ha semplificato i problemi educativi che sorgevano e possono tuttora sorgere dall’adozione. Ciò vale sia per colui che è stato abbandonato che per l’orfano. Mentre quest’ultimo può elaborare, come inevitabile, la sua condizione iniziale di orfano accettando la sua nuova famiglia, amandola e sentendosi parte integrante di essa, il primo sa che in qualche parte del mondo vive un suo vero genitore, o tutti e due, che (nel caso di procreazione eterologa) hanno anche ricevuto un lauto indennizzo per la loro prestazione e non si interessano di lui e del suo destino perché anche essi hanno la loro vita e i loro problemi. Hanno mai riflettuto su questo i paladini ad oltranza della fecondazione artificiale?

      Ma non sono certo solo questi i problemi che scaturiscono da queste innovazioni tecnologiche alle quali l’umanità non sembra ancora del tutto preparata. Negli Stati Uniti, patria di tutte le avanguardie, è stato vietato il disconoscimento della paternità, in caso di eterologa perché, a quanto pare, molti di padri sociali e non biologici, si sentivano estranei a un figlio concepito senza il loro contributo e cominciavano a rifiutarlo[6]. Reazione psicologica, questa, comprensibile anche se non certo lodevole, perché questa eventualità avrebbe dovuto essere messa in conto quanto si è programmata a tavolino la famiglia eterologa. Ma che vita familiare sarà quella della disgraziata creatura il cui padre sarà costretto ad esserle padre solo perché costretto dalla legge?

      Ecco la fragilità di queste famiglie “artificiali”, facilmente immaginabile “a priori” da chiunque abbia un minimo di buon senso, dote che, a me sembra, l’umanità stia perdendo sull’onda di quello pseudo progresso tecnologico che ha gli effetti di una colossale ubriacatura che fa perdere il senso della realtà e della misura perché dà all’uomo la sensazione dell’onnipotenza, ma poi ha gli effetti che tutti conosciamo.

       Mi domandavo poc’anzi perché la prevenzione e la cura della sterilità non suscitino lo stesso interesse scientifico negli studiosi e lo stessa approvazione da parte del pubblico. Forse una convincente spiegazione ce la dà il filosofo Emanuele Severino citando Hans – Georg Gadamer: il progresso della tecnica è stato troppo rapido rispetto alla nostra capacità di farvi corrispondere un adeguato sistema etico – giuridico[7]. Motus in fine velocior, ha scritto il Prof. de Mattei, e di questo io penso che anche noi cattolici abbiamo una certa responsabilità perché abbiamo consentito alla tecnica di prendere il sopravvento sulla morale cristiana. Ma Severino, da buon laico, osserva che il processo in cui consiste la storia dell’Occidente – che ormai è la storia dell’intero Pianeta – conduce inevitabilmente a una realtà in cui, di fronte all’aumento della potenza tecnologica, le proteste della coscienza morale perderanno sempre più valore e importanza perché non è più accettata la morale tradizionale secondo la quale ci sono dei limiti che non vanno violati perché posti da Dio. Con la sua famosa affermazione “Dio è morto”, Nietzsche intendeva proprio questo: la filosofia moderna autorizza la tecnica a oltrepassare ogni limite posto fino a quel momento dalla tradizione filosofica, teologica e morale.

      Ho forse torto a pensare che tutto ciò sia mostruoso e opera del “nemico”?

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[1] Cfr. LA STAMPA, 23.7.2014, pag. 14.

[2] Cfr. “Ma fare figli non è un diritto”, IL SECOLO XIX, 13.4.2014, pag. 1.

[3] Cfr. IO DONNA, 22.3.2014, pag.. 232.

[4] Cfr. IL FOGLIO QUOTIDIANO, 9.8.2014, Pag. 1

[5] Preciso che uso intenzionalmente l’aggettivo “negro” invece di africano, o di colore, o un altro termine politicamente corretto perché non lo ritengo affatto discriminante o offensivo. L’aggettivo “negro”, derivante come tutti sanno dal latino “niger” designa, nella lingua italiana, gli uomini e le donne di pelle nera, mentre l’aggettivo “nero” designa un oggetto di quel colore: un abito nero, un’automobile nera. Solo negli Stati Uniti del XIX secolo l’aggettivo “nigger”, anch’esso di origine latina, acquistò il significato dispregiativo che ha tutt’ora perché era applicato agli schiavi rapiti in Africa dalle navi negriere e privi di qualunque diritto civile. Perciò, solo chi segue pedissequamente e acriticamente la moda della political correctness americana può scandalizzarsi.

[6] Cfr. Claudia Navarini, ETEROLOGA/ La fragilità di una “famiglia” che si fonda sull’egoismo. IIL SUSSIDIARIO, 29.7.2014.

[7] Cfr.  LA STAMPA, 30.7.2014, pag. 1.

4 commenti su “Una mostruosità moderna: la procreazione assistita eterologa  –  di Carla D’Agostino Ungaretti”

  1. Condivisibile in pieno. Particolare apprezzamento per la sottolineatura del fatto che molte fanno di tutto per evitare maternità non volute, altre vogliono il figlio a tutti i costi. In pratica l’uomo si pone come Dio, vuole decidere tutto sfruttando le conquistate capacità tecniche di farlo. È questo il cuore della questione.

  2. Io direi che la procreazione assistita (meglio chiamarla generazione extracorporea) è una mostruosità sempre, che sia omologa o eterologa e una legge dello Stato che la consente è una legge gravemente ingiusta. Il male è nel modo di procreare che è contro il disegno del Creatore. Perchè il sorgere della vita umana, che avviene nel momento del concepimento – ossia nel momento della fusione delle due cellule germinali recanti il patrimonio genetico paterno e materno – è atto creativo di Dio. Ed è Suo mirabile disegno creare la vita del figlio (figlio che Lui già conosce perchè come dice al profeta Geremia così dice a ciascuno: ‘Prima di formarti nel grembo materno io ti conoscevo’) attraverso un atto unitivo degli sposi. Nella procreazione assistita l’atto sponsale è sostituito da atti medici e l’inizio della vita del figlio avviene in una provetta di laboratorio anzichè dentro al corpo della donna. Il Signore, creando la vita del figlio (ricordiamoci che siamo tutti figli!), lo affida alla madre perchè lo accolga nel suo grembo, unico luogo dove è protetto e difeso. Infatti, l’embrione che si trova al di fuori del grembo materno non ha nessuna difesa: è un nuovo schiavo alla mercè dei desideri e degli interessi di coloro che così lo hanno ‘prodotto’. E oltre a questo, dobbiamo guardare alla situazione degli embrioni crioconservati (il congelamento è connesso alla tecnica perchè può sempre capitare che non sia possibile impiantare subito gli embrioni prodotti). Questi embrioni crioconservati sono persone che, già impossibilitate di crescere e svilupparsi, sono impedite perfino di morire!!! Oltre a questo, la fecondazione assistita (sia omologa che eterologa) è sempre eugenetica. Domandiamoci, infatti, quale Centro fornirebbe ai suoi clienti ‘prodotti’ (leggi figli!) difettosi, venuti male???
    Ma veniamo all’ eterologa. Qui abbiamo il desiderio della donna di concepire un figlio privato della genitorialità paterna. Guardiamo la situazione dalla parte del figlio, del bambino, dalla parte cioè del cittadino più debole e indifeso che lo Stato avrebbe il dovere di proteggere, pena diventare uno stato totalitario e non democratico. Ebbene, sappiamo quali sofferenze, quali difficoltà,abbia un bambino che sia orfano del padre, ancora di più se il padre non è morto ma lo ha abbandonato. Ma quale situazione, peggiore di tutte, può essere quella di un bambino la cui madre vuole generarlo privandolo del padre? Qui vediamo emergere la cultura dominante di una ideologia femminista che, partendo dalla difesa dei diritti della donna (anche giustamente) poi prevarica sull’uomo, in questo caso eliminandolo dalla generazione del figlio !!!

  3. Articolo veramente eccellente e scritto con grande chiarezza e precisione, doti piuttosto rare negli scritti degli intellettuali di oggi, un articolo che condivido pienamente. Il punto fondamentale e’ che nella societa’ italiana attuale il figlio fino a tutto il terzo mese di gravidanza e considerato un oggetto che la madre ha il diritto di rifiutare ed eliminare a suo insindacabile giudizio ( aborto, legge 194) o che la donna ha diritto di ottenere a
    qualunque costo, non importa quali siano le conseguenze per il nascituro. Egli/ella e’ una “non persona” come gli schiavi negri in Nordamerica, la cui uccisione la Corte Suprema degli Stati Uniti nel 1857 dichiaro’non poter essere considerata un omicidio perche’ non erano “persone ” giuridiche.

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