CERTEZZA DELLA FEDE E ARROGANZA FONDAMENTALISTA – di P.Giovanni Cavalcoli,OP

di P.Giovanni Cavalcoli, OP

 

 

Le riflessioni di Gnocchi e Palmaro, recentemente pubblicate su questo sito, sul modo col quale il cardinale Martini concepiva la fede e il dialogo con i non-credenti sono molto giuste, profonde e centrate, anche se certamente duole il cuore nel dover fare certe amare constatazioni in un Principe della Chiesa da poco defunto, che affidiamo alla misericordia di Dio.

I due noti e intelligenti intellettuali cattolici, sempre in prima linea per la battaglia della giustizia e della verità, mettono in luce con franchezza, citando dichiarazioni dello stesso Cardinale, confrontate con l’immortale sapienza di S.Tommaso d’Aquino, la incapacità di Martini di coniugare la certezza della fede con la grande apertura che il pastore, l’apostolo, l’evangelizzatore, il teologo, il missionario devono avere verso coloro che non condividono per vari motivi la verità cattolica.

cmdInfatti il card.Martini, troppo preoccupato di farsi accettare, di comprendere ed accogliere la situazione dei non-credenti, manca del dovuto equilibrio che il buon pastore deve mantenere tra le proprie convinzioni di fede, che devono essere chiare e saldissime, e l’attenzione e la misericordia che deve avere per coloro, per dirla col Benedictus, che “giacciono nelle tenebre e nell’ombra della morte”.

Invece Martini, per esprimere questa condivisione con la loro situazione, finisce per far propri i loro stessi dubbi, non per risolverli e illuminare queste persone con persuasivi argomenti (il compito dell’apologetica e del predicatore), ma per farne un sistema o metodo di vita, come se il dubbio fosse una qualità della fede, mentre sappiamo benissimo quanta certezza nel credere giustamente ci chiede Nostro Signore, giacchè come è possibile dubitare quando Dio stesso ci parla nel suo Figlio divino? Come si può dubitare dei dogmi che la Chiesa, maternamente, premurosamente ed infallibilmente, da duemila anni, ci insegna nel nome di Cristo?

Indubbiamente tutti noi cattolici avvertiamo a volte tentazioni contro la fede, ma ci guardiamo bene dall’istituzionalizzare questi dubbi o queste difficoltà quasi fossero espressione della “fede”: al contrario, cerchiamo di rasserenarci o con la lettura della Parola di Dio o chiedendo luce a un buon teologo o pregando Dio che ci liberi o chiarendo le cose per nostro conto. Cristo non prescrive la doppiezza o il dubbio, ma la linearità e la coerenza: “sì, sì, no, no; il resto – Egli aggiunge – appartiene al diavolo”.

Martini riprende il famoso detto paolino “mi son fatto tutto a tutti”, dimenticando quello che Paolo dice subito dopo: “per salvarne almeno qualcuno”. Certamente anche Cristo pranzava con i pubblicani e i peccatori, ma – come Egli poi spiega – così come il medico si prende cura degli ammalati. Che diremmo di un medico il quale, sensibilissimo e attentissimo alla nostra malattia, se la beccasse anche lui senza fornirci una cura? O addirittura ci dicesse: ti rispetto nella tua diversità da me? O ci volesse convincere che non siamo malati? Non ci sentiremmo presi in giro?

Per questo la concezione martiniana della fede sembra avere un carattere relativista, che non prende sul serio né quanto Cristo insegna né i bisogni delle anime: una semplice fede-opinione, per cui, col pretesto del pluralismo o dell’ecumenismo o del dialogo interreligioso o con gli atei, si considera la propria “fede” non verità divina, assoluta, intangibile, universale, obbligatoria per la salvezza di tutti, ma un’opinione come un’altra, semplicemente “diversa” dalle altre “fedi”, che so, dall’insegnamento di Lutero o di Calvino o di Maometto o del Budda o di Marx o di Giuseppe Mazzini. Evidente confusione tra il diverso e il contrario. Certamente diremo che la persona sana è diversa da quella malata, ma quale persona di buon senso sceglierebbe di essere malata piuttosto che sana in nome della “diversità”?

Un cattolico e un protestante non sono semplicemente “diversi” come possono essere un Domenicano e un Francescano. Come mai ce lo siamo dimenticati? Il cattolico ha la retta fede, mentre il protestante, con tutto il rispetto per la sua persona, è un eretico, anche se forse non se ne rende conto o non ne ha colpa. Ben venga l’ecumenismo, ma non dimentichiamoci questo fatto.

Forse il timore di Martini, tipico di certa cultura modernistica e relativistica, è quello di cadere nell’eccessiva certezza, nell’arroganza o, come si dice con diversi aggettivi, nel “fondamentalismo” o nell’“integrismo” e quindi il pericolo di violentare la coscienza altrui e di non rispettare la libertà religiosa.

Ma allora mi viene il sospetto che Martini non sapesse che cosa è la vera certezza di fede e da cosa nasce o su cosa si fonda. Certo esiste una falsa certezza o un modo sbagliato di proporre le proprie certezze. Questa però non è vera certezza, ma più propriamente si può chiamare sicumera o fanatismo o fideismo, che è atto di arroganza,  effetto dell’orgoglio e della volontà di imporsi su gli altri o dell’ambizione di attirare discepoli.

Ma per evitare la sicumera e per il desiderio di non violentare la coscienza altrui sullo stile dei musulmani, il rimedio non è affatto quello scetticismo falsamente liberale che mina la cultura occidentale portandola a dimenticare quei valori tradizionali, umani e cristiani, che fanno il suo vanto e sono al servizio dell’intera umanità. Il problema è quello di sapere qual è e su cosa si fonda, come ho detto, la vera certezza di fede, quella fede divina che il cattolico chiama “fede teologale”.

Essa, come ci ricorda S.Tommaso, opportunamente citato dagli Autori, si fonda umanamente sulla percezione dei segni di credibilità offertici da Cristo – per esempio i miracoli -, ma soprattutto e in ultima istanza è un dono di Dio, col quale Dio in Cristo a per mezzo della Chiesa ci si mostra nella sua divina autorevolezza, per cui il credente crede non per motivi semplicemente umani, ma perché illuminato da Dio, perché si fida dell’autorità stessa di Dio che non inganna né può ingannare.

E’ questa la vera certezza di fede, certezza, come si dice, “soprannaturale”, per la quale il credente è saldissimo nella sue convinzioni, financo, se necessario, a rinunciare alla sua stessa vita, non grazie alla semplice forza della sua volontà, ma in forza del dono divino ricevuto.

Il credente, saldissimo e, sempre con il soccorso dello Spirito Santo ed in comunione con la Chiesa, sa trasmettere agli altri la Parola di vita, liberandoli dagli errori e dai vizi nei quali fossero irretiti: quella che un tempo ed anche oggi si deve chiamare “conversione”.

Qual è il fondamento della certezza di fede perché essa non sia arroganza? E’ appunto questa consapevolezza che quello che diciamo non è, mi si scusi l’espressione alla buona, “farina del nostro sacco”, ma verità divina consegnataci da Cristo per il tramite della Chiesa. E come raggiungiamo questa consapevolezza? Con l’umiltà. ossia con un sincero amore per la verità e quell’“obbedienza” dell’intelletto, della quale parla S.Paolo appunto come organo della fede.

Certo il credente può far la figura, presso non-credenti, dell’arrogante e del presuntuoso. Questa figura l’ha fatta anche Cristo, per cui non illudiamoci di poterla sempre evitare. A questo punto occorre l’altro aspetto della nostra fede: l’atteggiamento da tenere verso i non-credenti. Qui il card.Martini ci dà certo l’esempio di vicinanza e di comprensione, ma dove ha sbagliato è stato l’atteggiamento dello strano medico del quale ho parlato sopra: grande vicinanza, grande comprensione, analisi dettagliate, ma per lasciare il malato nella sua condizione, magari dandoli l’illusione di non essere malato, ma semplicemente un “diverso”.

Il prossimo Anno della Fede è un’occasione per tutti noi per costruire veramente l’equilibrio che ho detto: ne va delle nostra e dell’altrui salvezza. Evitiamo gli estremi opposti del fondamentalismo inesorabile ed aggressivo, e quello del relativismo modernista, che crede di essere aperto e liberale e invece è più dogmatico e feroce che mai nel momento in cui gli si fa notare, anche garbatamente, l’equivoco terribile del quale è vittima.

 

Bologna, 22 settembre 2012

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