Il giurista e professore universitario Ubaldo Giuliani-Balestrino, ordinario di Diritto penale nell’Università di Torino, lancia, con questa intervista a «Riscossa Cristiana», un’idea al mondo politico: varare una legge che consenta ai coniugi, all’atto del matrimonio, e in sede civile, di impegnarsi a non ricorrere mai né alla separazione né al divorzio.
Intervista di Luciano Garibaldi
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A quattro giorni di distanza dall’inizio del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia, esce oggi, primo ottobre, nelle librerie il lavoro di cinque Cardinali contro ogni apertura ai divorziati. Il libro, che ha per titolo «Nella verità di Cristo. Matrimonio e Comunione nella Chiesa cattolica», vede in primo piano la firma del Cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina delle fede, nominato da Papa Benedetto XVI e fatto Cardinale nel Concistoro di febbraio. Al suo seguito, prendono netta ed inequivocabile posizione i Cardinali Raymond Burke, Carlo Caffarra, Velasio De Paolis e Walter Brandmüller. In previsione dell’ampia discussione che di sicuro si aprirà in seno al Sinodo dei Vescovi, è di sicuro interesse, prima ancora che religioso, giuridico e legale, la proposta avanzata da un illustre giurista, che potrebbe porre fine alle diatribe e agli scontri ideologici anche ai vertici ecclesiastici, lasciando ogni responsabilità alla scelta degli autori del patto matrimoniale. Lo abbiamo intervistato.
– Professor Giuliani-Balestrino, in un recente scritto, Lei ha ipotizzato la possibilità di rinunciare alla facoltà di divorziare, oggi consentita dalla legislazione in atto. Vuole spiegarci come si potrebbe realizzare questo progetto?
Come ben sappiamo, la possibile scelta di escludere la prospettiva del divorzio è negata, dalle leggi vigenti, a chi vuole contrarre il vincolo matrimoniale. Oggi, chi si sposa sa che il divorzio è ammesso dal nostro ordinamento. E tra i danni cha arreca il divorzio, il più invisibile – ma uno tra i più gravi – è il pensiero, è la prospettiva del divorzio. I coniugi italiani sanno che alla prima crisi del loro rapporto l’altro coniuge potrà divorziare; che si vive insieme, ma con l’idea che la via della rottura è aperta.
– E’ giusto che la facoltà, il diritto di divorziare, non sia rinunziabile?
A mio convincimento, no. Ciò tanto più che molti Stati nord americani ammettono da tempo il covenant marriage, ossia la facoltà degli sposi di ridurre, tanto al momento del matrimonio quanto dopo, i casi di divorzio. So bene che, contro questa mia opinione, si possono addurre vari argomenti.
– Quali?
Una prima obiezione potrebbe essere questa: la facoltà di chiedere il divorzio non è mai stata ritenuta rinunziabile da alcuno, nel quarantennio abbondante succeduto alla legge che ha introdotto il divorzio in Italia. Il fatto è vero. E si può sostenere che una prassi così consolidata e unanime ha il valore di una legge.
– Come ovviare a una tale prevedibile osservazione?
Non c’è che una strada: ovvero, che la facoltà di rinunziare al diritto di chiedere il divorzio venga istituita da una nuova legge. Il legislatore italiano ha stabilito che il matrimonio è un contratto che ognuna delle due parti contraenti può porre nel nulla ricorrendo al divorzio. Con ciò, il matrimonio è divenuto un rapporto “disponibile”.
– Se la sua proposta venisse accolta dal Parlamento e diventasse legge, verrebbe a crearsi una contrapposizione tra coniugi religiosi (tenuti dalla Chiesa a rinunziare alla facoltà di divorziare) e coniugi agnostici.
La risposta a detta obiezione è semplice. Alla convenzione prematrimoniale di rinunzia alla facoltà di divorziare potrebbero ricorrere anche laici, atei, non cattolici, islamici e via dicendo. Non vi sarebbe nessuna violazione del principio di uguaglianza.
– Un’ altra obiezione alla sua proposta potrebbe essere quella che – oggi – l’opinione pubblica è favorevole al divorzio.
Da un lato, l’opinione pubblica è favorevole a che nel nostro ordinamento esista il divorzio: tuttavia non è mai stata – almeno fino ad oggi – posta di fronte alla proposta della rinunziabilità (libera e spontanea) alla facoltà di divorziare. Un conto è voler proibire il divorzio, un conto è dire: “Chi preferisce, può liberamente rinunziare alla facoltà di richiedere il divorzio”. Peraltro dobbiamo tener presente che i frutti avvelenati del divorzio (costi economici, delitti, padri che non riescono più a vedere figli, divorziati che sono obbligati a coabitare perché non possono sostenere il peso economico di due case, difficoltà nell’educare i figli, aumento vertiginoso delle separazioni coniugali e via dicendo) hanno fatto molto diminuire gli entusiasmi iniziali a favore del divorzio stesso.
– Effettivamente si riflette poco su questa serie di mali causati dalla legge sul divorzio.
Ma c’è di peggio. Il divorzio è tra i coefficienti di alcuni tra i massimi mali della società contemporanea: in particolare, della decisione di non avere figli, della solitudine, della depressione. L’idea che il matrimonio può – in ogni momento – sfasciarsi, induce a non caricarsi del peso dei figli e della loro educazione: peso che dura – di regola – per vari anni e , talvolta, per moltissimi anni. E ciò porta a quel “suicidio demografico” dell’Europa, denunziato tanto da Papa Benedetto XVI quanto dai demografi: tra breve l’Europa potrebbe divenire islamica per mancanza di nascite nelle famiglie non musulmane. Inoltre, è in crescita il numero delle persone sole che proprio perciò rischiano di non curarsi o di non curarsi abbastanza e che muoiono senza essere assistite da alcuno. Infine, oggi le torme dei depressi sono infinite. Tra le schiere dei depressi (si dice pure “stressati”) molti sono i divorziati. E la depressione favorisce il suicidio, la pazzia, la delinquenza.
– Contro la proposta da lei formulata, professore, si potrebbe avanzare un’ulteriore obiezione, particolarmente insidiosa. Si potrebbe sostenere che la distinzione tra coloro che scegliessero il matrimonio dissolubile e coloro che scegliessero il matrimonio “rafforzato” finirebbe per separare i cattolici praticanti dal resto della società.
Sì, ma, a mio giudizio, non si tratterebbe di un male. Anzitutto, va ricordato che – tra i pensatori ebraici – non tutti deplorano il ghetto. La separazione dalla maggioranza della società ha, storicamente, consolidato le comunità israelitiche. Molti ebrei, pur ammettendo che l’origine del ghetto fu la persecuzione, ritengono positive le conseguenze del ghetto. Nulla impedisce che a detta convinzione s’ispirino pure i cattolici. Ma – ciò che conta di più – va ricordato come il Cristianesimo abbia permeato prima la società e molto dopo lo Stato. A poco a poco, i pagani si convertirono: ma soltanto alla fine del IV secolo l’imperatore Teodosio proclamò il Cristianesimo religione dell’Impero. Oggi che il Cristianesimo è (o sembra) in minoranza, occorre riprendere la battaglia iniziando dalla riconquista della società.
– Che cosa intende per “riconquista della società”?
Bisogna dimostrare che i cattolici sono meno depressi e più felici dei neo-pagani: hanno più figli, matrimoni più stabili, meno suicidi, meno casi di pazzia e di delinquenza, si ammalano meno di Aids. Se s’introdurrà il matrimonio “rafforzato” – contrapposto al matrimonio “dissolubile” – a sostegno della Chiesa potrà giungere la statistica. La statistica potrà infatti dimostrare che i cattolici intransigenti, i quali rinunziano al diritto al divorzio, sono più felici e più sani delle altre coppie.
7 commenti su “Una proposta per la riforma del divorzio rovina-famiglie – Intervista di Luciano Garibaldi al prof. Ubaldo Giuliani-Balestrino”
Nella proposta mi sembra ci sia un difetto: dare gli stessi diritti alle ‘famiglie’ chi non si impegnano alla stabilità, e quindi rappresentano un costo sociale maggiore, non è equo: i diritti dovrebbero corrispondere ai doveri.
Inoltre, una richiesta di chiarimento a proposito del ‘ghetto’: pare che in alcuni casi fu voluto dalle autorità giudaiche (e non conseguenza di persecuzioni) proprio per evitare la commistione coi gentili, è vero?
Bellissimo articolo! Credo che questa sia proprio la strada giusta. Perchè i giovani fidanzati hanno nel loro cuore il desiderio che il loro amore duri per sempre; ma sono ingannati perchè gli si è fatto credere che fondamento del matrimonio sia l’innamoramento piuttosto che l’amore vero fondato sul rispetto, sulla promessa di fedeltà, nella condivisione della gioia come pure dei momenti di dolore, dolore che però riceve sempre consolazione dall’amore reciproco nella la grazia del Signore.
E questi giovani capita oggigiorno di incontrarli proprio fra quelli che hanno vissuto la drammatica esperienza del divorzio dei genitori con tutte le conseguenze di cui solo in parte ci rendiamo conto. Questo ci dà grande consolazione e ci fa molto ben sperare!!!!!!
A completamento di quanto commentato da Fabio soggiungo che la tesi del ghetto voluto dal Rabbinato ebraico per evitare la dispersione del gregge e tenerlo sotto controllo è sostenuta da Don Ariel Stefano Levi di Gualdo nel suo bel libro “Radici Amare” la cui lettura è utile per comprendere meglio la diversità ebraica odierna e il suo malessere
Non credo che una legge come quella proposta dal professore potrebbe salvare
il matrimonio, perché la famiglia sana, che era l’esempio della santità di questo
vincolo, è quasi scomparsa, e senza questo basilare insegnamento i frutti o prima
o poi marciscono, e un modo per sciogliere il matrimonio lo troverebbero sicuramente.
Anche perché il MALE avanza, coperto da un silenzio assordante…
Giusto, aggiungerei che questa famiglia e questa scuola non formano persone capaci di sostenere l’impegno matrimoniale in modo così serio. Non voglio peraltro essere pessimista, ma auspico una riforma educativa nel senso che a noi sta a cuore.
Risposta a Fabio sui ghetti ebraici: SI’, e tuttora persiste questa situazione, basta farsi un giro a Gerusalemme nel quartiere Mea Shearim popolato dagli ebrei haredi. Ma credo che ce ne sia una riproduzione su scala anche a Milano.
sapete di quest’articolo?
http://rorate-caeli.blogspot.com/2014/10/totalitarian-dictatorship-in.html