“Lazare, veni foras! Prodiit, qui fueras mortuus … “ (Gv 11, 43 – 44)
di Carla D’Agostino Ungaretti
E’ bello parlare di Gesù! Infatti ho avuto l’ennesima conferma che, non solo pregarLo, ma anche parlare e scrivere di Lui, il Cristo, il Messia, il Signore, il Figlio di Dio morto e risorto per noi (come ho fatto più volte negli ultimi tempi) è una medicina per l’anima e per il corpo, benefica e salutare, che mi condiziona l’anima, il cuore e la mente invogliandomi a non smettere mai di parlare di Lui e di condividere con i miei fratelli nella fede le sensazioni, i pensieri e le emozioni che mi suscita la lettura frequente del Vangelo.
Ma io non sono una teologa, né un’esegeta, ma solo una cattolica “bambina” che “divora” la Bibbia (suo “livre de chevet” insieme alle Confessioni di S. Agostino) trovandovi sempre nuovi spunti di meditazione e, spero, di miglioramento personale. Ultimamente, dopo aver riflettuto sull’impatto che l’incontro con il Risorto ebbe sui suoi discepoli – che ancora non avevano ben afferrato quello che doveva succedere (e come avrebbero umanamente potuto i poveretti, senza l’aiuto diretto di Dio?) – ho sentito il gran desiderio spirituale di soffermarmi su un’altra resurrezione, quella di Lazzaro (Gv 11, 1 – 44), non certo una resurrezione alla Vita Gloriosa, come sarebbe stata di lì a poco quella di Gesù, ma nondimeno anch’essa impressionante e sconvolgente. Infatti questo segno, compiuto da Gesù alla vigilia della Sua Passione ha un doppio significato: teologico, perché è la più importante affermazione cristologica riguardante il Verbo di Dio fattosi carne; umano, perché è anche una commovente testimonianza dell’immenso dolore che si prova alla perdita di una persona cara, inevitabile esperienza di vita che prima o poi ci riguarda tutti da vicino, e della consolazione che però si prova se mettiamo totalmente questo dolore nelle mani di Dio accettando in toto la Sua volontà.
Nei Vangeli secondo Luca e secondo Giovanni, Lazzaro di Betania non si distingue per particolari doti di carattere o per meriti specifici, ma solo per il miracolo che gli accade. Tuttavia, la narrazione evangelica della sua vicenda è impressionante sia per quello che dice che per quello che non dice. Infatti Lazzaro non parla mai; di lui non vengono riportati detti, o frasi, o parole di commento a quanto gli è accaduto in quei “quattro giorni” di permanenza nella tomba, né rivelazioni sulle condizioni di vita nell’al di là. Anzi – contrariamente alla mentalità ebraica del tempo in cui le donne, come è noto, non contavano molto – gli Evangelisti Luca (10, 38 ss.) e Giovanni (11) si dilungano a dipingere il carattere delle due sorelle di lui, Marta e Maria, molto meglio di quanto invece non facciano con quello del fratello.
Una prima rivelazione di quei due diversi temperamenti femminili la si ha quando “si stavano avvicinando i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo” (Lc 9, 51) e Gesù, diretto a Gerusalemme, fa tappa nel villaggio di Betania, che ne dista appena tre chilometri. Qui viene ospitato in casa dei tre fratelli per i quali Egli nutre un affetto profondo, come risulta anche da altri passi evangelici ( Gv 11, 1 – 45; 12, 1 – 9) e qui emerge anche il diverso carattere delle due sorelle che sarà confermato da Giovanni nel racconto della resurrezione. Mentre Marta, perfetta padrona di casa “tutta presa dai molti servizi“, si lamenta con Gesù perché sua sorella non l’aiuta, Gesù le fa notare con dolcezza che Maria, seduta ai Suoi piedi ad ascoltare la Parola di Dio, ha scelto la “parte migliore“, quella che non le sarebbe stata tolta mai più. Commenta S. Agostino: “(Maria) aveva inteso nel modo più fedele quello che dice il Salmo: Fermatevi e sappiate che io sono Dio (46, 11). Marta si consumava, Maria si nutriva … entrambi i comportamenti sono degni di lode” (Sermo 103). Infatti Gesù non intendeva sottovalutare il lavoro di Marta (altrimenti come sarebbero potuti andare a tavola gli ospiti?) ma sottolineare il pari valore dell’atteggiamento di Maria.
Infatti nella spiritualità dei secoli successivi, le due sorelle sono assurte a prototipi della vita attiva e contemplativa che non sono affatto in contraddizione tra di loro come a volte si è tentati di credere ma, come ha spiegato S. Josè Maria Escriva de Balaguer (Colloqui, n. 114), c’è qualcosa di santo, di divino, di nascosto anche nei lavori più comuni e più umili, in fabbrica, in ufficio, in ospedale, a scuola, nei campi, in casa cucinando o lavando i piatti, e tocca a ciascuno di noi scoprire in essi la presenza di Dio. Le due sorelle avevano sicuramente trovato, nelle loro differenti vocazioni alle quali rimangono fedeli, quel misterioso quid che rivelava come il Padre fosse loro costantemente vicino. Infatti, pochi giorni prima della sua Passione, Gesù visita nuovamente i suoi amici di Betania ed è commovente vedere come Egli tenga a questa amicizia, così divina e così umana, che si esprime in frequenti incontri. “E qui gli fecero una cena. Marta serviva …Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento” (Gv 12, 1 – 3). I due diversi comportamenti rappresentano due diversi, ma ugualmente validi, modi di servire Dio.
Ma torniamo a Lazzaro, perché a quella cena partecipava anche lui “che Egli aveva risuscitato dai morti” in una precedente visita. Tutti i Vangeli esaltano il potere di Gesù sulla morte, ma mentre i sinottici lo mettono in luce con la resurrezione della figlia di quel “capo” (Mt 9, 25) che Marco e Luca chiamano Giairo, e del figlio della vedova di Nain (Lc 7, 12) dedicandovi pochi versetti, Giovanni pone la grandiosa narrazione della resurrezione di Lazzaro al culmine dei “segni” che egli dispone come i momenti successivi della graduale rivelazione del mistero del Cristo e dedica a questo straordinario e sconvolgente miracolo quasi l’intero capitolo 11.
Le parti salienti del racconto sono quattro. Nella prima (vv. 1 – 6) le sorelle di Lazzaro si premurano di far sapere al Maestro che il suo amico è malato. Gesù decide di non andare subito a visitare il morente, ma di trattenersi in loco ancora due giorni e commenta: “Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato”. Perché quell’indugio? E perché quella strana risposta alla triste notizia? Gesù vuole dare tempo ai suoi discepoli di riflettere sul significato della malattia per aiutarli a maturare nella fede: la malattia è una conseguenza della fragilità umana e non si può rimanere indifferenti. Se un amico soffre, bisogna condividere senza esitare e meditare sull’evento alla luce della fede e della volontà di Dio.
Nella seconda parte (vv. 7 – 16) Gesù decide finalmente di andare in Giudea. I discepoli tentano di dissuaderlo ricordandogli che lì, in precedenza, i notabili del Tempio lo avevano creduto indemoniato ed egli si era salvato a stento dalla lapidazione. La risposta di Gesù è profetica anche se, a una lettura superficiale, non molto chiara: “Se uno cammina di giorno non inciampa perché vede la luce di questo mondo, ma se invece uno cammina di notte, inciampa perché gli manca la luce “. In effetti i tentativi delle autorità giudaiche di lapidarlo come bestemmiatore in base al Levitico (24, 16) erano falliti perché non era ancora giunta l’Ora di Gesù – o la Gloria, secondo l’espressione di Giovanni, diversa da quella dei sinottici che parlano di “thanatos” – ossia il tempo stabilito dal Padre per la morte e la resurrezione del Cristo. Quando arriverà quel momento, vincerà l’ora dei nemici e sarà “l’impero delle tenebre” (Lc 58, 22), ma fino a quel momento è il tempo della luce, durante il quale il Signore può operare e insegnare senza pericolo di morte. La Morte sembra trionfare sulla Vita e il Male sul Bene, ma le parole di Gesù ci incoraggiano alla speranza: “Il nostro amico Lazzaro si è addormentato, ma io vado a svegliarlo“. Ricordo che mi tornarono alla mente queste parole di Gesù quando morirono i miei genitori e allora il mio conforto fu enorme perché capii che si erano solo “addormentati” e un giorno li avrei incontrati di nuovo nella Casa del Padre quando Dio ci avrebbe risvegliati tutti. I discepoli invece che, a differenza di Gesù, ancora ragionano secondo le categorie umane, obiettano che, se dorme, si sveglierà ma Gesù sa che il suo amico è morto e allora spiega che il suo indugio è motivato dalla necessità che essi credano, ossia partecipino insieme a Lui alla resurrezione di Lazzaro
Terza parte (vv. 17 – 37): Gesù arriva a Betania e il suo dialogo con Marta ci fa riflettere sul mistero della vita, della morte e della resurrezione. Marta Gli corre subito incontro, mentre sua sorella continua a restare seduta in casa; altro esempio, questo, del diverso carattere delle due donne: l’una, estroversa, dinamica e piena di iniziativa; l’altra, quieta e meditativa. Marta mette subito il suo dolore nelle mani del Signore : per lei la presenza di Gesù avrebbe evitato la morte del fratello, ma Gesù può fare ancora qualcosa. Dio infatti lo ascolta sempre. Questa implorazione è un meraviglioso esempio di preghiera piena di fiducioso abbandono nelle mani del Signore, il quale conosce meglio di noi ciò che ci è più conveniente. Marta non dice: “Signore, ti prego di resuscitare mio fratello“, ma “So che se vuoi puoi farlo, ma sia fatta la tua volontà, quale che sia”.
Il breve dialogo che segue ci pone di fronte le due concise affermazioni di Gesù sulla Sua identità cristologica che Giovanni tramanda fedelmente (“Tuo fratello risusciterà” e “Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me anche se muore vivrà“). La resurrezione di cui parla il quarto Vangelo è la resurrezione del credente in Cristo, che vivrà di vita eterna anche dopo la morte fisica e il miracolo che Egli si accinge a compiere verso Lazzaro è un segno del potere vivificatore del Messia, al quale fa eco la professione di fede di Marta: “Io credo che tu sei il Cristo, il figlio di Dio che deve venire nel mondo“. Come recita il I Prefazio dei defunti del Messale Romano, “in Gesù Cristo crocifisso, deposto nel sepolcro e poi risorto rifulge per noi la speranza della beata resurrezione … la promessa dell’immortalità futura” e l’Enciclica Redemptor Hominis di S. Giovanni Paolo II prosegue: ” … verso la quale l’uomo va attraverso la morte del corpo, condividendo con tutto il creato visibile quella necessità alla quale è soggetta la materia” (n. 18).
Sopraggiunge anche Maria, alzatasi in fretta dopo essere stata chiamata “di nascosto” da sua sorella[1] e si getta piangendo ai piedi di Gesù ripetendo le parole di Marta e confidando nell’amore senza misura. Alla vista del pianto di Maria e degli astanti Gesù, vero Uomo oltre che vero Dio, non può rimanere indifferente e scoppia in lacrime anche Lui. L’evangelista sottolinea tutta la santa umanità di Gesù, ma anche il commento sarcastico di alcuni presenti: “Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva far sì che questi non morisse?”
Nella quarta e ultima parte del racconto (vv. 38 – 44) il miracolo della resurrezione di Lazzaro ha toni drammatici: la commozione delle due sorelle, il pianto di Gesù, il giudizio dei presenti. Gesù si trova davanti alla tomba che ha appena fatto aprire; Giovanni non riporta la sua preghiera di invocazione a Dio, principio di vita, ma solo quella di ringraziamento, commovente lode dell’infinita bontà e dell’infinito amore del Padre che trasforma la fragilità umana in un compimento di speranza, oltre che dimostrazione del rapporto ineffabilmente confidente di Gesù con Dio ed espressione, altrettanto ineffabile, dell’Amore Trinitario: “Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato”. Poi gridò a gran voce: ‘Lazzaro, vieni fuori!’ Il morto uscì con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: Scioglietelo e lasciatelo andare”.”.
Leggendo e meditando, con l’animo aperto alla Parola di Dio e con la dovuta attenzione, ogni parola di questo Cap. 11 del IV Vangelo, io, cattolica “bambina”, trovo un’infinità di spunti per fare sempre altri passi avanti nella mia fede. Se la morte fisica del suo amico strappò le lacrime a Gesù, vuol dire che Dio non vuole mai la nostra morte spirituale. E allora penso che avesse ragione S. Agostino (In Joannis Evang. tractatus, 49, 24) che vede nella resurrezione di Lazzaro la raffigurazione del Sacramento della Penitenza o della Riconciliazione: quando confessiamo i nostri peccati, anche noi “veniamo fuori” dalla tomba. Per farci riconoscere le nostre colpe, Dio ci chiama “a gran voce“, cioè con una Grazia straordinaria. E poiché il morto era uscito ancora legato, per scioglierlo dai suoi peccati il Signore disse ai presenti: “Scioglietelo e lasciatelo andare“, così come a Cesarea di Filippo aveva detto a Simon Pietro: “Ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16, 19).
Fin dai primi secoli l’arte cristiana ha recepito questa similitudine. Nelle catacombe romane che, come è noto, erano gli antichi cimiteri, si può vedere un’infinità di raffigurazioni pittoriche della resurrezione di Lazzaro, che così simboleggia la resurrezione del peccatore alla vita della Grazia per mezzo del confessore che gli ripete: “Lazzaro, vieni fuori!“.
In questo commovente episodio evangelico l’amore di Gesù si trasforma in profezia pasquale. Ma non per tutti. Infatti “molti dei Giudei … alla vista di quel che egli aveva compiuto credettero in lui”, ma alcuni andarono a denunciarlo ai suoi nemici nel timore, tutto terreno, che il suo segno facesse il gioco della politica romana di oppressione e sfruttamento del popolo di Israele. Ancora una volta ci viene dimostrato che Dio, nelle Sue opere, lascia luce sufficiente per chi vuole credere e abbastanza ombra per chi non vuole credere e ancora una volta Gesù appare quale segno di contraddizione, come aveva previsto il vecchio Simeone (Lc 2, 34) e viene confermato quanto è detto nella parabola del ricco Epulone: “Neanche se uno resuscitasse dai morti sarebbero persuasi” (Lc 16, 31)
Non è quanto accade anche oggi?
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[1] Mi domandavo perché Marta dovesse chiamare sua sorella “di nascosto”. Ho trovato una spiegazione nel commento esegetico della Nuova Traduzione CEI della Bibbia (ed. S. PAOLO 2009). Marta non si reca “di nascosto” da Maria, ma “di nascosto” le parla: Marta vuole mantenere la riservatezza sul sopraggiunger di Gesù, non sul fatto di incontrare Maria. Forse (aggiungo io) perché sapeva della presenza in loco di tanti Giudei, non tutti amici di Gesù.
3 commenti su “Un’altra resurrezione, diversa da quella di Gesù, ma anticipatrice della Sua gloria – di Carla D’Agostino Ungaretti”
Grazie Carla per questa ottima riflessione.
La resurrezione di Lazzaro è molto particolare, mentre nelle altre due risurrezioni Gesù operò subito tale miracolo, nel caso di Lazzaro no, Gesù sapeva che stava male, ma non intervenne, neanche dietro alle suppliche, ma vi si recò ben quattro giorni dopo la sua morte, “Ormai puzza” disse la sorella, in effetti il corpo era in putrefazione, perché Gesù andiede dopo quattro giorni e non subito?, sarebbe un interessante approfondimento.
Non dobbiamo chiederci il perché delle azioni di Gesù, ma dobbiamo vedere in esse il significato che il Signore vuole dar loro. Lazzaro torna in vita perché il Signore è padrone della vita e della morte e tutto è nelle Sue mani, ma di Lazzaro non ci è giunta nessuna parola, niente che in quei quattro giorni passati nella tomba egli avesse riferito, pur ricomparendo poi nel racconto evangelico. Dunque non è tanto la sua vicenda che deve interessarci, né tanto meno cosa abbia sperimentato dopo la sua morte, ma deve colpirci che egli sia un segno, una straordinaria testimonianza dell’infinito amore e del potere di Dio affidato a Gesù Cristo perché in Lui crediamo. Lazzaro morirà una seconda volta, definitivamente, ma in quel gesto d’amore ricevuto dal suo amico Gesù avrà certamente sperimentato già qui sulla terra che solo in Dio è possibile la vita eterna.
GRAZIE carissima Carla! Che approfondimenti ! Lei è proprio ispirata da Gesù!