11 settembre: la narrazione del potere non ammette domande

Si avvicina l’11 settembre, anniversario di un evento straordinario per la oggettiva tragicità, ma anche per un carico di significati che, invece di sbiadire col tempo, appaiono sempre più riassumere in sé gli aspetti decisivi della storia contemporanea. Col tempo, anche alla luce di altre immani tragedie, ha preso forma il diverso volto di un fenomeno che era stato subito seppellito ermeticamente in uno stereotipo capace di coprire i suoi misteri impenetrabili come quelli ben custoditi di una tomba egizia.

Operazione questa in gran parte riuscita allora, perché nel cosiddetto immaginario collettivo è stata fissata una volta per tutte l’immagine rimandata dagli schermi televisivi insieme a un corredo interpretativo che ha esentato lo spettatore, attuale e futuro, dalla fatica e dall’imbarazzo del dubbio e della perplessità.

Eppure già allora, a ben guardare, quell’evento presentava, oltre alla faccia televisiva a uso del grande pubblico e destinata a imprimersi nella memoria collettiva, quella affatto diversa raccontata dal vivo dai testimoni oculari, mentre poco più tardi vennero le osservazioni dei tecnici che applicavano le regole scientifiche, finché emergeva presto quel profilo tutto “politico” che veniva fornito dalle pretestuose e arbitrarie decisioni belliche successive. Tuttavia neanche questi eventi ulteriori, di enorme portata, hanno potuto trasformare, fino a capovolgerlo, il senso di quelle immagini e di quella interpretazione, rimaste tutte mummificate nella sagrestia della coscienza comune.

Del resto il potere non può fare a meno della sottomissione e di un consenso su cui appoggiarsi perché capace di sostenere ciecamente le sue verità e le sue decisioni. La esaltazione sempre riaccesa nei soldati dalla fascinazione personale poté alimentare la follia napoleonica e il suo delirio di grandezza anche oltre l’evidenza della catastrofe.

Così, nella ricostruzione dei fatti e delle reazioni seguiti all’11 settembre, un posto determinante va riservato all’elemento emozionale e sentimentale e al suo ruolo di mosca cocchiera di nefaste iniziative belliche punitive destinate a sconvolgere precisi equilibri planetari. Basti ricordare come la forza della passione politica e dell’orgoglio offeso, sprigionando tutta l’energia dei sentimenti fuori controllo, ha potuto offuscare, in uno spirito libero come quello di Oriana Fallaci, quella prudenza che guida un sano spirito critico. E questa fu esperienza comune a quanti si sentirono vittime dirette di un piano perverso che imponeva la vendetta.

In questo senso, quello dell’11 settembre è stato anche il banco di prova su cui si è misurata la capacità odierna di muovere le masse attraverso le suggestioni indotte dal sistema comunicativo. Si è potuta misurare la potenza emozionale quale forza propulsiva che risparmia al potere la fatica della imposizione violenta, disinnescando quella ragione che smorza le reazioni emotive, e ricolloca i fatti nelle loro corrette concatenazioni logiche.

Anche quando le guerre dissennate condotte dagli Stati Uniti contro nemici inventati per un brutale obiettivo di conquista dimostrarono che una immane tragedia era stata messa in piedi senza alcuna delle sbandierate giustificazioni ideali, dalla opinione pubblica non fu rivendicata giustizia per il danno inflitto e la beffa subita. Insomma, si continuò a ritenere plausibile l’antefatto anche quando le conseguenze erano state riconosciute truffaldine. Perché, come è stato detto, quando si è perduta la fede in Dio, si è ormai capaci di credere qualunque cosa.

Oggi, a distanza di vent’anni e passa, e anche in virtù degli eventi successivi, lo sguardo su quelli di allora non può non tornare libero dal pulviscolo che l’ha accecato e capace di scoprire tutta la follia incorporata in una macchinazione mostruosa. Capace di separare i fatti dalla cinematografia. Oggi dovrebbe finalmente apparire a tutti stupefacente che lo spazio aereo più controllato del mondo possa essere stato violato, senza ostacoli di sorta e ripetutamente, nel giro di poche ore e da grandi aerei passeggeri, quasi fossero innocenti aquiloni.

Dovrebbe apparire miracoloso che due colossi alti quattrocento metri e pieni di centinaia di tonnellate di acciaio si siano polverizzati al suolo in dieci secondi esatti con la velocità con cui da quell’altezza può cadere si e no una palla da tennis. E che un altro colosso di sessanta piani si sia dissolto al suolo nello stesso tempo e allo stesso modo, senza avere subito traumi di sorta tranne forse quello di avere assistito, la mattina qualche isolato più in là, alla rapida dipartita delle due consorelle assicurate per miliardi di dollari dallo stesso padre comune.

Chiunque dovrebbe ormai trovare meraviglioso che un velivolo con quaranta metri di apertura alare e tredici di coda, possa entrare ad ottocento chilometri all’ora volando rasoterra al pianterreno del Pentagono facendo un buco di cinque metri per sparire poi nel nulla con tutti i suoi passeggeri. Dovrebbe rimanere stupefatto all’idea che un altro gigante dell’aria col suo eroico carico umano, si sia inabissato in un terreno agricolo lasciando a ricordo di sé solo una impronta di quindici metri e senza che più nessuno si sia mai curato di appurare se per caso possa essere uscito, magari intatto, dall’altra parte del globo terracqueo.

Di tutte queste meraviglie siamo ancora senza spiegazione, come è rimasta senza spiegazione la discesa agli inferi di Orfeo in cerca di Euridice, il riprodursi eterno dell’Araba Fenice, il difficile rapporto adulterino di Leda col cigno e quello ancora più faticoso di Pasifae, il potere invidiabile di re Mida precursore favoloso dell’alta finanza contemporanea e dei contigui banchieri centrali.

Con tante creazioni meravigliose, la lussureggiante fantasia degli antichi cercava di esorcizzare simbolicamente il mistero del destino dei mortali, dei loro limiti, e l’ansia per la perenne incognita della sorte. Ma non abbandonavano il lume della ragione che sembra andato spegnendosi nei moderni man mano che la tecnica ha potuto oscurare i miracoli della fantasia con le proprie miracolose creazioni.

Proprio questi miracoli profani hanno tolto slancio, oltreché alla fantasia, anche alla riflessione critica e alla speculazione, alla esigenza di capire i nessi e le articolazioni di una realtà complessa e sfaccettata, spesso incontrollabile.

Abituati alle cose straordinarie di cui si ignorano i meccanismi, e che appaiono create dal nulla, non mettiamo in discussione più nulla, come i bambini che di ogni favola, anche la più emozionante o paurosa, si servono per prendere sonno la sera, senza chiedere mai perché.

Così davanti agli eventi dell’11 settembre nessuno osa più porre domande, anche se le ragioni di allora sono state polverizzate dai fatti. Eppure quell’evento ha fornito platealmente una versione aggiornata ed esemplare del rapporto tra potere e suddito, tra decisione autoritaria e capacità di opposizione “democratica”, tra strumenti mediatici e formazione del consenso, tra libertà e tecnologia, tra tecnologia e “verità” delle cose.

Insomma, in quelle immagini ormai storiche, dovremmo vedere lo specchio del mondo contemporaneo. Qui troviamo di certo l’eterno ritorno dell’uguale nella immutabilità dei lati più oscuri della natura umana che il cristianesimo ha cercato di contenere, smussare e correggere, ma che si ripropongono appena le circostanze diventano favorevoli al loro proliferare. Dall’altro c’è il fatto nuovo, indispensabile per il potere, della sopravvenuta incapacità generalizzata di leggere i fatti nella loro evidenza, nell’abbandono di ogni spirito critico. Negare tutto, soprattutto l’evidenza, predicava un vecchio avvocato ai propri clienti. E infatti è appunto l’evidenza quella diventata tragicamente incomprensibile nell’epoca della realtà mediaticamente confezionata secondo le esigenze del produttore e immessa sul mercato in regime di monopolio.

La svolta tecnologica amplifica gli appetiti del potere mentre ottunde la consapevolezza etica, la responsabilità politica, la sensibilità culturale. Si compie il passaggio fatale verso la nuova più ineludibile schiavitù, perché gli strumenti di liberazione diventano mezzi di sopraffazione, perché le catene vengono strette coscienziosamente proprio dai condannati.

Oggi però, a dispetto della sua imbalsamazione, quell’evento dovrebbe apparire ormai a tutti nella sua realtà, ovvero come il rispecchiamento di una infamia crescente del potere, che è politica ma anche culturale e alla fine antropologica. Occorre ritrovare la lucidità per riconoscere che le vittime dell’undici settembre ebbero sì una sorte atroce, ma forse anche un diverso carnefice.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Seguici

Seguici su Spotify e Youtube

Cari amici,
con “Aleksandr Solženicyn: vivere senza menzogna”, primo episodio del podcast “Radio Ricognizioni. Idee per vivere senza menzogna”, il nostro sito potrà essere seguito anche in video e in audio sulle due piattaforme social.

Podcast

Chi siamo

Ricognizioni è nato dalla consapevolezza che ci troviamo ormai oltre la linea, e proprio qui dobbiamo continuare a pensare e agire in obbedienza alla Legge di Dio, elaborando, secondo l’insegnamento di Solženicyn, idee per vivere senza menzogna.

Ti potrebbe interessare

Eventi

Sorry, we couldn't find any posts. Please try a different search.

Iscriviti alla nostra newsletter

Se ci comunichi il tuo indirizzo e-mail, riceverai la newsletter periodica che ti aggiorna sulla nostre attività!

Torna in alto