I Fratelli d’Ucraina prendono a sciabolate anche il fair play sportivo

Uno degli aspetti più belli dello sport è il fair play. Letteralmente significa “bel gioco”, ma non si riferisce alla qualità di un gesto agonistico, bensì allo spirito, potremmo anche dire alla dimensione etica, con cui viene compiuto. È un concetto che nasce in Inghilterra nell’Ottocento, quando lo sport era ancora un affare da gentlemen e rappresentava in qualche modo la continuazione delle antiche regole cavalleresche che fin dal Medioevo avevano trasformato i bruti in galantuomini, i guerrieri in cavalieri, che si affrontavano e si combattevano seguendo dei veri e propri codici d’onore.

Il fair play non rappresenta solo un modo di comportarsi, ma anche un modo di pensare e di essere. Definirlo come il semplice rispetto delle regole nel gioco sarebbe riduttivo, poiché si tratta di un concetto che si collega e ne presuppone altri, di grande rilevanza, quali l’amicizia, il rispetto degli altri e dell’avversario, lo spirito sportivo.

Il fair play ebbe anche un riconoscimento da parte della politica e delle istituzioni, quando nel 1992 il Consiglio d’Europa, costituito per l’occasione dai ministri dello sport, approvò il Codice Europeo di etica Sportiva. Si tratta di un documento che, pur non fissando regolamenti precisi, prevede un quadro etico di riferimento con l’obiettivo di diffondere una mentalità sportiva, che sia condivisa in ogni attività.

In questo contesto, il fair play, come sintesi delle considerazioni etiche, si trova al centro di tutto il codice, come elemento necessario e non accessorio: deve guidare l’approccio allo sport che vede come princìpi cardine la lotta ai brogli, al doping, alla violenza verbale e fisica. In particolare, quando si parla di sport e di fair play, è importante attenersi ai principi di lealtà, rispetto per le regole del gioco, rispetto per gli avversari.

Purtroppo, nei recenti Campionati Mondiali di scherma, tenutisi a Milano, si è verificato un grave episodio di comportamento contrario al fair play.

La sciabolatrice ucraina Olga Kharlan era stata squalificata per essersi rifiutata di dare la mano al termine dell’incontro all’avversaria, che aveva peraltro sconfitta. La rivale era un’atleta russa, Anna Smirnova. Una delle fondamentali e più sacre leggi dello sport prevede – in nome del fair play – che gli avversari si salutino reciprocamente. Avviene negli sport di squadra, come il basket o il rugby, dove magari durante la partita i giocatori se le sono date di santa ragione, o in quelli individuali, dalle arti marziali al tennis. La scherma poi è uno sport con radici antichissime, che risalgono ai duelli medievali, ed è normato da una serie di regole che prevedono l’assoluto rispetto per l’avversario.

La Kharlan, dunque, era stata giustamente sanzionata con la squalifica, avendo evidentemente anteposto motivazioni ideologiche allo spirito dello sport che pratica. Tuttavia, è immediatamente scesa in campo al suo fianco la politica. Il ministro dello sport del governo Meloni, Andrea Abodi, ex presidente della Lega Calcio di serie B, ha fatto sentire la sua voce e il suo interessamento. Così, tra ricorsi e controricorsi, alla fine l’atleta ucraina è stata riammessa alle competizioni. Non solo, ma visto che questi Mondiali organizzati in Italia servivano anche come qualificazioni per le Olimpiadi del 2024, la Kharlan si è vista assegnare da parte del Comitato Olimpico Internazionale di un pass per Parigi 2024, anche se non in possesso dei punti di qualificazione necessari.

Questa vicenda già di per sé poco edificante ha avuto un ulteriore corollario politico, al limite del grottesco. Il capogruppo di Fratelli d’Italia al Comune di Bologna, Stefano Cavedagna, ha proposto di conferire alla schermitrice ucraina la cittadinanza onoraria di Bologna. Per quale motivo un’atleta squalificata e poi generosamente graziata deve ottenere questo onore? Tra l’altro, la sportivissima città felsinea ha visto nel corso degli anni la presenza nelle sue squadre di basket e di calcio di grandi atleti che non hanno avuto questo onore, compresi sportivi che provenivano da Paesi aggrediti militarmente, come ad esempio la Serbia di Sasha Djordjevic o Sinisa Mihailovic. Ma secondo il consigliere meloniano, la Kharlan “ha dimostrato amore per la sua patria”.

Uno strano tipo di amore, quello che si manifesta attraverso il disprezzo per le regole e il mancato rispetto per una collega. Ma il Cavedagna ha specificato la sua proposta: “Noi ci definiamo patrioti italiani, lei è sicuramente una patriota ucraina. Crediamo che Bologna, che si è dimostrata accogliente con lei, debba valutare di proporle la cittadinanza onoraria. La nostra città l’ha abbracciata e sostenuta, potrebbero farlo anche le istituzioni”.

Insomma, un affratellamento tra nazionalisti, più che tra patrioti. Infatti, chi veramente ama la propria Patria, intesa come terra dei padri, come radici e identità, non può che rispettare anche quella degli altri. Il nazionalismo invece è una brutta cosa, è una parodia del patriottismo, soprattutto quando si coniuga, paradossalmente, con un certo tipo di internazionalismo, che in questo caso è rappresentato da quelle istituzioni sovranazionali, come la NATO, senza le quali il conflitto che insanguina il Paese della Kharlan sarebbe già terminato. La schermitrice ucraina non ha compiuto alcun gesto di amore per la sua patria, ma di avversione verso una avversaria (non una nemica) e verso le regole dello sport e del vivere civile. E ugualmente il consigliere comunale del partito con la fiamma tricolore non ha giovato in alcun modo al bene dell’Italia

I politici italiani che si sentono Fratelli d’Ucraina farebbero bene a riflettere su tutto ciò, e a non usare lo sport come mezzo di propaganda ideologica.

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