di Vincenzo Merlo fonte: Storia Libera
In un precedente articolo abbiamo parlato del carico di odio anticattolico insito nella Rivoluzione francese. Ora puntiamo la nostra attenzione sulla Vandea cristiana, che, esasperata dalle imposizioni e dalle violenze continue dei rivoluzionari, si ribellò.
Scrive Vittorio Messori nel suo “Pensare la storia”: «Secondo lo schema conformistico, l’Ovest della Francia si sarebbe sollevato contro la Parigi dei giacobini spintovi dagli aristocratici e dal clero che intendevano conservare i loro privilegi. E’ una mistificazione che da tempo è stata smascherata ma che è ancora ripetuta nei testi scolastici, contro l’evidenza dei documenti: i quali mostrano senza possibilità di dubbio che la rivolta venne dal basso, dal popolo che, spesso, con la sua iniziativa, travolse le esitazioni del clero e dei nobili. Insurrezione, dunque, popolare e non “politica” e nemmeno “sociale” ma essenzialmente religiosa, contro la scristianizzazione alla quale, nella capitale, intendeva procedere una minoranza di feroci ideologi… L’insorgere delle masse in difesa del cristianesimo nell’Occidente della Francia (e, più tardi, in Italia, nel Tirolo, nella Spagna invasa da Napoleone) è dunque un unicum che sorprende gli storici».
A dispetto delle mistificazioni storiografiche propagandate dalla vulgata sinistrorsa durante due secoli, quindi, una intera regione francese, invocando i nomi di Dieu et Roi, si solleva contro i rivoluzionari. Spiega Pierre Gaxotte, nel suo “La Rivoluzione francese”: «Fu il reclutamento a provocare anche la rivolta della Vandea. Il paese era molto attaccato alla sua religione, ai suoi preti e ai suoi nobili. La Rivoluzione era stata male accetta, e la rivolta covava da mesi. La legge dei 300.000 uomini ne fornì l’occasione. In qualche giorno il paese fu in fiamme. Lo stato maggiore dell’insurrezione comprendeva, fraternamente uniti, dei contadini, Stofflet e Chatelineau, dei nobili, Charette, Bonchamp, d’Elbèe e La Rochejacquelein, e persino dei curati come l’abate Bernier. I vandeani massacrarono i patrioti di Machecoul, maltrattarono le guardie nazionali, i gendarmi e i vincitori della Bastiglia che erano stati inviati contro di loro, si impadronirono di Cholet, Thouars e Fontenay, e minacciarono Nantes, in cui riuscirono anche ad entrare per poco tempo».
La lotta divampò asprissima per nove mesi con sorti alterne, finchè, nel settembre 1793, assaliti da un esercito regolare armato di fucili e cannoni al comando del generale Westerman, soprannominato «il macellaio dei Vandeani», questi ultimi vennero sconfitti nella battaglia di Savenay. Si scatenò allora il genocidio di un popolo cristiano, solo perché cristiano. Scrive Reynald Secher, probabilmente il massimo esperto della rivolta di Vandea e autore del fondamentale “Il genocidio vandeano” (Effedieffe): «A questo punto la Repubblica decide di mettere in atto un piano di sterminio e annientamento della Vandea. L’idea era stata enunciata da Bertrand Barere e fu seguita da tre leggi. Quella del 1° agosto prevede l’incameramento dei beni dei Vandeani, l’altra del 1° ottobre lo sterminio della popolazione, di preferenza le donne e i bambini che sarebbero divenuti i futuri “briganti”. La legge del 7 novembre prevede che il nome della Vandea venga sostituito con quello di Vengè (“vendicata”). L’applicazione di tali decisioni avviene in tre fasi: la prima corrisponde ad esperimenti scientifici, con l’uso del veleno, di mine antiuomo e massificazioni. Poi ci si orienta su strumenti più pratici: la ghigliottina, la fucilazione, il cannoneggiamento, le esecuzioni con la sciabola, gli annegamenti; metodi tuttavia costosi, lenti, inefficaci. Da qui il piano del generale Louis Marie Turreau, lanciato nel gennaio 1794 e fondato su tre strutture: la flotta sulla Loira, la “colonna infernale”, il comitato di sussistenza. Per 4 mesi fu l’orrore assoluto: dappertutto si bruciava, si massacrava, si stuprava… Si squarciano i corpi per toglierne il grasso, si mummificano cadaveri, si concia la pelle umana». Robespierre, infatti, non tollerava debolezze e ammoniva: «Bisogna soffocare i nemici del popolo con il terrore, bisogna che i briganti della Vandea siano sterminati. La Vandea deve diventare un cimitero nazionale».
Anche Don Massimo Astrua, nel suo prezioso “Perseguiteranno anche voi” (Mimep Docete), descrive approfonditamente il genocidio perpetrato contro il popolo vandeano: «Specialmente le donne erano ricercate e quasi sempre uccise sul posto in quanto “solchi riproduttori di mostri”. Per farlo si usarono anche mezzi chimici come l’avvelenamento delle acque, con l’arsenico, oppure dell’aria utilizzando “suffumigi” velenosi (gas mortali) inventati dal farmacista Proust. Poiché i vandeani da uccidere erano tanti e poiché le pallottole costavano troppo, venne dato l’ordine di usare la baionetta o la ghigliottina, il “rasoio nazionale”, il “mulino silenzioso”, la “santa madre della rivoluzione».
Ma la massa dei vandeani catturati cresceva ogni giorno. Si istituirono allora le cosiddette «anticamere della morte», specie di campi di concentramento dove venivano ammassati uomini, donne e bambini in attesa di essere eliminati. Gli stermini di massa vennero accelerati dagli «annegamenti», che potevano essere individuali, ma più spesso a coppie (chiamati sadicamente «matrimoni repubblicani»), oppure collettivi. La procedura di questi ultimi era molto semplice: si ammucchiavano i condannati su una vecchia imbarcazione che, una volta al largo, si faceva volare in pezzi a colpi di cannone: l’acqua irrompeva da tutte le parti e in pochi istanti tutti i prigionieri morivano annegati. A chi era sospettato di saper nuotare venivano preventivamente tagliate le braccia. Il cosiddetto «battesimo patriottico» avveniva per lo più nella Loira, che a sua volta fu nominata il «gran bicchiere dei bigotti». Il Commissario Lequin, che assistette di persona ai massacri, attestò: «La violenza e la barbarie più spinta si riscontrano ovunque. Si sono visti militari repubblicani usare violenza a donne ribelli su mucchi di pietre lungo le grandi strade, e poi ucciderle con il fucile e con il pugnale».
In conclusione, dopo quattro anni di resistenza (1791-1795), i vandeani uccisi per voler rimanere fedeli a Cristo e alla Chiesa risulteranno 117.000, su una popolazione complessiva di 800.000 persone; le abitazioni distrutte 10.000 su un totale di 50.000. Si era consumato il primo genocidio della storia moderna. Traendo le conclusioni dell’esperimento vandeano, Reynald Secher afferma: «La Vandea era vista come esemplare dai rivoluzionari, soprattutto da Robespierre, che voleva compiere un’esperienza a grandezza naturale per applicarla in seguito a tutto il territorio. La Vandea doveva insomma essere un laboratorio su grande scala. I figli spirituali di Robespierre, tra cui Lenin e Pol Pot, se ne sono ispirati. Del resto, ricordo sempre che Lenin ha abitato in Vandea, mentre Ho Chi Minh e Pol Pot hanno studiato a Parigi… L’ideologia è la stessa, i metodi identici. Si trattava in ogni caso di creare l'”uomo nuovo” e, per questo, di eliminare il precedente».
1 commento su “IN VANDEA IL PRIMO GENOCIDIO DELLA STORIA MODERNA – di Vincenzo Merlo (da Storia Libera)”
Spesso la storia è mistificata perché viene riscritta dai vincitori. Ci si scandalizza ancora tanto per la fatidica”caccia alle streghe” – soprattutto le femministe più accese e anticattoliche – che in tre secoli, in tutta Europa, non fece più di 400.000 morti – soprattutto in Germania e in Francia ad opera dei governi laici-, ma volutamente ci si dimentica che durante la “Rivoluzione francese”, in un solo anno furono mandate alla ghigliottina 400.000 persone!