L’episodio è di qualche tempo fa, ma molti se lo ricorderanno: a Striscia la notizia, Gerry Scotti e Michelle Hunziker ironizzano sui cinesi, mimando gli occhi a mandorla e pronunciando la “elle” anziché la “erre”. Umorismo di bocca buona e un po’ convenzionale, ma nulla di più. Invece si sono aperte le cataratte del politicamente corretto: vibrate proteste sul web con le solite accuse di razzismo, che sappiamo essere spesso strumentali e ideologiche, insorgenza degli intellettuali e della stampa di sinistra: l’attore e l’attrice costretti ad umiliarsi profondendosi in infinite scuse.Un’analoga aggressione era stata lanciata contro i comici Pio e Amedeo per alcune frasi, durante uno spettacolo, su omosessuali, ebrei, neri, con l’aggravante di aver affermato che “il politically correct ha rotto”, opinione che crediamo essere condivisa da moltissimi.

Passiamo a un episodio più recente: al pronto soccorso dell’ospedale di Merate, vicino a Lecco, si presenta una giovin signora, morsicata da un cane a un gluteo. Durante la medicazione, il saggio medico settantenne, di turno all’ospedale, cerca di sdrammatizzare la situazione con la giovane definendo il cane “un buongustaio”. Una battuta, ovviamente, ma anche un indiretto complimento per la vittima dell’aggressione canina e il suo fondoschiena. Mal gliene incolse: l’ingrata infortunata lo ha denunciato, l’Asst (Azienda Socio Sanitaria Territoriale) di Lecco lo ha sospeso ed è anche stato segnalato all’Ordine dei Medici per eventuali, ulteriori provvedimenti.

Non sappiamo cosa stigmatizzare di più: se il vittimismo femminista della denunciante (certamente sarà partita l’accusa di “sessismo”, parola totalmente priva di senso inventata da “loro” per il lavaggio del cervello), oppure l’isterismo politically correct dell’Asst che ha accolto la denuncia e sospeso il medico o ancora la greve, ottusa mancanza di senso dell’umorismo di entrambi. Parafrasiamo don Abbondio: “Certo il senso dell’umorismo, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”.

Però è triste vivere in un mondo che uccide ogni possibilità di battute, anche salaci (sono, appunto, “sessiste”), spegne le risate cristalline, quelle che in alcuni racconti spezzano i malvagi incantesimi, obbliga all’autocensura, smorza la spontaneità e aggredisce la convivialità, impedisce di gridare “il re è nudo”, quando lo è davvero ma nessuno vuole riconoscerlo. Ormai certe barzellette, che so, quelle sugli ebrei o sui neri (come si dice oggi) si possono raccontare solo tra amici molto fidati e dopo aver controllato che porte e finestre siano ben chiuse.

I comici non possono più osare battute sui grassi, sui balbuzienti e così via; verrebbero cacciati seduta stante. Eppure Plauto, nelle sue commedie, accentuava questi difetti, perché – oh, quanto è cinico e crudele lo spettatore medio – facevano e fanno ridere. Appena tollerate quelle sui matti, ma bisogna stare molto attenti: il rischio è quello di denigrare dei “pazienti psichici”: le condanne dei tribunali della correttezza politica sono incombenti e senza possibilità di appello. Enzo Jannacci non potrebbe più scrivere “El purtava i scarp de tennis, el parlava de per lü, l’era il prim a mena’ via, perché l’era un barbun”: verrebbe subito accusato di dileggiare il disagio sociale.

David Zucker, regista, sceneggiatore e produttore a cui dobbiamo film come Una pallottola spuntata e L’aereo più pazzo del mondo, lamentando questo clima da caccia alle streghe contro il sorriso e la risata, ha commentato amaramente: “La comicità non è morta. È spaventata. E quando qualcosa è spaventato si nasconde. Come risultato di queste decisioni basate sulla paura, alcune delle migliori menti della commedia hanno abbandonato la risata.”    

L’attore Jerry Calà ha ammesso che alcune scene del mitico film dei fratelli Vanzina Vacanze in America del 1984 oggi non potrebbero essere più girate perché verrebbero ritenute “omofobe” e le potentissime lobby omosessualiste imporrebbero la censura o, quel che è più probabile e ben peggio, sarebbero gli stessi sceneggiatori ad autocensurarsi. Conferma, in una recente intervista, Giacomo Poretti, del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, parlando del politicamente corretto: “Una rovina, alimenta un pericolo enorme, l’autocensura”.

La risata è morta, o quanto meno non sta molto bene, ma non per un destino cinico e baro: ci sono dei colpevoli ideologizzati e riconoscibili: la politically correctness più brutale e malvagia, il goscismo più bieco, violento e censorio, l’antirazzismo più ottuso e minaccioso.  L’egemonia culturale di una sinistra triste, cupa, plumbea, è rappresentata anche da questa aggressione alla comicità, da questo divieto della risata e del sorriso.

Parliamoci chiaro: quello praticato oggi dalla sinistra non è umorismo, ma la sguaiata sghignazzata plebea o il sarcasmo più feroce e crudele, come esperimentato sulla loro pelle, ad esempio, dalle vittime dei vignettari della sinistra. Guardatele, quelle vignette, sui loro quotidiani: non fanno ridere perché devono “denunciare”, indignare, accusare, calunniare, diffamare. Vige il principio secondo cui “la satira è intoccabile”. Sempre e comunque, anche quando è falsificante e offensiva. Ovviamente è intoccabile la satira di sinistra perché quella “di destra” invece può essere trascinata in tribunale, come capitò a Forattini con la sua vignetta su D’Alema “sbianchettatore” della lista Mitrokhin, querelato, appunto, da D’Alema, all’epoca capo del governo. Lo stesso Forattini dichiarò di essere stato denunciato venti volte solo da esponenti della sinistra. Sinistra che sembra aver dimenticato uno slogan che pure proviene dal suo seno: “Una risata vi seppellirà”.

Umorismo era quello di un Guareschi e di Candido, tagliente ma sorridente, con i suoi comunisti trinariciuti e i suoi “Obbedienza cieca, pronta e assoluta. Contrordine compagni!”. D’altronde oggi non ci sono più riviste satiriche, neppure a sinistra, che pure ha prodotto testate come le storiche L’Asino, Il Becco giallo o, molto più recentemente, Il Male e Cuore. Sopravvive Il Vernacoliere, ma ha una connotazione troppo locale. A destra La Voce della Fogna, che era un prodotto intelligente e di qualità, è scomparso da decenni. Cabaret storici, come Il Bagaglino o Il giardino dei supplizi a Roma, o il Derby a Milano, sono chiusi. Quelli che sopravvivono sono un pallido ricordo della verve e della joie de vivre un po’ bohemienne e trasgressiva che vi si respirava.

Eppure il sinistrissimo Umberto Eco, nel suo romanzo Il nome della rosa, sofisticato per citazioni letterarie e rimandi, ma anche carico di significati ideologici e filosofici ferocemente anticattolici per il loro nominalismo anti-scolastico e l’adesione alla vulgata illuminista contro l’Inquisizione, individua un vecchio frate coltissimo, arcigno, apocalittico e “reazionario”, già responsabile della biblioteca del monastero, il cieco Jorge da Burgos (ovvio rimando a Jorge Luis Borges) quale responsabile dei delitti avvenuti nel convento, causati da un testo di Aristotele sulla commedia, che frate Jorge non vuole che venga letto perché la risata è male: “Il riso, afferma Jorge, squassa il corpo, deforma i lineamenti del viso, rende l’uomo simile alla scimmia”. E ancora: “Il riso è la debolezza, la corruzione, l’insipidità della nostra carne. È il sollazzo per il contadino, la licenza per l’avvinazzato […] il riso rimane cosa vile.” Eppure molti santi cattolici furono cultori del buon riso e dell’umorismo: basti ricordare san Tommaso Moro, che amava gli scherzi e le battute, martirizzato dagli scismatici inglesi di Enrico VIII perché rimasto fedele alla Chiesa o san Filippo Neri, apostolo della gioia, o lo stesso san Giovanni Bosco.   

Invece, la scena pubblica attuale è dominata da una sorta di turpe Jorge da Burgos collettivo, ma stavolta progressista e inflessibile guardiano dalla politically correctness. Una sinistra seriosa e cupa, ostile a ogni liberatoria ironia, a ogni presa in giro, decisa a bastonare ogni bambino che, con gli occhi dell’innocenza, osi gridare che “il re è nudo”. La comicità è male, perché distoglie dall’obbligo del cosiddetto “impegno civile”.

Così, a seconda dei soggetti di cui ridete, partono le terribili accuse di “razzismo”, “xenofobia”, “sessismo”, “omofobia”, “islamofobia”. Ci ricordiamo della rivista satirica anarco-goscista Charlie Hebdo, contro cui gli islamici scatenarono un attentato terroristico, una vera caccia all’uomo con venti morti, e che venne provocato da alcune vignette ritenute “blasfeme” dai seguaci di Maometto? Ricordiamoci anche che molti esponenti della sinistra, con maggiori o minori gradi di ambiguità, dissero che, in fondo, quella rivista se l’era cercata.

Analogo comportamento tenne la sinistra mondiale contro Jyllands-Posten, quotidiano danese che si era permesso di fare ironia sulla figura di Maometto. Mentre la ambasciate danesi nei paesi arabi venivano assaltate da orde di musulmani accecati dall’odio, esponenti e intellettuali della sinistra attaccarono il quotidiano. In entrambi i casi, la condanna della sinistra non fu ispirata a condivisibile rispetto per la sfera del sacro, ma al fatto che gli islamici, come gli immigrati, sono nella lunga lista dei “soggetti intoccabili”. Se quegli organi di stampa avessero irriso Gesù Cristo, nulla sarebbe successo. Il senso dell’umorismo della sinistra, prima ancora che dubbio, è comunque selettivo e discriminatorio.

La proibizione dell’umorismo, come forma della perversa cancel culture e di un esaltato “impegno sociale” progressista, ha prodotto un altro effetto: notizie di comportamenti che in tempi normali sarebbero state accolte con grassa ilarità, oggi devono essere prese sul serio. Guai a riderne. L’ultimo caso: al Giffoni film festival una giovine attrice (che pubblicizza cosmetici) si è messa a frignare sul palco per un attacco di “eco-ansia”. Ha dichiarato di non voler mettere al mondo figli, visto l’Armageddon climatico che pende sulle nostre teste.

Tra l’altro, l’eco-ansia è una sindrome che va di moda tra le giovani generazioni negli USA. Il bello è che il Ministro (Ministro!) dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, presente all’evento, si è commosso e si è messo a piangere anche lui. Naturalmente, la notizia ha prodotto, invece che incredulità e poi ilarità, pensose analisi e dense articolesse. Ovviamente questa “eco-ansia”, ennesimo armamentario ideologico inventato dagli ecologisti per meglio sostenere le loro apocalittiche menzogne, in tempi di piena salute mentale sul tema dell’ambiente non sarebbe stata certo presa sul serio. In un mondo normale la giovin attrice sarebbe stata sommersa dalle risate e poi accompagnata dolcemente a una visita da un bravo psichiatra, mentre il Ministro (Ministro!) sarebbe stato costretto a dimettersi per eccesso di ridicolo.

Una bella frase di Eschilo, recentemente tornata di moda, afferma che “in guerra, la verità è la prima vittima”. Ma, immediatamente dopo, siamo convinti che la seconda vittima sia il senso del ridicolo. Così, secondo il Ministero della Difesa della Gran Bretagna, che sappiamo essere spudoratamente sostenitrice del dittatore Zelensky, già mediocre attor comico, il semi-fallimento della controffensiva ucraina, pur sostenuta da miliardi di euro in armamenti offensivi, compresi quelli proibiti e a lungo raggio, forniti a nostre spese dalla NATO, sia stata causata dalla “rinnovata vegetazione sui campi di battaglia dell’Ucraina meridionale. La maggior parte dei terreni utilizzati per la coltivazione nella zona di guerra è rimasta incolta per 18 mesi, il che ha portato a un aumento della crescita di erbe infestanti e arbusti.”

Insomma, il fallimento della controffensiva dell’Ucraina, o quanto meno i suoi risultati deludenti – nonostante la martellante propaganda ucro-occidentalista di “avanzate”, “sfondamenti”, “brecce” – con migliaia di morti e la distruzione di parte degli armamenti (carri, artiglieria, contraerea) generosamente donati dagli occidentali, è stata causata dalla “crescita di erbe infestanti e arbusti”. Data l’autorevolezza della fonte, è vietato ridere.

Un’altra, non recente, notizia ci conferma peraltro che gli esponenti del regime ucraino hanno una grande fiducia nella nostra credulità. Secondo fonti ufficiali di Kiev, un vecchietto dal tetto di casa, con un fucile da caccia della portata di 80 metri, avrebbe abbattuto un super-bombardiere d’alta quota russo, un Su-34, gioiello di ultima generazione dell’aeronautica di Mosca. Per dare maggior credibilità alla bufala della propaganda atlantico-ucraina, le stesse fonti di Kiev hanno comunicato che il vecchietto dalla mira infallibile è stato insignito di una decorazione.

La reazione occidentalista a questa ennesima menzogna bellica ucraina è stata minima: se d’altra provenienza una bufala di questo tipo avrebbe prodotto battute e vignette, ma sotto il regime liberal-atlantista imperante in Europa è vietato ridere di Kiev e del suo guitto. A quanto ne sappiamo, solo un quotidiano, Il Messaggero, pur schierato con Kiev e la NATO, ha riferito la “notizia” esprimendo una sia pur prudentissima, scettica ironia.

Riusciremo un giorno a riconquistare il diritto al sorriso e alla risata, alla battuta, anche alla battutaccia che nel lessico falsificante della “sinistra triste” verrebbe definita “sessista” – per noi invece sanamente goliardica – al cabaret dissacratore e politicamente scorretto? Ci sarà consentita di nuovo la gioia conviviale delle barzellette oggi vietate? Per quanto tempo ancora la lettura originale di testi umoristici sarà impossibile perché censurata da parole come “negro”, “piccolo”, “grasso” e molte altre, vietate nella neo-lingua del potere? Fino a quando i social come l’arcigno Facebook di Zuckerberg cancelleranno i siti dedicati Lino Banfi, perché “scorretti” e “contrari agli standard della community”, e lo dicono senza timore del ridicolo?

Se ci guardiamo indietro, tutta la storia della grande cultura europea ci ha donato non solo valori, ideali e sogni, conquiste e civilizzazioni, ma anche sorrisi, comicità e risate. Aristofane e Plauto, i Carmina Burana, Boccaccio e Rabelais, la commedia dell’arte e Goldoni, la comicità britannica di G. K. Chesterton, Jerome K. Jerome e P. G. Wodehouse. Conosciamo qualcuno che sa ancora recitare l’intero, salace poemetto goliardico Ifigonia in Culide scritto nel 1928 e portato in scena dagli universitari fino a qualche anno fa.

La lotta di liberazione (se mai ci sarà) contro l’oppressione dei barbari esterni e interni sarà lunga e dovrà passare per molte, importanti riconquiste, ma faremmo male a sottovalutare l’importanza di quella del diritto a una libera, franca risata quale segno irrinunciabile di libertà civile, oggi conculcata da quella “sinistra triste” che ci domina con la sua tragica egemonia culturale.

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