Indurre e abbandonare. Chiosa semantica – di L. P.

di L. P. 

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Non è nostra intenzione intervenire, con argomentazioni biblico/teologiche sul ventilato proposito bergogliano di modificare, nel Pater noster, l’espressione “Non ci indurre in tentazione” a favore di altra meno allusiva – secondo i teologi della neochiesa – a un Dio che vuole il male delle sue creature. E, per questo, senza attendere una deliberazione definitiva da parte della Gerarchìa, già in alcune diocesi francesi si prega con la sostitutiva formula “ Non ci abbandonare alla tentazione”.

Sull’argomento sono stati prodotti autorevoli interventi che, senza ombra di dubbio, han dimostrato quanto inopportuna e scorretta sia siffatta nuova traduzione del testo greco “kai mè eisenégkes emàs eis peirasmòn” (Mt. 6, 13) che, data essere autentica Parola di Dio immodificabile, corrisponde al latino “ et ne nos inducas in tentationem”, come bene intese San Girolamo nella canonica versione della ‘Vulgata’.

Noi vorremmo dimostrare, invece, come la nuova formula, contrariamente al proposito di rendere la figura del Padre lontana da ogni connotazione di malevolenza ed ingiustizia, ma solo di misericordia, la indurisca e l’aggravi consegnando alla Cattolicità l’idea di un Dio perfido, distante e disinteressato alle vicende delle sue creature.
Perciò, con la sola analisi etimo/logico/semantica dei due verbi “indurre” e “abbandonare”, si potrà realizzare una visione che, riferita al secondo, si manifesta per essere più forte del primo, e addirittura sacrilega.

Data per scontata la loro corrispondenza ai rispettivi significati espressi in lingua greca e latina, vediamo perché i due verbi sopra citati esprimono due opposte semantiche.

1 – Indurre. Verbo che, nelle varie e molteplici circostanze in cui viene flesso, sta a significare un dinamismo col quale un soggetto spinge e/o viene spinto a comportamenti, ad atteggiamenti per lo più non voluti, come: indurre in erroreindurre a delinquere
Se bene si analizza l’etimo e la semantica, si può notare come nel composto in-durre sia presente un’iniziale moto a cui, il soggetto collegato, non viene necessariamente obbligato a cedere, tanto che si può parlare di una induzione a delinquere non riuscita per volontà opposta.
La Scrittura ci informa che Dio mette alla prova, ma ciò non vuol dire che l’uomo sia tenuto a corrispondere alla tentazione, termine che, tra l’altro, realizza una circostanza in cui viene esperito un ‘tentativo’, operazione, cioè, che prova a sollecitare un alcunché ma non necessariamente a condurlo a termine. Tentazione, in definitiva, non significa peccato. Gesù fu, per prova, indotto in tentazione ma, come si legge in Matteo (4, 1/11), seppe respingere l’induzione dandoci, così, l’esempio di come si possa superare un momento critico.

Pertanto, ammesso e concesso che lo “indurre”, contenuto nel Pater noster, esprima il disegno di Dio secondo il quale l’uomo va messo alla prova, non è automatico che l’uomo debba cadere nel peccato in quanto il suo libero arbitrio gli permette la conoscenza del Bene e del male e, quindi, la volontà di resistere e vincere.

2 – Abbandonare. Verbo che, per ogni circostanza in cui viene usato, mantiene un significato univoco e, cioè: lasciare senza aiutosenza protezionedimenticare volontariamente qualcuno/qualcosa. 
Il significato che ne viene fuori dice come l’abbandonare valga deplorevole azione volontaria che, riferita alla nuova formula del corretto Pater noster, farebbe di Dio un Essere perfido che lascia senza aiuto, senza possibilità di recupero, senza mezzi di riscatto l’uomo che cade nel peccato, disinteressandosi di lui.
Cosicché, appare chiaro come la sostituzione del dinamico ‘indurre’ con lo statico ‘abbandonare’ renda un pessimo servizio alla Verità e alla smania revisionista della neochiesa che, per modellare una pastorale a misura d’uomo, fa la pesa alla Parola di Dio.

Ma la rivoluzione bergogliana, che gronda misericordia da ogni artiglio, va avanti, inarrestabile, fidando sulla parola di p. Arturo Sosa, attuale ‘papa nero’, il gesuita che afferma come, per essere bravi cristiani di oggi, sia necessario contestualizzare storicamente la parola di Cristo il quale, lo si dica chiaro e schietto, e lo si sappia, non disponeva di registratori, per cui – come si dice – “Verba (Christi) volant”.

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fonte: UnaVox

10 commenti su “Indurre e abbandonare. Chiosa semantica – di L. P.”

  1. Alberto Giovanardi

    Nella presuntuosa convinzione di essere un piccolo Padreterno -vedasi la squallida velleità di modificare il Padre Nostro- Bergoglio, parlando della prossima canonizzazione (tutta da discutere) del Beato Montini, ci ha fatto sapere di essere, dopo Benedetto, anche lui “in lista d’attesa”. Sai che sorpresa quando premerà l’ultimo bottone in alto dell’ascensore per salire all’attico riservato ai Santi e questo invece lo porterà verso il basso, nelle viscere della terra, dove era atteso da tempo !

    1. Ma, caro Giovanardi, forse lei non sa che oggi la Chesa della misericordia non vuole più che il buon cristiano volga lo sguardo verso l’Alto. Un giovane pretino, l’estate scorsa, disse nell’omelia “il cristiano non deve guardare verso l’alto, ma verso il basso, non deve fare un cammino di perfezione, magari mettendone al corrente il suo confessore”; dopo la messa gli chiesi il perché; perché altrimenti porterebbe la divisione (tra buoni e cattivi) nella sua comunità. Tutti peccatori impenitenti ci vuole oggi la
      (falsa) Chiesa: ci vogliono accompagnare, con le nostre “fragilità”, fino all’impenitenza finale; per questo odiano tanto i veri cattolici. Che Dio li fermi prima possibile.

    1. Non si tratta di cambiare la preghiera che ci ha insegnato Gesù. La traduzione italiana di cui disponiamo è tradotta dal latino della Vulgata, che ovviamente è una traduzione dal greco e il greco dei vangeli è ricco di semitismi (e Gesù si esprimeva in aramaico), che ne rendono difficile la traduzione. Tra l’altro lo “inducere” del latino non vuol dire “indurre” ma “introdurrre”, e il verbo greco, verosimilmente un semitismo, permette di tradurre “fa’ che non cadiamo in tentazione”.. Le cose sono complicate e giustamente è difficile cambiare un testo che tutti hanno imparato in un certo modo.

  2. Ha ragione, Professore. “Abbandonare alla tentazione” dà l’idea di un Dio disinteressato, che lascia senza aiuto, insomma, che se ne infischia. Caso mai, “non abbandonarci nella tentazione” avrebbe più senso, ma ciò non.ci interessa e nemmeno vediamo la necessità di un così inopportuno cambiamento. Rimaniamo stretti a San Girolamo, dunque e piuttosto impegniamoci a resistere quando volessero imporci la nuova formula. Personalmente, cascasse il mondo, su questa cosa non capitoleró mai.

  3. Appunto: volessimo proprio mutare le parole della preghiera di Cristo, consci della nostra debolezza potremmo dire “non metterci alla prova”.

  4. Grazie della spiegazione professore, questo è il tipico caso di gente che si è fatta un Dio a propria immagine e somiglianza, infatti una delle caratteristiche principali di questa gentaglia, che veste abusivamente gli abiti episcopali, è proprio quella di aver abbandonato il gregge nelle grinfie dei lupi.

  5. Piccola correzione: non hanno abbandonato il gregge nelle grinfie dei lupi, sono proprio loro i lupi feroci travestiti da agnelli.
    Che il Signore non ci”induca” nella tentazione di cadere nel loro abbraccio mortale.
    Antonio

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