I risultati disastrosi di una lunga egemonia culturale

Egemonia Culturale

Riprendere la cultura e l’arte, dopo il vuoto della dittatura culturale di sinistra.

Di Dionisio di Francescantonio

Egemonia CulturaleAccanto all’ovvia affermazione che l’area politica di centrodestra non può più esimersi dall’attrezzarsi adeguatamente per contendere e riconquistare alla sinistra politica quegli spazi culturali che essa detiene ormai da troppo tempo, credo sia necessario fare chiarezza circa la proposta di una cultura del centrodestra che sia veramente alternativa a quella proposta dal postcomunismo, cominciando a stigmatizzare con puntualità e rigore la qualità del prodotto culturale ammannito per molti anni dalla sinistra alla coscienza degli italiani. Va detto senza mezzi termini che lo scopo della sinistra italiana, come per tutte le ideologie ispirate al bolscevismo rivoluzionario, era quello di instaurare uno stato totalitario dove la libera persona venisse sostituita dall’uomo sociale, abolendo cioè ogni differenza tra uomo e uomo, soffocando l’io unico e insostituibile che ispira il proprio agire alla libera creatività individuale per sostituirlo con la tirannide della collettività e dell’uguaglianza assolute. In altre parole, scardinando le fondamenta stesse della civiltà di cui siamo figli, quella civiltà dell’Occidente basata sulla centralità e sulla libertà della persona umana e sulla democrazia della società degli individui, concetti ereditati dalla cultura classica greco-romana su cui si è innestato l’afflato vivificatore del cristianesimo. Su questa strada la “politica culturale” praticata per impulso dell’ideologia rivoluzionaria, mossa dalla sua radicale avversione al patrimonio culturale dell’Occidente e ovviamente al cristianesimo che ne costituisce la base etico-morale, ha letteralmente rovesciato il senso della nostra cultura. Così abbiamo assistito al travisamento e alla degenerazione di tutti i principi basilari della nostra tradizione: il bello è diventato brutto e viceversa, mentre il bene e il male, nonché la verità e la menzogna, sono diventati concetti relativi o intercambiabili perché piegati e asserviti all’affermazione o alla negazione di ciò che, dal punto di vista dell’ideologia rivoluzionaria, rappresentava l’unico bene possibile, vale a dire l’affermazione del sistema collettivistico irreligioso e totalitario. Il senso di ciò che guidava il nostro agire, tra cui fare arte, è stato ribaltato e snaturato: l’arte non doveva più mirare al bello e al sublime per fornire una testimonianza di ciò che più ci avvicina all’immagine del Creatore del mondo, ma esaltare tutto ciò che ci volge all’ingiù e attesta la nostra natura materiale e animale, celebrando il trionfo dell’istintualità ferina di cui si sostanzia il nostro essere e la terrestrità biologica a cui si riduce l’esistenza laddove sia negato ogni riferimento alla trascendenza. In tal modo la ragione stessa dell’arte, in tutte le discipline attraverso cui si manifesta, si è confusa perché si è offuscata o addirittura perduta la capacità di discernere tra bellezza e bruttezza, tra grandezza e pochezza e, alla fin fine, tra sublime e banale. Spezzando il filo secolare della nostra tradizione, dove la concezione estetica dell’uomo obbediva alla sua sete di armonia e di bellezza così come si riscontra nel creato, e che ha permesso all’Occidente di progredire verso conquiste spirituali e artistiche mai ottenute da altri, l’ideologia collettivistica assolutizzata si è mossa decisamente sul versante del regresso, della distruzione dell’armonia e della bellezza e, in ultima analisi, della confusione e della decadenza propugnate e vissute all’insegna del materialismo e del nichilismo etico-estetici più furibondi e protervi. Il risultato di questo processo è sotto gli occhi di tutti: la cultura, nel nostro Paese, è ormai un cadavere. Il controllo ideologico del pensiero praticato per troppo tempo dalla sinistra comunista e postcomunista ha banalizzato e imbruttito drasticamente ogni forma di comunicazione. La produzione poetica e narrativa è scaduta ad afasia o balbettio inconcludente e tedioso, salvo rare eccezioni costrette all’editoria o ai circoli letterari underground, come dire al silenzio. La nostra cinematografia, una volta prestigiosa benché condizionata già nell’immediato dopoguerra dalla presenza di elementi ideologici della sinistra, oggi è ridotta a sottoprodotti dilettantistici che possono incontrare il consenso solo di un pubblico imbambolato e ormai rassegnato al peggio. L’architettura e l’urbanistica, da decenni, non fanno che sconnettere, soffocare e rovinare città e borghi un tempo tra i più belli del mondo. Le arti figurative sono costrette a ricamare ghirigori nel vuoto, sempre più inutili e incomprensibili. Per non parlare del conformismo del politicamente corretto che stravolge ogni manifestazione della tradizione all’insegna del multiculturalismo e quindi della negazione dell’identità e del radicamento. Questo, dunque, deve aver presente e denunciare vigorosamente il centrodestra: che l’egemonia del pensiero unico di sinistra non ha prodotto altro, in Italia, che sottocultura e non cultura, misconoscendo e negando, e quindi depauperando e distruggendo ignominiosamente, un patrimonio culturale e identitario che figurava tra i più alti del mondo. Nell’invocare (e nell’attrezzarci per poterla realizzare) la fine del conformismo ideologico che detiene ancora troppa parte dei mezzi che educano e orientano le coscienze non avendo mai rotto col massimalismo fallace e distruttore delle proprie origini, non dobbiamo perdere di vista la necessità imprescindibile di tornare a riannodare il filo spezzato con la nostra tradizione, restituendo a tutti noi l’orgoglio, la sensibilità, il modo di intendere e di volere, in una parola la forma mentis ereditata dalla nostra identità italiana e occidentale, la sola capace di farci tornare ad attingere gli alti risultati che hanno caratterizzato per secoli la nostra storia.

Dionisio di Francescantonio scrive e dipinge. Ha pubblicato articoli, racconti, fotografie e disegni su libri, riviste e giornali italiani e stranieri, collaborando in particolare con le edizioni De Agostini, Sei, La Scuola editrice, Giunti Marzocco, Le Monnier. In volume ha pubblicato il saggio illustrato “Folclore ligure: le Casacce” e due romanzi: “L’identità del fuoriuscito” e “Eldorado”. Ha esposto i suoi dipinti in Italia (a Genova, Lucca, Firenze) e in Francia (a Aix en Provence). Si dichiara avverso alla cultura antioccidentale, improntata al relativismo dei valori e al nichilismo delle coscienze, propugnata dalla sinistra politica erede del Sessantotto. Si Propone, attraverso le discipline artistiche, di recuperare l’insegnamento della grande cultura dell’Occidente e il suo senso dell’ordine e della bellezza.

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