Riccardo Pedrizzi – Fede, Economia e Sviluppo – Editoriale Pantheon, 2009
La dottrina sociale cattolica, oltre l’incubo della stregoneria finanziaria
Di Piero Vassallo
Gianfranco Fini, per rimuovere un serio ostacolo all’avventurosa corsa sulla pista anticattolica tracciata dai poteri forti, ha escluso dalla lista dei candidati al parlamento Riccardo Pedrizzi, uno dei pochi studiosi d’area dotato della cultura necessaria a dare un’identità italiana alla politica della destra (gli altri, meticolosamente allontanati e silenziati, sono Fausto Gianfranceschi, Fausto Belfiori, Massimo Anderson, Pietro Giubilo, Tommaso Romano, Angelo Ruggiero, Paolo Caucci, Roberto De Mattei, Luigi Gagliardi, Guido Vignelli, Marco Ferrazzoli, Luciano Garibaldi, Alberto Rosselli).
Il valore di Pedrizzi, ossia l’irriducibilità del suo pensiero al relativismo rampante, che è professato dagli intellettuali impegnati (da Fini) a sprofondare nell’anonimato la cultura di destra, si può facilmente misurare leggendo il suo animoso e documentato saggio, “Fede, economia e sviluppo”, uscito in questi giorni dai torchi della casa editrice romana Pantheon.
Pedrizzi sostiene che la devastante crisi economica in atto dipende dalla degenerazione negromantica, che ha trasformato gli istituti di credito in case da gioco, dove il fiume del denaro virtuale in furente discesa verso l’azzardo, si gonfia fino a raggiungere una dimensione dieci volte superiore al Pil mondiale.
Ora è accertato e Pedrizzi lo ripete opportunamente che soltanto “in un mercato ben funzionante, che può esistere quando la maggior parte degli agenti economici si comporta conformemente all’etica del mercato sostenibile, le imprese e le banche possono prosperare”.
Il neoliberalismo è sceso nel gorgo dell’immoralità prodotta dai suoi princìpi. L’unica ideologia sopravvissuta alle tempeste del XX Secolo si scioglie insieme con la carta straccia, su cui il finanziere Madoff ha stampato i numeri della magia nera.
Con il liberalismo reale svanisce il mito della mano magica del mercato (mano magica dell’egoismo sfrenato, in ultima analisi) e si dimostra che “non esiste un mercato che si auto-regolamenta da solo, come in un clima di ebbrezza neoliberista, si era predicato con ossessione”.
Il rigurgito socialista-statalista è scongiurato dalla certezza che la degenerazione quasi malavitosa dell’attività finanziaria è connessa ad un impoverimento dell’autorità della legge, decadimento proporzionato all’innaturale dilatazione delle funzioni pubbliche.
L’elevazione dello stato ad altezze vertiginose e “aliene” e l’esorbitanza dei poteri pubblici, infatti, allontanano l’autorità delle leggi dalla sensibilità morale che ha sede nella coscienza dei singoli e nella cultura delle società pre-politiche.
La principale causa della catastrofe finanziaria, in definitiva, risiede nella drastica riduzione delle funzioni che appartengono ai corpi intermedi e nell’impoverimento del loro contributo al rispetto delle leggi.
Al proposito, Pedrizzi cita un passo dell’enciclica “Quadragesimo anno”, in cui Pio XI dichiara che “è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare”.
Di qui la riaffermazione del principio di sussidiarietà e il rilancio della dottrina sociale cattolica che afferma la necessità di stabilire dei corpi intermedi tra la persona e lo stato. E di qui, infine, l’urgenza di ridimensionare e sfoltire la macchina dello stato mangiasoldi, a cominciare dai due rami pletorici e spreconi del parlamento.
La brillante avventura culturale di Riccardo Pedrizzi ha avuto inizio negli anni Settanta quando la sua tesi di Laurea ha vinto il premio della Fondazione Gioacchino Volpe. In seguito ha pubblicato numerosi saggi, fra i quali si segnalano “La dottrina sociale cattolica: sfida per il Terzo Millennio”, “I proscritti Pensatori alla sfida della modernità” e “Giovanni Gentile, il filosofo della nazione”. E’ stato senatore durante tre legislature.