Lino Di Stefano interprete di Gentile
di Piero Vassallo
Lo studioso fatica in cerca della verità e perciò interroga la memoria storica conservata e in qualche modo nascosta nelle biblioteche, negli archivi polverosi e negli abbandonati memoriali.
L’intellettuale intanto è posseduto e innalzato a quote vertiginose dall’opinione emanata e approvata dai superiori eleusini e perciò non fatica a collocare sul mercato il suo squillante e fatuo cicaleccio.
Lo studioso sopporta il peso della severa e sgradita verità mentre avanza contro l’impetuoso soffio dagli sguinzagliati parolieri.
L’intellettuale impegna la sua ossequiosa ciarla alla cassa della bontà buonista, severamente gestita dai post comunisti e dai loro influenti e mistici finanzieri.
Esempio lampante di verità intellettualistica è il funambolico pensiero di Ernst Nolte, il quale esplora l’oscuro tunnel dello storicismo hegeliano al fine di istituire un moralistico confronto tra progressismo e reazione. In fondo all’abisso hegeliano appare la surreale verità: i progressisti, uccidendo il nemico, fanno avanzare la storia, i reazionari invece uccidono nel disperato tentativo di fermare l’attimo fuggente.
Di qui la distinzione cervellotica che assolve gli sterminatori storicisti, – i giacobini e i comunisti – esecutori della volontà assoluta e li distingue categoricamente dagli sterminatori cattivi perché antistorici, i nazisti.
Nel circo mediatico sono pertanto esibiti, in figura pedagogica, delitti sapienti e delitti brutali, ghigliottine giustiziere e fucilerie purificanti e, nella colonna delle cose cattive, camere a gas malvagie.
Applausi all’indirizzo del boia illuminato, maledizioni contro il boia reazionario.
La memoria del delitto rosso può dunque avanzare sotto la nobile copertura dell’abortismo approvato dall’Onu, dalla stampa illuminata e dalle associazioni filantropiche & obituarie.
L’ex segretario di Achille Occhetto, Massimo De Angelis rivela e chiarisce la conseguenza del ragionamento hegeliano di Nolte: “Auschwitz, essendo bensì conseguente al Gulag, è dal punto metafisico [hegeliano] un crimine radicale, senza possibili comparazione“. (Cfr.”Adolf Hitler, un’emozione incarnata“, nella rivista “La biblioteca di via Senato Milano“, settembre 2013).
Delitti intelligenti e quasi buoni e delitti demenziali e intrinsecamente perversi. Delitti illuminati e delitti volgari. Ghigliottine armoniose a camera a gas criminali. Sul filo del rasoio demenziale la dialettica tinge di rosa lo sterminio dei kulaki, dei concentrati da Lenin, da Stalin, da Mao e da Pol-Pot. La storia diventa oggetto di una rigida e severa manfrina.
E’ ignota la ragione che ha indotto l’editore Marcello Dell’Utri a pubblicare nella rivista della sua fondazione il girotondo di Nolte & De Angelis intorno all’opposta moralità degli sterminatori, che hanno insanguinato il XX secolo.
Tuttavia non possiamo sottrarci al dovere della gratitudine verso un mecenate che ha fatto finalmente conoscere la differenza che corre tra gli intellettuali e gli studiosi: l’intellettuale si esibisce sotto l’applauso scrosciante e pagante del circo esoterico, lo studioso lavora a distanza dal fracasso alienante.
Il paragone di cui sopra intende rammentare che Lino Di Stefano, sagace interprete del miglior Novecento italiano, non è un intellettuale ma uno studioso vivente in perfetta tranquillità nel cono d’ombra proiettato dagli inquisitori progressisti, rampanti nelle scuderie miliardarie.
La sua robusta bibliografia, pubblicata nell’appendice al pregevole saggio “Gentile e la psicologia“, stampato da Marco Solfanelli e distribuito insieme con l’onesto profumo dell’inchiostro controcorrente, testimonia la qualità dello studioso e la sua estraneità al “giro” dei miliardari promotori della vana chiacchiera.
Nel saggio pubblicato in questi giorni, l’attitudine di Di Stefano alla chiara e fedele esposizione dei più profondi concetti della filosofia attrae il lettore e lo persuade ad affrontare l’inedita questione del rapporto di Giovanni Gentile con la psicologia moderna.
Di Stefano è uno fra i più attenti e qualificati studiosi dell’opera di Gentile, il filosofo al quale perfino Massimo Cacciari, trasgredendo l’etichetta del partito gramsciano, attribuisce il titolo di sommo protagonista del Novecento italiano.
Gentile. infatti, ha confutato il positivismo, contrastato la psicoanalisi, rivalutato la filosofia dell’italianissimo Vico, pubblicato un robusto saggio sul pensiero di San Tommaso (in anni nei quali la scolastica era disprezzata e bandita dalle cattedre), sbaragliato e ridotto il modernismo a bazzecola per sacrestani ubriachi e teologi deragliati.
Negli ultimi anni della sua esistenza terrena Gentile ha avviato la conversione del pensiero moderno e, lo ha dimostrato l’autorevole Manlio Corselli, della sua filosofia al Cattolicesimo. Di Stefano rammenta peraltro che Gentile dichiarò – nel tragico 1943 – di essere cattolico fin dal 1975, data della sua nascita e del suo battesimo.
Di Stefano rammenta che “Gentile ebbe sempre dimestichezza con la psicologia e le scienze affini” prima di sottolineare “l’importanza del rifiuto gentiliano di accreditare il concetto d’inconscio“, strumento che ha facilitato l’irruzione dell’assurdo nel pensiero ultramoderno, diventato, non per caso, il palcoscenico del rovinosa presenza del freudismo nelle opere di Sartre e dei pensatori sessantottini.
Di Stefano cita al proposito un puntuale giudizio del filosofo di Castelvetrano: “La teoria dell’incosciente può essere accettata o non accettata, perché non da tutti i suoi sostenitori si fa una netta distinzione tra sensazione e percezione: fatta la quale distinzione, ammesso che la sensazione come tale non è entrata per anco nel campo della coscienza, non c’è più modo, salvo che non si voglia sofisticare in perpetuo, di rifiutare l’incosciente”. E ancora: “questa presunta psiche, inconscia, per mirabile sia non ci appartiene, in quanto inconscia e però non è psiche”.
Inoltre Di Stefano rammenta che – secondo Gentile – “finché non si è detto Io, la percezione è impossibile mancando il principio dell’azione, in cui la percezione consiste”. E cita la magistrale conclusione del filosofo: “Ogni volta che noi consideriamo qualsiasi aspetto della realtà spirituale da un punto di vista semplicemente empirico, e da psicologi empirici, noi possiamo esser certi, fin da principio, che ci teniamo alla superficie del fatto spirituale, ne guardiamo certi caratteri estrinseci, non entriamo nel fatto spirituale come tale e non possiamo raggiungerne l’intima essenza”.
E’ dunque lecito concludere, sul fondamento delle dotte note di Di Stefano, che Gentile, pur essendo autore di un sistema diverso dalla filosofia di San Tommaso, ha offerto un contributo ingente alla resistenza cattolica al rovinoso influsso della psicologia materialista nel pensiero dei moderni.