Di Asghar Ali Engineer
Velo islamico: urgente interpretare il Corano per ridare dignità alle donne
(Fonte AsiaNews, 25.04.2010)
Asghar Ali Engineer, musulmano indiano, entra nel dibattito scatenato in questi giorni sul velo integrale. Esso si inserisce in un settore più vasto che riguarda i diritti delle donne. Egli auspica un “approccio diretto” al testo sacro, e un allontanamento dalla tradizione araba, che mantiene la donna in condizioni di inferiorità, rivendicando “dignità e libera scelta”.
lo integrale. Esso si inserisce in un settore più vasto che riguarda i diritti delle donne. Egli auspica un “approccio diretto” al testo sacro, e un allontanamento dalla tradizione araba, che mantiene la donna in condizioni di inferiorità, rivendicando “dignità e libera scelta”.
La proposta del presidente francese Nicolas Sarkozy di mettere al bando il velo integrale in Francia ha destato polemiche nel mondo musulmano, in Francia e all’estero. Il dibattito rientra in una categoria più ampia che riguarda i diritti delle donne nel mondo islamico, più volte trattato da AsiaNews.
Prendendo spunto dalla partecipazione di Hissa Hilal, potessa saudita, a un concorso negli Emirati Arabi Uniti – che ha registrato un successo clamoroso di pubblico e scatenato un aspro dibattito – Asghar Ali Engineer, musulmano indiano e responsabile del centro Studi sulla società e il secolarismo di Mumbai, pubblica una riflessione sull’argomento dal titolo: “Le donne musulmane tra tradizione e modernità”.
In un recente concorso televisivo di poesia negli Emirati Arabi Uniti, Hissa Hilal – poetessa musulmana di origini saudite – ha eluso il rigido controllo imposto alle donne dal suo Paese. La sua è stata una voce di protesta, una denuncia assai audace, forse impensabile in una società sedimentata come quella da cui proviene. Ed è emersa, ovviamente, in alcuni versi di un suo poema. La donna ha parlato, attraverso il volto ricoperto per intero dal velo, dei leader religiosi islamici “che detengono posizioni di potere” e “terrorizzano” le persone con le loro fatwa (gli editti religiosi) e “cacciano come lupi” quanti cercano la pace.
È importante sottolineare due aspetti di pari importanza: la donna ha ricevuto calorosi apprezzamenti dal pubblico, conquistando un posto per la serata finale; ma, al tempo stesso, ha ricevuto minacce di morte su numerosi siti di estremisti islamici. Il regime saudita, controllato dagli ulema salafiti in materia di religione, persiste nel mantenere uno stretto controllo sulle donne in nome del rispetto delle tradizioni islamiche. I diritti delle donne sono negati, così come la libera scelta secondo la coscienza personale dell’individuo.
Questa non è la condizione che si registra in tutte le nazioni islamiche, ma le società musulmane più tradizionali impongono diverse restrizioni e non sono ancora pronte ad allentare la presa. Il tipo di hijab indossato da molte donne musulmane, che copre la faccia e permette loro di guardare il mondo solo attraverso una piccola fessura all’altezza degli occhi, resta una questione controversa e irrisolta fra esperti di legge islamica, teologi e intellettuali moderni. Il punto è come ci si deve comportare.
Nessuno può negare i cambiamenti rapidi che avvengono in un mondo globalizzato ed è una sfida sempre più difficile quella di mantenere l’attuale regime di controllo sulle donne, nelle società tradizionaliste e conservatrici. Questa controversia dura sin dal primo momento in cui si è affermata la modernità, a partire dal XIX° secolo. Nei Paesi musulmani sono avvenute molte riforme e le donne hanno acquisito un certo margine di libertà.
Tuttavia, nell’ultimo periodo del XX° secolo e nei primi anni del XXI° si è assistito a un riemergere dell’islam più tradizionalista, in particolare dell’islam salafita. Nessuna società registra un avanzamento lineare e misure che portanoal progresso, di volta in volta emergono sempre nuove sfide. Le ragioni, sebbene non sia questa la sede adatta per discuterne, sono di carattere economico e politico, oltre che di natura sociale e culturale. Questa natura complessa di tensione fra tradizione e modernità è al tempo stesso un’opportunità e una sfida.
Ciò che è importante in questo dibattito, e che sovente viene ignorato, è che emerge una pratica di tipo “culturale” dell’islam, rispetto all’ambito più strettamente religioso o appartenente alle scritture. A questo si aggiunge un legame di dipendenza troppo marcato dalla tradizione, mentre difendiamo o ci opponiamo alle restrizioni applicate nei confronti delle donne. Un buon esempio al riguardo è un recente libro che viene dal Pakistan su “Chehre ka parda wajib ya ghair wajib” (Il velo integrale – Obbligatorio o meno) e scritto dal professor Khurshid Alam. Si tratta di un vero e proprio botta e risposta tra due esperti di dottrina, uno dei quali favorevole e l’altro contrario alla copertura del volto.
Tuttavia, il libro è basato per intero su detti in contraddizione fra loro del Profeta Maometto e dei suoi compagni, citati da studiosi di epoca medioevale. All’interno si possono trovare numerosi riferimenti (hadith) validi a sostenere entrambe le tesi ed entrambi gli studiosi di legge usano queste tradizioni per rafforzare le rispettive posizioni. Questo tipo di approccio serve solo a ribadire una visione culturale di tipo tradizionale legata all’islam.
Non dobbiamo ignorare il fatto che la maggior parte delle tradizioni – eccetto quelle inerenti la morale, l’etica, o riguardanti l’ibadat, in materia di culto – riflettono da un lato la cultura araba e, dall’altro, un medioevo di stile occidentale nelle culture dell’Asia e dell’Asia centrale. I giuristi hanno anche sostenuto che l’Adat arabo (i costumi e le tradizioni) potrebbero diventare parti integranti della shariah, la legge islamica, e molti punti della shariah inseriti nell’Adat arabo.
Nel libro al quale ho fatto riferimento in precedenza, vi è poco spazio per un approccio diretto al Corano o a nuove riflessioni sui più importanti versi del Corano. Dobbiamo fare in modo che i giuristi e gli esperti di dottrina islamica comprendano che gli Adat arabi sono molto lontani dalla volontà divina e non necessariamente devono costituire le fondamenta della legge islamica. Oggi dobbiamo cambiare questa base culturale attraverso una riflessione diretta e un nuovo sguardo ai versetti del Corano, che fanno riferimento alle donne. Questo tentativo darebbe dignità individuale e libertà di scelta alle donne. La libertà di coscienza è un aspetto importante sottolineato nel Corano e lo stesso vale per la dignità dell’individuo. Il Corano è molto più in armonia con la dignità umana e la libertà, di quanto non lo siano tradizioni medievali e pratiche culturali.
Questo tipo di approccio, in nessun modo, potrà minare la natura divina della legge islamica e, al tempo stesso, la libererà da tradizioni basate su valori patriarcali della cultura araba, invece del reale spirito divino del Corano. Questo garantirà anche la libertà alle donne musulmane, dando loro un senso di dignità e libertà, smussando le tensioni tra tradizione e modernità. Questa è un’opportunità che non va persa, perché porterebbe sofferenze maggiori alle donne e facendo sorgere in loro il dilemma di una scelta. La maggioranza delle donne islamiche vuole professare la propria fede e, al tempo stesso, godere di alcuni benefici derivati dalla modernità. Gli esperti di legge islamica e gli studiosi dovrebbero mettere la parola fine a questo stillicidio.
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