Il lavoro con gli anziani: intervista ad un’operatrice socio-sanitaria – di Cristiano Lugli

Proseguiamo il nostro approfondimento dedicato al tema degli anziani, che affrontiamo questa volta attraverso gli occhi della Sig.ra Eleonora Stefanino, giovane operatrice socio-sanitaria che ha lavorato in alcune case di riposo. Questa testimonianza semplice ed esterna all’ambiente cosiddetto cattolico tradizionale ci aiuta a comprendere meglio, senza veli, il grosso problema dell’abbandono che abbiamo introdotto negli articoli precedenti.

Sig.ra Eleonora, Lei che ha trent’anni, potrebbe dirci qual è stata sinora la sua esperienza lavorativa nell’ambiente sanitario?

Inizialmente ho fatto alcune sostituzioni in una casa di riposo, in quel periodo non c’era ancora l’obbligo, come ora, di possedere l’attestato da Oss (Operatore socio-sanitario).

Successivamente ho deciso di intraprendere il corso per Operatore Socio Sanitario a Reggio Emilia e poi, munita di diploma, ho lavorato per circa 6 mesi in una struttura e per quasi un anno in un’altra.

Pensa esistano differenze fra un ambiente sanitario privato ed uno pubblico?

Personalmente, non ho avuto esperienze dirette e soprattutto durature per poter rispondere con certezza a questa domanda. Ma dal mio punto di vista sicuramente le due situazioni hanno qualche punto in comune mentre per altri aspetti si distinguono.

Quale crede che siano, allora,  i problemi di fondo nel mondo lavorativo sanitario-assistenziale?

Penso che il problema di fondo sia il tipo di assistenza fornita e l’approccio con il paziente: manca una formazione di tipo umano in chi lavora in questi ambienti dove si ha a che fare con la sofferenza degli anziani.

Gli anziani sembrano in effetti essere la categoria di persone più dimenticata dal mondo. Ce lo conferma?

Ecco, forse questa potrebbe essere una risposta fondata più che altro sulla mia personale esperienza.

Sì, purtroppo lo confermo: ci sono molte persone sole, abbandonate non solo dai familiari, ma anche da chi, all’interno delle strutture, dovrebbe prendersi cura di loro. Si tratta di abbandono morale più che fisico. Il nostro diventa un lavoro meccanico senza dedizione, questa è la realtà.

Perché?

Perché le persone anziane sono viste come un peso, persone sulle quali ormai non si può più far affidamento e che non possono più essere utili.

Cosa manca secondo lei alla base di un sistema che cura soltanto il corpo e, in alcuni casi, anche in modo non conforme alla carità e all’umanità?

Direi che manca totalmente l’approccio spirituale, il fatto di vedere e cercare di far entrare nella logica delle persone che gli anziani, seppur malati o con problemi che possano “appesantire” il vivere quotidiano, possono ancora darci qualcosa. Ci possono insegnare molto e soprattutto, a parer mio, non bisogna mai dimenticare che un giorno potremmo trovarci noi nella loro situazione. E chissà se riceveremo lo stesso trattamento…

Il tema della Fede pare essere diventato un tabù negli ospedali e nelle case di riposo. Eppure non è questo un aspetto molto importante per chi lavora con ammalati o comunque persone anziane?

Sì, penso che il tema della Fede rivesta un ruolo molto importante nel nostro ambiente lavorativo, sia per il personale che per gli ospiti. Con la Fede si possono far vedere le cose, finanche la sofferenza più atroce, in modo diverso, sotto una luce diversa. Questo permetterebbe di svolgere il proprio lavoro in modo molto più umano e caritatevole, giovando ad ambedue le parti in causa: paziente e operatore.
Agli anziani si parla della morte?

Devo ammettere che non mi è mai capitato di parlarne, forse per la paura della reazione. Nemmeno ho mai sentito altri parlarne.

Esiste, all’interno di queste strutture, un accompagnamento spirituale?

Anche qui, basandomi sulla mia personale esperienza, devo dire che non ho mai visto l’ombra di figure che fungessero da guide spirituali. Né sacerdoti, né religiosi.

Può esser capitato che il parroco del paese sia venuto a far visite all’ospite lì ricoverato, ma sono occasioni sporadiche e che non hanno nulla a che fare con una disponibilità all’assistenza spirituale. Sono episodi circoscritti e fine a se stessi.

Credo perciò che questa sia una mancanza generalizzata e pesante. Sarebbe importante che ci fossero più sacerdoti disponibili per una Confessione o, appunto, per una direzione spirituale rivolta a chi la desiderasse. E intendo non solo ospiti, ma anche operatori.

Sono i sacerdoti a non essere presenti, o i pazienti a non chiedere dei sacerdoti?

Me lo sono chiesta varie volte. Di primo acchito mi verrebbe da risponderle che la mancanza viene da tutte e due le parti. Tuttavia, riflettendoci, è il malato ad aver bisogno del medico, no?

Se questa è la realtà interna alle strutture per anziani, allora vuol dire che anche la Chiesa sta perdendo quello spirito di missione e di Misericordia che invece sembra esser tanto decantato oggigiorno…

Non conosco bene le dinamiche ecclesiastiche, ma purtroppo mi sento di dire che da un certo punto di vista credo sia proprio come dice lei. Anche nell’ambito della Chiesa a volte la mancanza di tempo stravolge la piramide delle priorità. Per burocrazia e cose del tutto secondarie si tralascia la cura spirituale di una categoria abbandonata da tutto e da tutti. La mancanza delle vocazioni e il numero sempre più basso dei sacerdoti completa questo quadro desolante.

Come si può secondo lei riportare la carità nelle strutture per anziani, case di riposo od ospedali che siano?

La figura della guida spirituale, come già detto, potrebbe essere secondo me di grande aiuto. La celebrazione della S. Messa più spesso e la possibilità, per chi lo desiderasse, di tornare alla fonte della Fede magari con qualcuno che si avvicini anche solo con delle letture spirituali da fare insieme, meditandole e commentandole.

Sarebbe fondamentale ricominciare a prendersi carico della persona malata o anziana in tutta la sua complessità, e provvedere non alle sole cure fisiche, ma anche umane, morali e spirituali. A supporto degli operatori sarebbe bene che si fondassero dei piccoli gruppi o che so, delle confraternite di laici volontari, in grado di dare quel supporto, anche spirituale, di cui molte persone oggi hanno estrema necessità.

 

1 commento su “Il lavoro con gli anziani: intervista ad un’operatrice socio-sanitaria – di Cristiano Lugli”

  1. Tristezza senza fine: ecco cosa procura la visita di una casa di riposo. Più che altro i vecchietti, sistemati sulle loro carrozzine da dove difficilmente si alzeranno mai , sembrano tutti in attesa; non del pranzo o della cena, ma di qualche gesto di umanità che si pieghi su di loro con almeno una parvenza di affetto per accompagnarli infine alla meta. Ultimamente ho avuto modo di frequentarli questi ambienti . Rare visite e più rari i preti col conforto di Cristo, anzi, e ne ho avuto sconcertante esperienza, col proposito di accattivarsi le simpatie dei più facoltosi. Chissà perché….
    Eppure, invece degli interessi mondani, soprattutto competerebbe loro prepararli all’incontro con Dio, anziché tranquillizzarli solo sulla loro salute. Sono gli esiti di una chiesa che ha sostituito il suo compito divino con sorrisini, battutine e simpatici buffetti sulla guancia e … ma insomma, sì, quando sarà il tuo turno, vai pure in pace. Amen.

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