L’imbarazzante silenzio della gerarchia e il rispettoso applauso dei cattolici progressisti
di Piero Vassallo
L’enunciazione del nuovo imperativo laicista – “le sentenze si rispettano” – non ha turbato la gerarchia cattolica, in compenso ha prodotto la frenetica goduria dei militanti nella scuola teologica bolognese e dei loro adepti allo sbaraglio politico.
Tuttavia, il fedele e la persona ragionevole disprezza la bandiera ideologica che ispira sentenze delittuose e prima che delittuose demenziali.
E’ infatti certo che non tutte le sentenze sono degne di rispetto. Il catechismo, ad esempio, insegnava e insegna ancora che la sentenza di Ponzio Pilato fu dettata da una colpevole ignavia e meritò non il rispetto ma l’eterno disprezzo dei fedeli e degli uomini onesti.
La sentenza dei giacobini, che avviò alla ghigliottina le sedici carmelitane di Compiègne, colpevoli di aver adorato e pregato un Dio non coincidente con l’essere supremo oggetto delle allucinazioni di Massimiliano Robespierre, non può e non deve essere rispettata.
La sentenza del tribunale nazista, che fece decapitare (ghigliottinare) i soci della Rosa Bianca non può e non deve in alcun modo essere rispettata.
La sentenza del tribunale staliniano che condannò all’ergastolo l’eroico cardinale Mindszenty non può e non deve essere rispettata.
La sentenza thanatofila, che ha condannato a morte Eluana Englaro non è degna di rispetto perché discende da leggi inquinate da pregiudizi e da errori infernali.
Una sentenza degna di rispetto deve possedere due qualità: essere pronunciata da giudici indipendenti in nome di una giusta legge.
L’autorità delle sentenze discende dalla conformità della legge al diritto naturale e dalla neutralità dei giudicanti.
Al proposito è bene rammentare che l’autorità della legge naturale fu affermata, nel 1945, dai giudici di Norimberga: prima di processare imputati, che non avevano violato leggi positive in vigore nel loro paese al momento della consumazione dei delitti, si affermò l’autorità della legge di Dio.
Questo classico, indiscusso precedente dimostra, senza lasciare ombra di dubbio, che il primato della legge naturale sulle leggi positive e sulle sentenze dei tribunali che le applicano arbitrariamente, è una verità di ragione prima che una certezza cattolica.
In assenza della fedeltà al diritto naturale, insostituibile qualità delle legge dello Stato, la sentenza merita profondo disprezzo e non servile ossequio.
Purtroppo nel silenzio della gerarchia, soltanto la voce intrepida di monsignor Brunero Gherardini ha osato denunciare l’errore capitale, che sostiene il demenziale imperativo intorno al rispetto dovuto alla qualunque sentenza: il mito della sovranità popolare.
Ora la storia dimostra che, in realtà, la sovranità popolare è un errore madornale, utile solamente all’attività disonesta di una selezionata oligarchia, costituita da calunniatori della vita, politici da obitorio radical-chic, medici deragliati nella fossa dei serpenti abortisti, utopisti da vespasiano, miliardari umbratili, giornalisti a gettone, cabarettisti urlanti e giudici obbedienti al potere.
Deve finalmente essere affermato che il rifiuto di rispettare la qualunque sentenza del qualunque tribunale non ha origine dal caso Berlusconi, del quale in questa sede non si intende discutere.
Il caso Berlusconi, infatti, è cosa da niente a confronto con la teoria generale, che esige il rispetto acritico di sentenze conformi a leggi insensate. Il rispetto delle sentenze, in ultima analisi, è un cavallo di Troia costruito per trasportare nelle coscienze degli italiani l’ossequio delle leggi dissennate, che sono in preparazione nei circoli della politica dipendente dal delirio esoterico.