“Avete tentato, avete fallito.
Non importa. Tentate ancora,
fallite ancora, fallite meglio”.
(Samuel Beckett)
Il 5 maggio del 1981, 40 anni fa, nel carcere di massima sicurezza di Long Kesh, in Irlanda del Nord, moriva dopo 66 giorni di sciopero della fame Bobby Sands, prigioniero politico del Governo di Sua Maestà Britannica. In realtà per le autorità britanniche Sands era un criminale, un terrorista, che svolgeva attività sediziose al fine di staccare le Sei Contee di Irlanda assoggettate al Regno Unito, per ricongiungerle alla Repubblica d’Irlanda.
Sands morì a causa di uno sciopero della fame che venne intrapreso da altri prigionieri. Alla fine, in quella tragica primavera del 1981, furono dieci i detenuti di Long Kesh che diedero la vita per i diritti che erano loro negati e ultimamente per la causa della libertà dell’Irlanda.
In quei giorni il mondo fu scosso dal gesto di quei giovani, folle per qualcuno, immorale per altri, ma che di fatto era un gesto di eroismo portato agli estremi. L’eroismo di chi sacrifica la propria vita, anziché toglierla agli altri.
Il sindacato dei portuali di New York, Chicago e San Francisco proclamò un boicottaggio di 24 ore delle navi britanniche. Ancora a New York, oltre mille persone si riunirono nella Cattedrale di San Patrizio per ascoltare il cardinale Cook celebrare una messa di riconciliazione per l’Irlanda del Nord. I bar irlandesi in città osservarono due ore di chiusura in segno di lutto. Il parlamento del New Jersey votò 34 a 29 una risoluzione in cui si onoravano “il coraggio e l’impegno” di Bobby Sands. Manifestazioni di protesta si tennero in varie città d’Europa, da Milano a Parigi a Oslo. In India i membri dell’opposizione nella Camera Alta osservarono un minuto di silenzio. In Unione Sovietica la Pravda descrisse l’accaduto come “un’altra tragica pagina della triste storia di oppressione, discriminazione, terrore e violenza in Irlanda”. In Scozia invece l’odio unionista nei confronti dei cattolici e dei repubblicani irlandesi si manifestò nei cori di scherno dei tifosi dei Glasgow Rangers, la squadra del “Protestant Pride” contro il martire di Belfast.
Bobby Sands entrò nell’immaginario popolare come un nuovo Jan Palach, come un ragazzo di 27 anni che aveva dato la vita per la libertà, per la giustizia, per la sua terra.
Un’ammirazione che divenne politicamente trasversale. Bobby era un eroe per la Sinistra internazionalista, così come per la Destra Sociale. Per gli uni era il rappresentante della Working Class oppressa, per gli altri l’alfiere di una cultura identitaria. In effetti Bobby Sands era l’uno e l’altro, e anche di più. Credeva nel socialismo, credeva nell’identitarismo. Chiedeva giustizia sociale, e chiedeva sovranità per la nazione irlandese. Infine, credeva in Dio.
Un dato sociologico interessante è che il cattolicesimo in Irlanda è molto più forte nel Nord che nella Repubblica. E a Belfast è più forte nei quartieri più poveri e più politicamente di sinistra. Sembra un paradosso, ma non è così. In Gran Bretagna, come nell’Irlanda del Nord, Destra significa oppressione dei lavoratori (che nel vecchio Catechismo di San Pio X era considerato un peccato che “grida vendetta al cospetto di Dio”). Destra significa Partito Conservatore, significa Chiesa Anglicana, significa discriminazione contro i Cattolici, significa aristocrazia rapace. La Sinistra dell’Ulster è molto differente da quella del resto d’Europa. Una Sinistra, va detto, molto all’antica. Non è certo il radicalchic che va per la maggiore nei quartieri operai di Belfast e di Derry, ma un robusto socialismo che si batte per obiettivi molto concreti di giustizia sociale. In queste case, in queste famiglie numerose, è viva una Fede fatta di devozione profonda. Mentre era detenuto, Bobby Sands recitava ogni sera il Rosario, insieme agli altri prigionieri, nell’antica lingua gaelica.
Lo stesso sciopero della fame degli Hunger Strikers va collocato nella sua dimensione culturale storica.
Bobby Sands e i suoi non guardarono tanto a Ghandi, ma all’antica tradizione gaelica, per cui un uomo che aveva subito un torto, un’ingiustizia, andava a mettersi alla porta di chi aveva fatto l’offesa rifiutandosi per giorni di cibarsi. Una protesta orgogliosa e fiera, che gettava disonore su chi aveva compiuto l’offesa, in un tempo e in una società in cui l’onore era uno dei valori basilari. E proprio “per l’onore d’Irlanda” si erano battuti gli uomini della Rivolta della Pasqua del 1916, che fu l’evento che portò alla nascita di uno Stato irlandese indipendente, ma in seguito agli accordi del 1921, anche alla Guerra Civile, e alla drammatica divisione dell’Isola, con Sei Contee della Provincia dell’Ulster ancora sotto il tallone di ferro dell’Impero Britannico.
Il Government of Ireland Act aveva stabilito la creazione di due parlamenti irlandesi, l’uno per sei contee dell’Ulster e il secondo per il resto del Paese, costituiti entrambi di due Camere: un Senato di nomina regia ed una Camera elettiva.
La divisione dell’Isola aveva portato alla creazione nelle Sei Contee di uno Stato di Polizia, dove la repressione colpì per decenni i “sudditi” di fede cattolica e repubblicana.
Attentati, repressioni e rappresaglie si erano dipanati negli anni successivi, con centinaia di vittime ogni anno, e il terribile record di 467 morti nel 1972, tredici dei quali solo nella tragicamente nota “Bloody Sunday” del 30 gennaio, che aveva visto dimostranti disarmati massacrati dal Reggimento paracadutisti a Derry. Nello stesso anno la Gran Bretagna aveva sospeso il Parlamento dell’Ulster ed aveva assunto il controllo diretto del territorio; in luogo del Primo ministro era stato nominato un Segretario di Stato per l’Irlanda del Nord. Tale sospensione avrebbe avuto effetto fino alla devolution del 1999.
Nel 1973, unificando le forze unioniste, era nato l’UUUC (Ulster United Unionist Council), che alle elezioni parlamentari del Regno Unito dell’anno successivo aveva conquistato 11 dei 12 seggi in palio nell’Ulster.
Al clima di illegalità nelle strade dell’Ulster, creato dalle violenze delle organizzazioni illegali e della repressione inglese, si aggiungeva il regime carcerario che rifiutava di considerare gli indipendentisti quali detenuti politici e li segregava in blocchi speciali del carcere di Long Kesh (denominati blocchi H, a causa della forma della struttura degli edifici), privandoli dei minimi diritti concessi anche agli arrestati. Quest’ulteriore violenza portò a diverse forme di protesta da parte dei detenuti.
Fu in questo clima tesissimo che nacque la protesta degli Hunger Strikers.
La prima ebbe inizio il 27 ottobre 1980, quando sette prigionieri dei famigerati blocchi H del carcere di Long Kesh iniziarono il digiuno di protesta contro la mancata concessione dello status di prigionieri politici. Ad essi si aggiunsero, tra il 15 e il 16 dicembre, altri 30 detenuti. Questa prima azione termina il 18 dicembre a causa di un appello lanciato dal cardinale O’Fiaich.
Nel febbraio successivo tuttavia, i prigionieri annunciarono che la protesta sarebbe ripresa, e così il 1° marzo Bobby Sands iniziò lo sciopero della fame, seguito nei giorni successivi da altri militanti, anche appartenenti a organizzazioni indipendentiste diverse dall’I.R.A.
A ottobre il drammatico bilancio di dieci morti: ogni volta che un militante moriva, un altro iniziava lo sciopero della fame.
Sebbene la protesta fu tale da far ricevere alla causa indipendentista irlandese maggiore attenzione mediatica nel mondo che in passato, i detenuti non riuscirono ad ottenere quanto rivendicavano, né la situazione nelle strade dell’Ulster si modificò in modo sostanziale. Per arrivare ad una svolta si sarebbe dovuto attendere gli anni Novanta.
Oggi, a distanza di 40 anni, resta il ricordo ancora vivo di questo ragazzo che era cresciuto tra le violenze e le intimidazioni dei Lealisti, che sempre a causa di questa intolleranza aveva dovuto lasciare il lavoro di apprendista carrozziere,finché nel 1972, all’apice dei tumulti e delle aggressioni ai cattolici, aveva deciso di unirsi all’I.R.A., l’esercito repubblicano irlandese. “Avevo visto troppe case distrutte, padri e figli arrestati, amici assassinati. Troppi gas, sparatorie e sangue, la maggior parte del quale della nostra stessa gente. A 18 anni e mezzo mi unii all’IRA”.
Così scrisse colui che – oltre ad essere un militante politico – diventò uno scrittore che ci ha lasciato riflessioni importanti sulla sua terra, ma anche pagine di intensa poesia. Dopo essere divenuto militante dell’organizzazione, ed essersi poi sposato e avere avuto un figlio, era passato attraverso una serie di arresti, processi, detenzioni, fino all’internamento a Long Kesh. Fu proprio in prigione che Sands scoprì il valore della cultura e coltivò i propri talenti. Divenne giornalista e poeta. I suoi articoli, scritti su cartine per sigarette o su pezzi di carta igienica, erano fatti uscire dal carcere con numerosi stratagemmi e furono pubblicati dal giornale repubblicano An Phoblacht-Republican News, voce del movimento. Sands scrisse un libro in cui parla dell’esperienza carceraria intitolato Un giorno della mia vita. Sands scrisse, riferendosi agli anni della sua adolescenza: “Ero soltanto un ragazzo della classe lavoratrice proveniente da un ghetto nazionalista, ma è la repressione che crea lo spirito rivoluzionario della libertà. Io non mi fermerò fino a quando non realizzerò la liberazione del mio paese, fino a che l’Irlanda non diventerà una, sovrana, indipendente, repubblica socialista”.
All’inizio dello sciopero della fame Sands, già PRO (Public Relations Officer) dei detenuti, venne scelto come OC (Officer Commanding), ufficiale comandante dei prigionieri che dopo più di 4 anni di vita in condizioni disumane, avevano deciso di richiamare l’attenzione del mondo con un’azione critica come lo sciopero della fame fino alla morte.
Tiocfaidh ár lá (“il nostro giorno verrà”, in lingua gaelica) fu il suo grido di battaglia.
A distanza di quarant’anni, qualcuno potrebbe dire che – come la maggior parte degli eroi – Sands era un illuso. In realtà era un sognatore. Il “Socialismo Celtico” non si è mai realizzato, l’Irlanda sta smarrendo la sua identità nella liquidità post moderna, la Chiesa è in crisi, e la sua sovranità è ben lungi dal concretizzarsi. Eppure, quel sogno continua a vivere, magari in pochi, irriducibili Volontari della causa. “Non mi spezzeranno perché il desiderio di libertà, la libertà del popolo irlandese, è nel mio cuore. Il nostro giorno verrà. Finché la mente rimane libera, la vittoria è certa”.
Quel ragazzo irlandese che per 66 giorni rinunciò al cibo, che si consunse lentamente e tra dolori indicibili, in una sofferenza confortata solo dalla Fede, oltre le visioni politiche ci ha lasciato la testimonianza di come si possa amare non una realtà astratta chiamata “Stato”, ma la propria terra, il proprio popolo, inteso come comunità di destino.
La sua fu davvero una scelta d’amore.
2 commenti su “Bobby Sands, un martire per l’Irlanda”
Il nostro giorno verrà. Si! Senza dubbio. Cattolico, socialista e patriota. Bobby Sands come Jose’ Antonio Primo De Rivera. La Patria sociale “comunità di destino nell’Universale”, ossia nella Chiesa. Grazie Paolo.
Ottima chiosa di chiusura “Quel ragazzo irlandese che per 66 giorni rinunciò al cibo, che si consunse lentamente e tra dolori indicibili, in una sofferenza confortata solo dalla Fede, oltre le visioni politiche ci ha lasciato la testimonianza di come si possa amare non una realtà astratta chiamata “Stato”, ma la propria terra, il proprio popolo, inteso come comunità di destino”. Rimanda al discorso del Generale vandeano Athanase de la Contrie: “la nostra patria sono i nostri villaggi, i nostri altari, le nostre tombe… la nostra patria é la nostra fede, la nostra terra… Per loro la patria é solo un’idea, per noi é una terra; loro ce l’hanno nel cervello, noi la sentiamo sotto i piedi, é più solida”