Correva l’infelice e violento anno 1980, quando l’impavido editore Giovanni Volpe sfidò il potere ecclesiale, costituito dai nuovi teologi e dai politicanti nell’area cattocomunista, pubblicando uno splendido e perciò detestabile/censurabile libro del renitente Nino Badano, E abitò tra noi.
di Piero Vassallo
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Ai fedeli resi immemori dalla festa buonista, è doveroso rammentare che Nino Badano fu una delle più limpide figure di quel Novecento cattolico, che ha affrontato con sapienza e con coraggio esemplare le avverse e impietose correnti della modernità attive in ambiente clericale.
Refrattario all’ideologia del fascismo movimentista, Badano aveva sopportato con dignità il decreto ingiusto, che lo obbligava al confino. Una punizione non motivata, ché Badano aveva dichiarato (nel corso di una conversazione telefonica intercettata dalla polizia politica) che neppure il duce aveva diritto ad istigare all’odio. Aveva perdonato con la leggerezza del cuore, che solo le anime benedette possiedono.
E più che perdonato: non si lasciò accecare dal rancore e tenne fede ai doveri verso la patria, anche se al governo stavano uomini di sentire diverso dal suo. Quando la nazione s’impegnò nella guerra d’Etiopia, Badano, arruolatosi come volontario, partì per il fronte e si comportò da eroe, superando in bellezza molti dei suoi commilitoni in camicia nera.
Nella splendida regola dello junior, scritta su commissione dell’Azione cattolica, e ripubblicata negli anni Ottanta dalla sorella Emilia, Nino Badano aveva peraltro scritto: “Servi la Patria con amore. Non solo con fedeltà assoluta, non solo con onore immacolato, non solo donando la parte migliore di te stesso, anche la vita se occorre, questo molti lo sanno fare. Ma tu devi servire la Patria con amore. E’ molto di più, è infinitamente di più amare che dare la vita”.
Non erano chiacchiere. Durante il Ventennio, la morale pubblica dei giovani cattolici consisteva nel vincere la sfida con l’ideologia, dimostrando coi fatti la superiorità delle virtù evangeliche nel servizio alla patria. Fatti non canzoni da recitare per la claque e/o per il salotto illuminato.
Al ritorno dall’impresa etiopica, Badano trascorse alcuni anni in povertà, lavorando nelle redazioni dei più modesti e defilati periodici d’area cattolica. Alla scoppio della seconda guerra mondiale, fu richiamato e inviato come ufficiale al fronte greco – albanese.
L’8 settembre del 1943 fu fatto prigioniero dai tedeschi, internato in un lager e sottoposto ad un regime durissimo. Badano tuttavia non fu tentato dalla ribellione e dalla sete di vendetta. E nell’implacabile dopoguerra contribuì, insieme con mons. Ronca e Luigi Gedda, alla riabilitazione di quegli esponenti del fascismo vecchio e nuovo, che si dichiaravano disposti a schierarsi a difesa della civiltà cristiana.
Nei giornali che Badano diresse, “Il Quotidiano”, “Il Giornale d’Italia”, “Il Centro”, ebbero spazio alcuni intellettuali che avevano militato nel Msi di Arturo Michelini: Fausto Gianfranceschi, Fausto Belfiori, Enzo Natta, Oddo Bucci, Piero Vassallo ecc.
Badano fu grande e sincero amico di Giano Accame, al quale fu vicino nei momenti difficili della sua carriera di giornalista scomodo. Fu prezioso collaboratore di Giovanni Volpe, che pubblicò due suoi testi controcorrente, I primi giorni della Chiesa e gli ultimi e Abitò tra di noi, un testo in cui la pietà indossa la veste di uno splendido stile.
Molti amici ignoravano che il direttore aveva sofferto lungamente a causa del fascismo perché Badano non pronunciò mai parole dettate dall’amarezza e dal rancore. Assetato di giustizia non indossò la veste sordida del giudice paroliere.
Abitò tra noi è una aperta sfida ai soffiatori del vento che aveva travolto e dominato il Concilio ecumenico Vaticano II e il torbido postconcilio. L’orizzonte cattolico era già ingombrato da un pensiero salito a Roma dalla fine occidentale del mondo. A quel vento imperioso e festante Badano si oppose affermando le verità indeclinabili, nonostante l’assordante brusio dei teologi scalpitanti/modernizzanti.
Badano osava tuttavia sfidare la sociologia grondante dalle pagine della nuova teologia rammentando la più inattuale, la più scandalosa delle beatitudini, l’abbandono fiducioso dei poveri alla misericordia di Dio, “oggetto primo e quasi unico della predicazione cristiana”.
Prima del Vaticano II , infatti, “I fedeli erano guidati a riconoscere nella povertà, nelle privazioni, nelle ingiustizie, nelle malattie la volontà di Dio e ad accettarle serenamente come promesse di un premio senza fine”.
Il vento della mondanità, soffiando fra i banchi dei padri conciliari, aveva svalutato la rassegnazione dei fedeli al sovrano e misterioso volere di Dio. Invece di ripetere l’ammonimento di Gesù “non preoccupatevi di ciò che mangerete, si ripete che ansia dei cristiani dev’essere la giustizia sociale. Non la fiducia in Dio, non l’abbandono alla sua provvidenza si predica, ma la liceità della rivoluzione per la giustizia”.
L’incensato don Lorenzo Milani, infatti, declinava il verbo mondano della teologia rivoluzionaria: “O con Dio contro i poveri o senza Dio con i poveri”.
Quale segno dell’inversione in atto, Badano citava l’inno demenziale di un vescovo sudamericano, Pedro Casaldaliga: “Per anello un callo alle mani – monsignore tagliava il riso – monsignore falce e martello mi chiameranno il sovversivo, risponderò che lo sono – ho la fede del guerrigliero – e l’amore della rivoluzione – incito alla sovversione – contro il potere e contro il denaro – credo nell’internazionale”.
I preti progressisti, che contemplavano il mondo con l’occhio di Polifemo, formulavano iperboliche ed incendiarie sentenze sul capitalismo, grida nelle quali si specchiava il soqquadro della teologia postconciliare, cioè il risultato della obliqua, inconsapevole recezione degli errori diffusi dall’Occidente liberal-californiano: “Preti e cristiani modernisti approvano divorzio e aborto perché una società ingiusta non può esigere dal popolo l’osservanza di leggi morali tanto severe”.
Badano non si limitò a censire i deliri del clero modernizzante ma indicò la loro vera fonte: “Dal messaggio Ad universos homines presentato nei primi giorni del Concilio era evidente l’impegno di far passare una concezione della religione tutta orientata verso l’uomo e nell’uomo specialmente verso i beni temporali. Qualche vescovo ha segnalato che il messaggio considerava soprattutto i beni umani e temporali e troppo poco i beni spirituali ed eterni: teneva conto soprattutto del bene della città terrestre e troppo poco della città celeste”.
A suggello del suo perfetto ragionamento, Badano citava una sentenza di Santa Teresa d’Avila: “Quanto meno godremo in questo mondo, tanto maggiore sarà il nostro gaudio nell’eternità, dove le mansioni saranno in proporzione dell’amore con cui avremo imitato la vita di Gesù”.
La denuncia di Nino Badano fu sepolta sotto lo squillante, servile silenzio dei media laici e cattolici. Ma la sua tempestiva, profetica diagnosi della crisi cattolica è oggi confermata puntualmente dal delirio orizzontale, che agita la chiesa di un papa che sembra incapace di ostacolare il vento sollevato dal continente in cui si celebra la fine dell’eroismo cattolico.
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fonte: blog dell’Autore
2 commenti su “Una predizione di Nino Badano – di Piero Vassallo”
Di Nino Badano bisognerebbe ripubblicare anche “I primi e gli ultimi giorni della Chiesa” Un commento agli Atti degli Apostoli profetico per i nostri giorni.
anche se impiegato amministrativo (correttore di bozze) ho lavorato al giornale fino alla sua chiusura di aprile 1964. La volonta’ di Paolo vi di favorire Avvenire d’Italia e chiudere la testata nata nel 1944 indignò me e tutti i dipendenti (esclusi i giornalisti assunti dal giornale del Vaticano). Paolo Puteo 3403453232.