Giovanni Testori, poeta di una Milano da riscoprire

Il 12 maggio del 1923 nasceva a Novate Milanese Giovanni Testori. Oltre al centenario della nascita, quest’anno ricorrono anche i trent’anni dalla morte. Testori è stata una figura di intellettuale poliedrico – romanziere, autore teatrale, pittore, critico d’arte – stimato dalla critica e apprezzato dal pubblico, senza tuttavia mai raggiungere livelli di popolarità toccati da altri autori della sua generazione.

Negli anni ’50 i suoi romanzi si inserirono nel filone del neorealismo, e da uno di questi, Il Ponte della Ghisolfa, il regista Visconti prese ispirazione per la sceneggiatura del celebre film Rocco e i suoi fratelli.  Tra gli attori protagonisti Alain Delon, Renato Salvatori e Annie Girardot.

A partire dal 1954 fino agli anni ’60 furono diverse le opere dedicate da Testori a Milano, e in particolare alla periferia della grande città, che stava conoscendo gli anni del boom economico. Testori fissò la sua attenzione sull’umanità di quei quartieri, dove arrivavano immigrati da ogni dove. Gli scenari dei racconti di Testori sono i quartieri a nordovest della città: Roserio, il Mac Mahon, Quarto Oggiaro, la Comasina, che sfociano poi in quella Novate dove lo scrittore era nato, e a cui rimase sempre profondamente legato.

I suoi genitori erano giunti nel paese alle porte della metropoli provenienti dalla provincia di Como in cerca di fortuna. Milano era una vera e propria terra promessa, dapprima per gli abitanti del contado, della Brianza, poi per i veneti, infine per i meridionali. Era un’umanità complessa, e molto spesso sofferente, quella che popolava i casermoni, i “fabbriconi”, (titolo di un romanzo di Testori), con speranze e sogni spesso frustrati e delusi. Piccole storie di fatiche quotidiane, di lacrime – tante – e di gioie.

Testori seppe descrivere questo piccolo mondo suburbano con grande sensibilità, a partire dal romanzo d’esordio, Il dio di Roserio, uscito nel 1954. Recentemente Feltrinelli lo ha ripubblicato nella sua versione originale, dalla quale nel corso delle edizioni successive alla prima (il libro era stato spesso accorpato a Il ponte della Ghisolfa) erano state tagliate le prime cinquanta pagine, ora riproposte.

E’ una storia di periferia, ambientata nel mondo delle piccole società sportive ciclistiche, quando le due ruote erano ancora – per poco- lo sport nazionale, uno sport povero, di grande fatica e sacrificio, ma anche uno sport epico. Il padre di Testori era di Sormano, dove sul suo leggendario “muro” erano nate vere leggende sportive.

Il libro racconta di un  astro nascente del ciclismo lombardo, Dante Pessina, e del suo gregario Sergio Consonni. Pessina è il dio di Roserio, quartiere periferico milanese, il campione di una piccola società ciclistica – la Vigor – destinato a un luminoso avvenire in virtù delle sue straordinarie doti. Ma il successo spesso presenta il suo conto, e la gloria della ribalta verrà conquistata ma a prezzo di dover nascondere per sempre un misfatto che nessuno, a parte lui, potrà mai rivelare.

L’opera è un ritratto preciso e inesorabile della natura umana, fatta spesso di meschinità, di cadute, così come di desiderio di bene, mischiate a espressioni di bene. La narrazione di Testori si avvale di un linguaggio sperimentale, realistico, ma mai naive, come faceva in quegli stessi anni Pier Paolo Pasolini col romanesco. Da questo punto di vista Testori è stato nel ‘900 forse il miglio erede di Manzoni, autore che gli era profondamente caro, e che riscoprì dopo la sua conversione al cattolicesimo.

In realtà, più che di conversione nel vero senso della parola Testori visse quell’esperienza spirituale particolare, che vivono certe anime sensibili, di ritorno a casa. Un ritorno alla fede in cui l’aveva teneramente allevato sua madre, la fede della Brianza, dei Rosari. La morte della madre – che fu l’affetto più importante nella vita dello scrittore – avvenuta nel 1977, fu l’occasione per un profondo ripensamento della sua vita, fatta di amore al bello, di ricerca artistica e di sentimenti personali non privi di problematicità, come la sua omosessualità vissuta sempre con riservatezza, quasi con pudore.

Il dolore per la perdita della madre lo portò a  riavvicinarsi alla fede cristiana, trovando un amico che lo aiutò in questo cammino, don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione. Ne nacque per lui anche una nuova stagione artistica, dedita soprattutto al teatro, con opere intrise di religiosità ardente e visionaria, a partire da Conversazione con la morte, una sorta di preghiera, più che di opera teatrale, un mormorio, una confessione.

Furono anni anche di impegno culturale e civile. Dalle colonne del “Corriere della Sera”, dove aveva avuto accesso quando era ancora un intellettuale laico, lanciò dei veri e propri appelli alle coscienze che vedeva sempre più annebbiarsi. Memorabile fu una sua polemica con Giorgio Napolitano (non ancora presidente della Repubblica) sul ruolo degli intellettuali di Sinistra, impegnati non tanto a “servire il popolo”, ma a procurarsi posti di potere.

Oggi, tuttavia, il modo migliore per ricordare e onorare Giovanni Testori è riscoprire i romanzi degli anni del Boom, dove si andava costruendo un benessere cialtrone e dove si andava perdendo l’anima del popolo. Rileggiamo le storie di quella Milano ancora non da bere, per capire cosa sia accaduto nel nostro Paese dal secondo Dopoguerra in avanti.

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