Vittorio Vettori, interprete del Novecento nazionale – di Piero Vassallo

La via italiana alla giustizia sociale

di Piero Vassallo

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lbrpnnlvttrStudioso senza confini, lettore instancabile e italiano di stretta osservanza benché, il cattolico Vittorio Vettori  (Castel San Niccolò d’Arezzo 1920 – Firenze 2004), ha disobbedito, in sintonia con Giano Accame, ai collerici imperativi del conformismo, per affermare la nobiltà del nostro Novecento e annunciarne il futuro.

 La innata cortesia, la profondità del pensiero, la ingente erudizione e la singolare attitudine a ricostruire il cammino del genio italiano da San Tommaso d’Aquino all’Alighieri e da Giambattista Vico ad Antonio Rosmini e ai protagonisti del Novecento, non hanno risparmiato a Vettori le umiliazioni decretate dalla congiura del silenzio. Macchinazione antitaliana organizzata da congreghe misteriosofiche e da società di malaffare agenti da destra a sinistra e da sinistra a destra sotto la ferula di società improntate dal guénonismo. Entità, da Vettori ridicolizzate e messe alla berlina con una fulminante definizione: congreghe enigmistiche.

 L’avvincente saggio di uno studioso estraneo all’area destra, Giuseppe Panella, “Introduzione all’opera di Vittorio Vettori”, edito in questi giorni dalla fiorentina Polistampa, e presentato da Enrico Giani della Società Dantesca Italiana, riabilita e rende giustizia al pensiero e all’opera di un protagonista della storia vietata dagli scrittori di parole crociate. E indica agli orfani della destra immemore e frammentata la via da percorrere in vista di una rifondazione oltre il grottesco palcoscenico e l’umiliante capitolazione all’ideologia liberale.

 Vettori, infatti, ha proposto la restaurazione della cultura politica italiana sulla dialettica della Divina Commedia, che oppone l’arte all’usura, la consacrazione cristiana del lavoro alla mitologia intorno alla mano magica del boja liberale.

 Scrive al proposito Panella: “Gli usurai sono un punto di passaggio fondamentale nella considerazione dantesca del Male: essi rappresentano il culmine della violenza contro Dio perché costituiscono la maggiore violenza che si possa esercitare sugli uomini senza privarli direttamente della vita”.

Opportunamente Panella propone la traduzione del testo di Pound compiuta da Vettori: “Usura è lebbra che in mano alle fanciulle ottunde l’ago e arresta l’arte di chi fila. Venne non certo dall’Usura, dal contrario venne sì dell’Usura Pier Lombardo. Così Duccio, così Pier di Francesca”.

 Ora l’opposizione alla cultura dello strozzo è un’eredità del Medioevo cristiano impressa a  caratteri indelebili nella cultura del Novecento italiano.

 Lo conferma il giudizio equanime di Panella: “Da questo esercizio della malvagità umana deriva la decadenza dell’umanità stessa, dichiarerà molti secoli dopo Ezra Loomis Pound nei versi più citati del suo tentativo di ripetere mimeticamente e di rappresentare nella realtà contemporanea quello che era stato il percorso dantesco”. Percorso che Vettori interpreta nella luce del Salmo 113, In exitu Israel de Aegypto.

 La cultura del Novecento, alla luce degli studi di Vettori, è restituita alla sua originaria finalità: l’emancipazione dal potere esercitato dagli usurai apolidi. Un programma la cui attualità è restaurata dall’oppressione dei banchieri europei e dall’arroganza germanica.

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