Virtù e Fortuna. In margine alla recente crisi di governo – di Lino Di Stefano

di Lino Di Stefano

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mttrnzSui menzionati  concetti – virtù’ e ‘fortuna’, appunto – s’incentra uno dei tanti aspetti del pensiero politico di Niccolò Machiavelli (1468-1527) per il quale, siccome ai suoi tempi,  “a ognuno puzza questo barbaro dominio” (Il Principe, XXVI, 7), a causa della disgregazione politica della penisola, occorreva che un capo, cioè un principe – nella fattispecie Cesare Borgia, detto il Valentino – ripristinasse l’ordine in Italia.

   Ora, il “Galileo della politica” – come il filosofo Vincenzo Gioberti chiama, giustamente, il fondatore, in epoca moderna, di tale scienza – e vale a dire il Segretario fiorentino, affrontò, ‘ex professo’, la citata questione in tutte le sue numerose opere e, in particolare, in un, breve, ma significativo scritto, intitolato, ‘Descrizione del modo tenuto dal Valentino nell’ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini’ (1502).

   Ciò, per avere la conferma più lampante di come il fresco Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, abbia applicato alla lettera, e con successo, il metodo del suo grande concittadino. Ed ecco i fatti. Cesare Borgia, con l’aiuto del padre, il pontefice Alessandro VI Borgia, era riuscito, con  estrema spregiudicatezza, a procacciarsi un vasto dominio nell’Italia centrale avente come centro d’irradiazione l’Emilia-Romagna.

    Ad un certo punto, il successo non arrise più al duca di Valentinois, conosciuto più come il Valentino per antonomasia – anche a causa della caduta in disgrazia del padre – ragion per cui alcuni signorotti gli si rivoltarono contro mettendolo con le spalle al muro, per il semplice motivo, parole di Machiavelli, che “parse loro come el duca diventassi troppo potente e che fussi da temere che occupata Bologna e’ non cercassi di spegnerli per rimanere solo in su l’armi in Italia”.

   Ora, Cesare Borgia, appunto – “grandissimo simulatore”, come lo definisce Machiavelli nella menzionata operetta – col pretesto di venire a patti con i suoi avversari, invitò questi ultimi a Senigallia dove, è sempre il Segretario fiorentino che parla, “furono dal duca fatti prigioni” e, poco dopo, strangolati.

     In tale occasione, secondo il grande fiorentino, Cesare Borgia – il cui motto era “aut Caesar aut nihil” – seppe sfruttare sia la ‘virtù’, sia la ‘fortuna’ concepiti, rispettivamente, non nel senso cristiano di bontà d’animo, di onestà e di perfezione, e, analogamente, di sorte favorevole e di insperato successo, bensì nel significato, la prima, di determinazione e di vigore visto,  altresì, che ‘virtù’ deriva sì da ‘vir’, maschio, ma pure da vis’, forza, aventi i due termini la stessa radice latina.

    Il  vocabolo ‘fortuna’, dal suo canto, in latino, significa, ‘fortuna’ e ‘sfortuna’, ma per Machiavelli esso va inteso nella nuova accezione di capacità di capovolgere una situazione sfavorevole in una propizia, ossia in un successo, così come fece Cesare Borgia a Senigallia il quale, all’occorrenza, si dimostrò ‘virtuoso’ e ‘fortunato’ vincendo una partita che si presentava per lui rischiosa e carica di incognite.

 Lo stesso Autore de ‘Le Istorie fiorentine’, lo esplicava, a chiare lettere, allorquando nelle ultime pagine del ‘Principe’ osservava significativamente che “la fortuna è donna: ed è necessario, volendola tenere sotto, batterla ed urtarla. E si vede che si lascia più vincere da questi, che da quelli che freddamente procedano” ( XXV, 9).

 Ma ‘virtuoso’ e ‘fortunato’, nel senso spiegato, si è dimostrato anche Matteo Renzi che approfittando di alcune oggettive difficoltà presenti nel governo precedente e nel suo Presidente, è riuscito a risolvere in proprio favore una situazione oggettivamente difficile e senza via d’uscita essendo mancato a chi di dovere il necessario colpo d’ala per uscire dal vicolo cieco.

   Cinismo? Forse, ma l’Autore dei ‘Discorsi’ si riferiva all’Italia dei suoi tempi senza elevare il citato accorgimento a valore universale. E, allora, da buon fiorentino, la medesima operazione ha messo in atto il novello Primo ministro il quale con spregiudicatezza, inganno e mancanza di scrupoli, si è impossessato, in pochi giorni, del potere defenestrando il Primo Ministro, suo collega di partito, malgrado tutte le dichiarazioni contrarie formulate fino a qualche giorno prima.

   Ripetiamo: Calcolo, insensibilità, irresponsabilità? Sicuramente sì, visti i risultati che ci rimandano alla celebre espressione, “il fine giustifica i mezzi”; formula che Machiavelli non ha mai pronunziato, nei suddetti termini, ma che si ricava, senz’alcun dubbio, dai capisaldi della sua dottrina storiografica ed  etico-politica. Esempio da seguire in politica? Sicuramente no, sebbene il menzionato non sia l’unico episodio di cui è ricco il corso  della storia.

   E, al riguardo, non aveva torto  Ugo Foscolo quando, nei ‘Sepolcri’, a proposito delle insidie del potere, esaltando il Segretario fiorentino, lo chiamava, “quel grande/ che temprando lo scettro a’ regnatori/ gli allor ne sfronda/ ed alle genti svela/ di che lacrime grondi e di che sangue” (vv. 155-158). La storia emetterà, manzonianamente, al momento opportuno, l’”ardua sentenza”, mentre, per il momento, all’ex Presidente del Consiglio non resta altro che proclamare, legittimamente, con la Francesca di Dante: “E il modo ancor m’offende” (Inf., V, 102).

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