Anniversario del dogma dell’assunta – di Padre Giovanni Cavalcoli, OP

assunzione di maria

di Padre Giovanni Cavalcoli, OP

assunzione di mariaQuest’anno la Chiesa ricorda il LX anniversario della proclamazione del dogma dell’Assunzione di Maria in cielo fatta da Pio XII nel 1950. Un evento da ricordare per diversi motivi.
Consideriamo innanzitutto il contenuto del dogma. Esso ci insegna che Maria ricevette da Cristo un privilegio che neppure Cristo ha voluto per sè: mentre Egli è giaciuto nel sepolcro per tre giorni, Maria, per riprendere la formula stessa del dogma, “terminato il corso della sua vita mortale, è stata assunta in cielo anima e corpo”.
Quindi Maria non è giaciuta in un sepolcro, ma è salita al cielo immediatamente dopo la fine della vita terrena. La cosa si può in qualche modo, se non comprendere, almeno immaginare, se teniamo presente che Maria è Immacolata Concezione, per cui il suo corpo e la sua anima, anche quando vivevano su questa terra, erano tuttavia esenti da difetti e peccati in modo simile alla condizione di Adamo ed Eva nel paradiso terrestre e ancor più simile alle condizioni future della risurrezione.
In secondo luogo è bene considerare la nuova luce di fede che il Venerabile Pio XII gettò, con l’autorità infallibile della quale fu rivestito in quella solennissima circostanza, su di uno dei misteri più cari alla pietà cattolica: la persona e la missione privilegiatissime della Beata Vergine Maria Madre di Dio.
Nuova luce non tanto per il contenuto del dogma, già da sempre noto alla pietà popolare in base alla Tradizione, benchè non contenuto esplicitamente nella Scrittura, quanto piuttosto – se così posso esprimermi – per l’intensità sfolgorante della luce con la quale Pio XII, assistito dallo Spirito della Verità promesso da Cristo alla sua Chiesa, illuminò di assoluta certezza di fede – la cosiddetta “fede teologale” – una verità come ho detto già precedentemente creduta dalla Chiesa, ma non ancora in quel grado di certezza che è assicurato dalla cosiddetta “definizione dogmatica solenne”, altrimenti detta “definizione ex cathedra”, quale fu appunto il caso della proclamazione pontificia del 1950.
In terzo luogo, e per conseguenza, la proclamazione pontificia ci ricorda che la Chiesa nell’insegnare le verità di fede segue un procedimento didattico che è bene tener presente, per saper valutare il grado di certezza col quale come fedeli figli della Chiesa, dobbiamo accogliere il patrimonio di verità divinamente rivelata che essa maternamente ci svela progressivamente nel corso dei secoli, ampliando ed approfondendo continuamente e con sempre maggiore certezza la conoscenza del deposito della Rivelazione che Cristo consegnò una volta per sempre agli Apostoli e quindi ai loro successori, i Vescovi, costituenti col Papa il Magistero della Chiesa sino alla fine dei secoli.
Questo metodo didattico della Chiesa, per antichissima tradizione, segue dunque due tappe fondamentali giustificate dal fatto che, come avviene nella normale pedagogia educativa o scolastica, l’insegnante propone innanzitutto all’allievo  semplicemente una verità; ma allorchè essa viene posta eventualmente in discussione o vengono sollevate delle difficoltà, affinchè non ci siano dubbi, la ribadisce autorevolmente e, se si tratta di una verità perenne ed immutabile, la conferma in modo definitivo.
Così similmente il Magistero della Chiesa propone la verità evangelica inizialmente in forma piana con semplici affermazioni senza aggiungere speciali garanzie di verità, supponendo che il popolo di Dio la accolga con semplicità e senza difficoltà. Il contenuto di queste dottrine è tradizionalmente designato come “prossimo alla fede” (doctrina proxima fidei). Senonchè però capita che davanti a queste dichiarazioni possano sorgere dubbi per il fatto che la dottrina non appare esplicitamente né nella Scrittura né nella Tradizione, fonti, come si sa, della divina Rivelazione e quindi sole oggetto della fede teologale.
Questi insegnamenti della Chiesa possono essere deduzioni o implicazioni ricavate dal deposito rivelato, ma il cui legame con esso può non apparire perspicuo, anche perché a volte si tratta di dottrine elaborate dai teologi, i quali, in quanto tali, non godono di alcun carisma di infallibilità. Come il comune credente, inesperto di teologia, può esser certo che queste dottrine, magari riprese dal Magistero, sono veramente di fede, soprattutto se avviene che esse vengano messe in discussione anche da personaggi dotti, santi ed autorevoli?
Ecco allora la necessità pastorale o pedagogica che la Chiesa può avvertire, al fine di far chiarezza e togliere ogni dubbio, di definire solennemente o, come si dice “dogmaticamente” quella data dottrina. Questo fu il caso della proclamazione del 1950.
Ma a questo punto occorre notare una cosa importante, ed è il fatto che una dottrina che il Magistero ordinario della Chiesa (conciliare o papale) insegna in materia di fede, anche se con riferimento solo implicito o indiretto o mediato a detta materia, è da ritenersi anch’essa “infallibile”, ossia assolutamente e perennemente vera o, come si esprime oggi la Chiesa, “definitiva” ed “irreformabile”, appunto perché, se non è esplicitamente di fede (de fide) è necessariamente connessa con la fede (proxima fidei) e un domani la Chiesa potrebbe definirla dogmaticamente come di fede.
Se poi ci chiediamo come distinguere le preposizioni dogmatiche definite da quelle semplicemente definibili, esiste un criterio abbastanza semplice dato dal fatto che le prime sono precedute da formule dal tipo “definiamo che …”, “crediamo che …”, “è di fede che …”, “è divinamente rivelato che …” e simili. Invece le proposizioni di secondo tipo mostrano la loro infallibilità dal semplice fatto che trattano di materia di fede o prossima di fede.
Così è successo per il dogma dell’Assunta. Questa dottrina, per la verità, anche prima della proclamazione solenne, era sempre stata ritenuta di fede o dedotta dalla fede dal popolo di Dio, nella forma di quel secondo grado di certezza che ho appena descritto: dottrina non esplicitamente di fede ma connessa alla fede, ma come tale infallibile ed immutabile.
Il ricordo di questo grande evento dunque può essere occasione per noi cattolici di tenere presente l’importanza di quel secondo grado di certezza degli insegnamenti della Chiesa, che non vanno sottovalutati o addirittura relativizzati col pretesto che non si tratta di dogmi definiti. Invece si tratta sempre di dottrine infallibili che vanno accolte, se non con fede teologale, comunque con fede nell’autorità divina della Chiesa.
A tal riguardo penso a certe correnti tradizionaliste filolefevriane, le quali, col pretesto che il Concilio Vaticano II è stato un concilio “pastorale” (dove effettivamente la Chiesa non è infallibile), gli negano un’autorità dottrinale o, se la ammettono, sostengono che qui la Chiesa non è infallibile, il che è assolutamente falso, giungendo al punto di trovare una “rottura” o discontinuità tra le dottrine del Vaticano II e quelle dei precedenti Concili o pronunciamenti pontifici o ecclesiali.
In quarto luogo, il dogma dell’Assunta ci ricorda la grande e consolante verità della risurrezione futura, concernente l’uomo e la donna, i quali ritroveranno quell’unione che in questa vita è stata spezzata dal peccato, ma ricomposta dall’opera della Redenzione di Cristo.
Comprendiamo allora l’altissima dignità della sessualità umana, consacrata in modo particolare dal matrimonio e sorgente della comunità familiare, valori fondamentali della Chiesa e della società, sui quali noi cattolici oggi più che mai siamo chiamati a vigilare per il bene non solo della Chiesa ma della stessa umanità.

Ribadita dalla Dichiarazione “Ad tuendam fidem” della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1998.

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