di Lino Di Stefano
Nino Piccione non ha bisogno di presentazioni, ma il suo ultimo lavoro di scrittore – ‘L’odore della tonaca’ (Bibliotheca Edizioni – Città del Sole, Roma, 2012) – lo consacra tale, senza dimenticare la sua vasta produzione in tanti generi letterari che gli ha fatto guadagnare stima da parte dei critici e degli appassionati di cultura. Al riguardo, ricordiamo solo qualche opera dello stesso come, ad esempio, i romanzi ‘Memoria d’amore’, ‘Ianua’, Aldonza’, ‘Il nido della cometa’, ‘Quasi un diario’ e tante altre prove in prosa e in versi.
La menzionata opera, che si legge tutta d’un fiato, non è altro che il resoconto – sebbene tale termine sia oltremodo riduttivo – della vita di un sacerdote che ha come ‘terminus a quo’ la decisione di entrare in seminario, abbracciando la carriera ecclesiatica, e come ‘terminus ad quem’ – attraverso tanti dubbi, molte sofferenze e diverse dilacerazioni interiori – la fine della sua vita che l’Autore felicemente definisce “’dies natalis’, com’è per i cristiani il giorno della morte”.
Il protagonista pensa e parla sempre in prima persona e ciò rende il volume ancora più attraente e degno di considerazione per il semplice motivo che pure lui, anche se nelle vesti di pastore di anime, è una vittima illustre della ‘condizione umana’, direbbe Malraux. Condizione fatta di incertezze, tormenti, angosce, titubanze, inganni, malvagità, disillusioni, in breve, da tutto ciò che inerisce alle miserie dell’individuo e al male di vivere.
Tali componenti dell’animo umano abbondano nel libro di Piccione il quale le descrive scandagliando, molto spesso, gli anfratti della psiche dei vari interpreti delle vicende, fermo restando, è il caso di sottolinearlo, che il prete, in questione, domina gli eventi anche quando egli stesso è in difficoltà e allorquando, deve fornire risposte convincenti e deve ammettere, gli fa dire l’Autore, che “il problema del male è un osso duro”.
Il sacerdote, ripercorre, come abbiamo affermato, tutte le laboriose fasi della propria esistenza: dai primi studi in un seminario – “con entusiasmo, ma anche con un po’ di tremore intimo e una sorta di disagio”, così egli si esprime – dell’isola in cui è nato, al primo approdo a Roma in Piazza San Pietro; dalla prima crisi durante l’iniziazione al sacerdozio, appena conseguita la maturità, alla tragica rievocazione di alcuni episodi della seconda guerra mondiale; dal rinvenimento di un diario relativo alla prigionia del genitore durante la ‘grande guerra’, alla disamina del protagonista intorno alle eresie contemporanee.
Ancora: dai primi passi come pastore di anime, ad alcuni momenti tristi concernenti il comportamento poco ortodosso del padre; dal ritorno al paese che il prete chiama ‘della nostalgia’, alla enumerazione di tanti dolorosissimi fatti concernenti persone perseguitate dalla sfortuna e dalla esposizione di vicende, non meno penose, aventi come interpreti uomini e donne dai quali mai ci si sarebbero aspettati certi comportamenti condannati dal senso comune e dall’opinione pubblica in generale.
Ma i citati costituiscono solo alcuni aspetti di un lavoro denso di moniti e di insegnamenti visto che, ad un certo punto, anche l’attore principale del libro, il sacerdote, appunto, entra in difficoltà per effetto dell’impegno e della delicatezza del proprio magistero spirituale. Ed ecco le testuali parole del sacerdote: “E venne per me il momento della prova. Notti di incubi e tremori a causa di uno stato febbrile (…). Da un po’ di tempo c’era in me una sorta d’inquietudine, un nervosismo che dominavo a stento”. Difficoltà superate con tenacia, impegno ed intelligenza.
Con venticinque anni di sacerdozio alle spalle, il prete opera un primo bilancio della propria missione religiosa decidendo, anche per i raggiunti limiti d’età del predecessore, di tornare ad esercitare la sua missione pastorale nel paese di nascita. E proprio nell’ambiente natìo sia direttamente, sia indirettamente, attraverso il sacramento della confessione può toccare con mano la profondità delle miserie umane ,
Vicende tristi ed inquietanti che lo lasciano afflitto e disperato tenuto conto, son sue parole, che “un sacerdote non può rimanere indifferente dinanzi ad un fratello che, acquistando consapevolezza dei propri errori, ne patisce il senso di colpa e la desolazione”.
Lo scrittore siciliano si sofferma, giustamente, su molti episodi di persone – uomini e donne – cadute nel peccato e rose dal rimorso come, ad esempio, il caso di quell’individuo incapace di tener fede alla “promessa fatta al padre in punto di morte”, di mantenersi, nella vita, galantuomo oppure di quella donna traditrice del “marito col suo datore di lavoro con cui aveva avuto una figlia”.
E si potrebbe continuare non senza soffermarci un momento su un caso, degno di pietà e commiserazione, relativo, annota lo scrittore, ad un’altra donna che ha la disgrazia di avere un figlio alto appena un metro e con una innaturale “sproporzione tra le dimensioni degli arti e il resto del corpo”. L’epilogo è terrificante, quantunque il marito riesca, all’ultimo momento, a sottrarla dalla furia omicida del figlio.
Ci sono, poi, nel libro di Piccione, circostanze cariche di alta forza emotiva e, al riguardo, basti rammentare l’episodio – accaduto in prigionia durante la grande guerra – avente come protagonista un soldato del Nord che, prima di morire, affida una lettera, al padre del sacerdote, da consegnare o spedire alla moglie. La quale non riesce a riceverla perché muore di crepacuore; ne viene, invece, in possesso il figlio che, di stanza in Sicilia durante l’ultimo conflitto, la mostra al commilitone del padre.
Mario, questo il nome del militare, ottiene un permesso speciale per incontrare il compagno di prigionia del genitore e quando ciò si verifica, la situazione si scioglie in istanti di altissima commozione che si concludono in un abbraccio fraterno e sincero fra i due. Certamente, come abbiamo già osservato, tale vicenda è uno degli episodi in cui i moti dell’animo raggiungono il punto più alto, stante, altresì, la capacità dell’Autore di descrivere con parole toccanti il disagio dell’ intero quadro drammatico.
A questo punto, siccome il prete è portatore di un notevole bagaglio culturale e di una non minore carica umana e pastorale, è giocoforza evidenziare la sua considerevole preparazione che si estende dalla letteratura, italiana e d’oltralpe, alla musica – il sacerdote è un bravo interprete delle grandi voci di tutti i tempi e non solo di musica sacra – dalla teologia alla filosofia, con tantissime citazioni tratte da pensatori, teologi, santi, profeti, scrittori; citazioni non solo convenienti ed opportune, ma anche di prima mano.
Agostino, Tommaso, Kierkegaard, Pascal, Kafka, Mounier, E. Stein, Camus, Newman – senza contare i sommi tragici greci e il nostro Seneca – sono alcuni nomi che ricorrono nel libro redatto con apprezzabile perizia stilistica e grande consapevolezza dei problemi affrontati; questioni, aggiungiamo, sviscerati sempre con competenza e con l’obbiettivo della ricerca della verità.
Anche le controversie fra la Chiesa di Roma e quella d’Oriente – così come le rimanenti discussioni teologiche e speculative – sono affrontate dal protagonista principale con autorità e pertinenza frutto, queste due ultime componenti, di studio profondo, di applicazione e di acribìa culturale.
Dietro il sacerdote, si erge, ognora, incisiva ed influente, l’ombra dell’Autore il quale, come ‘deus ex machina’, muove i fili delle multiformi azioni che si susseguono con cadenza dinamica sui vari palcoscenici che fanno da sfondo alle straziate vicissitudini esteriori e, soprattutto, interiori.
Ora è vero che i precedenti dei soggetti esaminati nel libro li troviamo in altri autori cattolici – e qui è sufficiente il riferimento a Georges Bernanos – ma è altrettanto certo che l’opera dell’Autore resta, a nostro giudizio, originale sebbene non sia possibile esaurire nell’ambito di una recensione la profonda lezione insita in essa.
Un volume da leggere, questo di Nino Piccione che fa, in ultima analisi, riflettere, come abbiamo accennato, all’inizio, sulla drammaticità del cammino dell’uomo su questa terra. Drammaticità che diventa tragicità se non soffusa dalla testimonianza della fede e dalla credenza in Dio fattosi uomo per la redenzione dei peccati del mondo.