Venerdì 25 settembre a Seregno. Presentazione del libro “La Chiesa ribaltata” di E.M. Radaelli

La Chiesa ribaltata (Gondolin, Trento 2014), ultimo libro del Professor Enrico Maria Radaelli, costituisce un importante strumento di orientamento in mezzo alla preoccupante corruzione dei dogmi cattolici e all’oblivione della Tradizione della Chiesa durante l’attuale pontificato.

Il libro sarà presentato, su iniziativa del Circolo Culturale Cardinal John Henry Newman di Seregno, venerdì 25 settembre alle ore 21 presso la Sala comunale Mons. Luigi Gandini in via XXIV Maggio a Seregno.
Sono stati invitati a introdurre alla lettura delle pagine di Radaelli don Marino Neri, già in più occasioni ospite del Circolo J.H. Newman, e il Professor Giovanni Turco, Filosofo del Diritto dell’Università di Udine. Sarà presente il Presidente del Circolo Andrea Sandri. Pubblichiamo qui di seguito una recensione di Piero Vassallo

(dal sito Vigiliae Alexandrinae)

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zzzzcop_chiesa_ribaltLa Chiesa ribaltata

Allievo del grande Romano Amerio e lucido interprete e continuatore della sua opera, Enrico Maria Radaelli è uno fra i più efficaci, equilibrati e condivisibili oppositori al novismo, in libera, squillante, applaudita ma confusionaria e avventurosa circolazione nelle squillanti chiacchiere dei teologi postconciliari, nel linguaggio di legno dei predicatori trans-religiosi e perfino nelle incontrollate e irruenti esternazioni private di Papa Francesco.
Nel recente robusto saggio “La Chiesa ribaltata” edito in Trento da Gondolin (www.edizionigondolin.com) e presentato da una puntuale nota dell’autorevole mons. Antonio Livi, Radaelli conferma la sua attitudine ad aggredire e confutare l’errore diffuso dai tifosi sparlanti nelle subdole curve del Vaticano II, senza venire meno al rispetto, che i fedeli debbono alla somma autorità ecclesiastica, quantunque essa si comporti in maniera curiosa e talora imbarazzante.
La critica all’invasiva teologia in circolo nella Chiesa d’oggi è, infatti, sviluppata da Radaelli entro i limiti tradizionali, segnati da San Roberto Bellarmino (1542-1621), il Dottore della Chiesa che ha affermato la liceità della resistenza all’errore professato da un Pontefice mentre ha negato la liceità e addirittura la pensabilità della sua deposizione da parte dei fedeli: “Come è lecito resistere al pontefice che attacca il corpo, così anche è lecito resistergli se attacca le anime e distrugge l’ordine civile o, sopra tutto, se tenta distruggere la Chiesa. Dico che è lecito resistergli attraverso il non fare ciò che ordina e l’impedire l’esecuzione della sua volontà, Non è lecito, tuttavia giudicarlo [in un processo] punirlo o deporlo, perché questi sono atti di un superiore”. Superiorità che, nella Chiesa militante, appartiene unicamente al papa.
La tradizionale impostazione del giudizio sulla crisi in atto è apprezzata da mons. Livi, il quale, nella prefazione al testo in oggetto, dopo aver rammentato che un totale ribaltamento della Chiesa “non è non sarà mai la fine della storia”, afferma risolutamente che il fedele consapevole che “qualcosa di tragicamente negativo per il bonum commune dei credenti in Cristo sta succedendo … sente il dovere di adoperarsi, come fa Radaelli, per contestare con argomentazioni valide e solide il messaggio che, grazie a papa Francesco, si stia finalmente attuando una radicale riforma della Chiesa che porterà a non condannare più alcun errore dottrinale o pratico e a considerare buone e giuste tutte le opzioni esistenti, compresa l’irreligiosità e l’ateismo”.
L’indefettibilità della Chiesa cattolica, dunque, è fuori discussione. Non può essere invece taciuta la presenza del disordine dottrinale, che tormenta il pensiero cattolico e sfiora addirittura la mente del sommo pontefice, suggerendo allarmanti concessioni all’errore, ad esempio all’ateismo vissuto in retta coscienza (o retta tracotanza/ultracogitanza?) e calato nella modesta statura del giornalista post-moderno Eugenio Scalfari.
Livi denuncia “la progressiva de-dogmatizzazione della pastorale, che sta contribuendo a consolidare quella dittatura del relativismo della quale invano Benedetto XVI aveva invitato i credenti alla resistenza”, Radaelli denuncia addirittura la de-ellenizzazione della sapienza cristiana e dimostra che la teologia conciliare e post-conciliare è avvelenata dal progetto, a suo tempo formulato dai modernisti, di riportare la dottrina cristiana alla (presunta) avversione alla filosofia professata dalle comunità cristiane delle origini.
A ben vedere le avanguardie della teologia post-conciliare hanno sorpassato l’avversione modernistica alla retta ragione – ai preambula fidei – per gettarsi a capofitto in quel delirio sessantottino secondo cui (parola incendiaria e sconsiderata di Herbert Marcuse) il principio di identità e non contraddizione è il preambolo all’orrore nazista.
L’inesistenza di un primitivo disegno inteso alla de-ellenizzazione del Cristianesimo, ad ogni modo, è visibile nel primo volume degli Stromata, in cui Clemente Alessandrino (150-215) afferma: “la filosofia greca con il suo apparato non rende più forte la verità, ma siccome rende impotente l’attacco della sofistica e disarma gli attacchi proditori contro la verità la si è chiamata con ragione siepe e muro di cinta della vigna”.
La dignità della ragione, in età moderna minacciata dalle elucubrazioni dei sedicenti illuminati, è coerentemente e legittimamente riaffermata dal Concilio Vaticano I: “la fede suppone e perfeziona la ragione anche se la fede è sopra la ragione non vi potrà mai essere una vera divergenza tra fede e ragione poiché lo stesso Dio che rivela i misteri e comunica la fede ha anche deposto nello spirito umano il lume della ragione: questo Dio non potrebbe negare se stesso né il vero contraddire il vero” (“Dei Filius”, IV).
Alla vigilia della rivoluzione francofortese, Pio XII, il papa refrattario all’irenismo, ha pubblicato l’Enciclica “Humani generis” per suggerire lo studio delle opere degli erranti (evoluzionisti, esistenzialisti, storicisti, nichilisti) “perché le malattie non si possono curare se prima non sono conosciute”.
La fede separata o addirittura opposta alla ragione rende il fedele incapace di valutare la fragilità degli errori che circolano nella desolazione moderna e di resistere al fascino oscuro emanato dalla loro decrepitezza.
Privata del sussidio delle verità di ragione la fede cattolica si intenerisce e addolcendosi avanza fino al punto in cui si ode, nel borbottio crepuscolare/leopardiano di un qualunque Scalfari, il ruggito che mette in fuga il pensiero di San Tommaso d’Aquino.
Si scambia una siepe nana per un tenebrosa foresta. Di qui le infantili paure, i grotteschi inchini, le comiche giravolte, le prediche sgangherate e le servili lodi all’indirizzo degli apostati sepolti nel cimitero delle catastrofiche e disgraziate rivoluzioni.
Infine lo sguinzagliamento dei teologi conformisti, incapaci di vedere il tracollo, l’obitus marcionita del moderno e perciò intesi a vantare la presenza di Hegel nei loro arruffati pensieri.
Con ragione Radaelli sostiene che stiamo assistendo a una guerra “alla cose per quello che sono, la guerra tipicamente sudamericana dell’uomo Jorge Mario Bergoglio ben prima di essere chiamato al Sacro Soglio: pseudo-francescanesimo, semplificazione, informalità, velocità, sono tutti obiettivi che vanno visti alla luce di una prospettiva terzomondista, alla luce di una destrutturazione della complessità metafisica dell’essere, come la intuisce Martin Mosebach col suo libro, straordinario fin nel titolo, “L’eresia dell’informe”.
L’intenzione dei combattenti contro la metafisica è nascosta sotto il mantello di un’untuosa e incappucciata fedeltà. Al proposito Radaelli rammenta che “il Bonaiuti, modernista lungimirante, diceva ‘Non contro Roma né senza Roma, ma con Roma e in Roma. Se davvero vogliono conquistare l’inespugnabile Trono, Modernismo e Liberalismo debbono aggirare le difese naturali della sacra Città, devono sapersi infiltrare oltre le muraglie”.
Effetto dell’infiltrazione suggerita da Bonaiuti e attuata dai suo uditori è il cristianesimo di pancia, predicato da papa Francesco, una novità di cui Radaelli descrive le cinque componenti: la grandiosa, felice e totale riforma della Chiesa, la conclusiva e fedele attuazione del Concilio Vaticano II.
Radaelli di seguito analizza i contenuti dell’enciclica “Lumen Fidei”, scritta da Benedetto XVI e firmata da Francesco. Il suo giudizio è devastante: “Colpisce in questa Lettera enciclica sulla fede, l’assenza totale della parola dogma, di un concetto, cioè, ormai bandito dalla Chiesa da tempo: esattamente da cinquant’anni. Nella Humani generis, per esempio, essa compare sette volte e altre tre in parole derivate, e nella Pascendi Dominicis gregis diciassette volte più cinque in derivate”.
Quando si pensa che dogma significa decreto emanato dall’autorità religiosa per definire un principio fondamentale non è difficile misurare l’allarmante vastità della confusione che si è introdotta nella Chiesa cattolica a causa della teologia soggiacente ai documenti del Concilio Vaticano II.
L’autore dell’Enciclica in questione, d’altra parte riconosce che la fede viene dall’ascolto (Fides ex auditu, Rm. 10,17) ma tace sul fatto che “ex auditu” è espressione che porta a un verbum, a una parola, a una testimonianza, a una dottrina, dunque a una verità, al dogma e senza l’udito non si ha e non si può avere nulla”.
Infine Radaelli definisce la grande magagna che discende dalla guerra che il buonismo ha dichiarato alla metafisica: “camminare verso forme comuni di annuncio e pure speditamente. Noi e gli eretici, la verità e la fandonia, il reale col mito e la fantasia, il Cielo e Belial. Ma: che rapporto c’è tra il fedele e l’infedele? (2 Cor., 6.25). Nei termini tomasiani la risposta è: nessuno”. Questo induce a sospettare che la Chiesa governata da papa Francesco corre in direzione di Nessuno.

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fonte: blog di Piero Vassallo

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