Di Roberto Roggero

KATYN: UN MASSACRO MADE IN URSS

  Un avvenimento storico che le molte versioni hanno contribuito a confondere, inizialmente riferito alla morte dei soli ufficiali polacchi detenuti nel campo sovietico di Kozielsk, vicino al villaggio di Gnezdovo, a breve distanza da Smolensk. Le ultime indagini storiche hanno accertato oggi la scomparsa di oltre 22mila fra civili e militari, prelevati dai campi di Kozielsk, Ostashkov e Starobielsk, oltre a quelli detenuti nelle prigioni dell’Ucraina e Bielorussia occidentali.

 L’imbarazzante perché del massacro

 L’ordine con la scelta del luogo destinato alle esecuzioni (oltre alla foresta di Katyn, anche le prigioni di Kharkhov e Kalinin e altri centri minori) giunge direttamente da Stalin, e il motivo scatenante è l’intenzione di cancellare la classe intellettuale e degli ufficiali dell’esercito polacco.

Numerosi soldati, circa 15mila, erano stati fatti prigionieri dopo l’invasione tedesca, nel settembre 1939, e rinchiusi in diversi campi, specialmente quelli per 8.000 ufficiali a Starobielsk, Kozielsk e Ostashkov.

C’è da riflettere su alcuni aspetti della dittatura staliniana, a lungo giudicati troppo imbarazzanti per essere resi pubblici, eppure la verità è stata ampiamente dimostrata: il carattere fortemente repressivo e la marcata tendenza imperialista, certo non propri del caso sovietico, ma che qui trovano un’applicazione su scala decisamente vasta.

La decisione di Stalin, messa in pratica dal fedele Berja, capo della NKVD, risponde ad una logica ben precisa di indebolimento della Polonia appena invasa. Infatti, poiché il sistema di coscrizione polacco prevedeva che ogni laureato divenisse ufficiale della riserva, il massacro doveva servire ad eliminare una parte cospicua della classe dirigente nazionale.

Il disegno risponde al progetto originario sulla spartizione URSS-Germania, che per altro avevano due sistemi politici, ideologici, culturali e sociali totalmente differenti e in contrasto fra loro, e forzatamente legate da un patto di alleanza fino al giugno 1941, cioè per circa due anni.

Ai primi di marzo 1940, Lavrentij Berja, in qualità di capo della polizia politica segreta, annuncia ufficialmente a Stalin che l’ordine era stato reso esecutivo da alcuni membri del Comitato Centrale e dei Soviet, in particolare i generali Voroshilov e Mikojan, e il ministro Molotov, i quali avevano firmato le direttive in linea con i “provvedimenti per la lotta a controrivoluzionari e nazionalisti”.

Volutamente, la generica definizione del capo d’accusa era calcolata per comprendere nel numero dei condannati anche una parte significativa della classe intellettuale polacca. Per questo il numero degli uccisi, in quello che comunemente è definito “massacro di Katyn”, è di oltre 22mila persone, di cui i militari e prigionieri di guerra sono 15mila.

Inizialmente imputata ai reparti speciali nazisti che seguivano le truppe in prima linea (i tristemente famosi Einsaatzgruppen, gruppi di sterminio), la strage viene scoperta ufficialmente nel 1943 e causa la immediata rottura delle relazioni fra URSS e governo polacco in esilio a Londra. Mosca nega decisamente ogni accusa fino al 1990, quando la verità è resa pubblica e il Cremlino è costretto ad ammettere la responsabilità della NKVD nell’attuazione e nell’insabbiamento della vicenda.

 La scoperta, le indagini, gli insabbiamenti

 A rigor di cronaca, il destino dei prigionieri di guerra polacchi è svelato per la prima volta poco dopo l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica del giugno 1941, quando il governo polacco in esilio a Londra e il governo sovietico decidono di cooperare contro la Germania e formare un’armata polacca in territorio russo. Quando il generale Władysław Anders inizia a organizzare questa armata, richiede informazioni sugli ufficiali ancora prigionieri in territorio sovietico. Stalin rassicura, durante un incontro personale, che tutti i polacchi erano stati liberati, anche se alcuni di loro potevano essere fuggiti (riparando ad esempio, in Manciuria).

La vicenda è coperta dal più assoluto silenzio fino all’aprile 1943, quando alcuni reparti della Wermacht giungono nella foresta di Katyn su segnalazione di un abitante del luogo, e vengono scoperti i resti di oltre 4.000 ufficiali polacchi.

L’annuncio pubblico dei massacri è dato da Radio Berlino il 13 aprile 1943: “…Sono stati ritrovati 12 strati di corpi per un totale di circa 3.000 (..) i corpi sono in stato di conservazione discreto grazie alle proprietà del terreno, e la loro identificazione non sarà difficile per il fatto che sono stati ritrovati sulle uniformi i documenti di identificazione. E’ già stato accertato che fra le vittime è compreso il generale Smorawinski, comandante del distretto di Lublino…”.

I governi tedesco e sovietico iniziano così una battaglia propagandistica per addossarsi l’un l’altro la responsabilità dei fatti.

A Berlino, il ministro della Propaganda, Joseph Goebbels, prepara la propria battaglia, che aveva lo scopo di rompere gli accordi fra URSS, alleati occidentali e governo polacco in esilio. Nel suo diario, Goebbels annota che “gli osservatori esteri si meravigliano della straordinaria astuzia con la quale siamo stati in grado di convertire l’incidente di Katyn in una questione altamente politica…”. Infatti, i tedeschi riescono a screditare pesantemente Mosca, e a mettere il governo polacco in esilio in posizione decisamente vantaggiosa rispetto al governo fantoccio di Stalin, minacciando l’equilibrio fra gli alleati occidentali, poiché Churchill e Roosevelt erano notoriamente divisi circa l’atteggiamento verso il generale Sikorski, e l’ambasciatore sovietico a Londra, Ivan Maiski. La questione è risolta con l’improvvisa morte del generale Sikorski (questione tutt’ora molto discussa) l’unico che aveva mantenuto una presa di posizione senza compromessi sulla questione, tuttavia Churchill esprime in più di una occasione la propria convinzione che i massacri di Katyn erano stati compiuti dai sovietici, ma che era necessario evitare un’indagine ufficiale della Croce Rossa Internazionale per non compromettere le delicate alleanze che dovevano condurre alla vittoria nella guerra.

Come risposta, Stalin istituisce una Commissione Speciale di Investigazione (molto compiacente) quando l’Armata Rossa libera il territorio di Katyn nel gennaio 1944, diretta da Nikolai Burdenko, presidente della Accademia Medica dell’Unione Sovietica che, dopo un riesame dei resti delle vittime, dichiara decisamente la colpevolezza dei tedeschi.

Da parte sua, nel 1944 Roosevelt incarica il capitano Gorge Earle, suo rappresentante speciale nel Balcani, di redigere un dossier su Katyn. L’ufficiale americano svolge con zelo il compito, contattando informatori in Romania e Bulgaria. Alla fine delle indagini aveva ampiamente dimostrato che i russi erano colpevoli. Le conclusioni del rapporto sono però rigettate da Elmer Davis, direttore dell’Ufficio Informazioni di Guerra, che ordina anche di distruggere i documenti. Quando Earle chiede di poter pubblicare le sue ricerche, Roosevelt in persona ordina di fermare tutto e l’ufficiale viene trasferito, per terminare la guerra nelle isole Samoa.

Nel 1946, il pubblico ministero capo sovietico a Norimberga accusa la Germania per le uccisioni di Katyn, dichiarando che “uno dei più efferati atti del quale i principali criminali di guerra sono responsabili, erano le esecuzioni di massa a Katyn, da parte degli invasori tedeschi”. A sostegno di questo sono ascoltati alcuni “testimoni oculari” pare debitamente istruiti dalla NKVD. La questione viene poi messa da parte quando Washington e Londra rifiutano di appoggiare l’accusa: Katyn non è menzionata in nessuna delle sentenze di Norimberga, finché, nel 1951, un’investigazione del Congresso americano conclude che i polacchi erano stati uccisi dai sovietici.

Il “Protocollo Sigillato N.1”: la verità viene a galla

 Quando la Polonia entra nella sfera d’influenza sovietica, Varsavia procede ad un occultamento totale della questione Katyn, sotto precise istruzioni di Mosca, censurando con estrema durezza ogni fonte o riferimento che potesse fare luce sui massacri, fino alla caduta del comunismo, nel 1989. A sostegno della tesi sovietica viene presentato l’eccidio di Hatyn, località della Bielorussia a circa 60 km da Minsk, dove vengono uccisi numerosi militari russi.

Nei fatti, a 48 ore dall’inizio dell’invasione tedesca (settembre 1939), il Commissario Speciale Berja (in pratica il ministro dell’Interno), presiede una riunione segreta del Comitato Direttivo della NKVD e del Dipartimento Prigionieri di Guerra e Sicurezza Interna, diretto dal generale Pyotr Sprunenko, nella quale autorizza formalmente l’apertura di campi di prigionia per polacchi: Jukhnovo-Babynino, Yuzhe-Talitsy, Kozielsk, Kozelshchyna, Oranki, Ostashkov (isola Stolbnyi, sul Lago Seliger, vicino a Ostashkov), Putyvli-Tetkino, Starobielsk, Vologod-Zaenikevo e Gryazovets.

Nel periodo aprile-maggio 1940 oltre 22.000 prigionieri di guerra polacchi sono assassinati: la prima aliquota di condannati sono 6.000 provenienti da Ostaszków, poi altri 4.000 da Starobielsk, circa 4.500 da Kozielsk e altri 7.000 dalle prigioni occidentali di Bielorussia e Ucraina. Gli unici superstiti sono 395 soldati, rinchiusi a Gryazovets.

La foresta di Katyn, nel territorio di Smolensk, è il luogo prescelto per l’eliminazione dei soli prigionieri di Kozielak, e poi ha dato il nome all’intera operazione, mentre nelle prigioni della NKVD a Kharkov sono uccisi i prigionieri di Starobielsk e i resti sepolti nei boschi intorno a Pyatikhatki. Gli ufficiali della polizia polacca sono uccisi a Kalinin e sepolti a Mieldnoje.

Le prime indiscrezioni sulle esecuzioni sovietiche sono diffuse da Dmitrii Tokarev, ex comandante della NKVD per il distretto di Kalinin. Tokarev rivela che il primo trasporto giunge in zona il 4 aprile con 390 persone, uccise nell’arco di una notte. Il trasporto seguente è di 250 uomini. Sono eliminati con un colpo alla nuca, con pistole Walther PPK giunte appositamente da Mosca, che aveva anche fornito precise e dettagliate indicazioni sulla metodologia del massacro: anzitutto veniva compiuto un controllo sui dati anagrafici, poi il condannato veniva ammanettato e condotto in cella d’isolamento, dove era immediatamente ucciso. Intorno erano posti motori e ventilatori per coprire il rumore degli spari. In seguito, il corpo veniva caricato su uno dei camion predisposti per il trasporto alle fosse.

E’ il 1989 quando un équipe di studiosi sovietici rivela pubblicamente che è stato Stalin a ordinare direttamente i massacri di Katyn. L’anno seguente Michail Gorbachev rivolge le scuse formali del governo russo alla Polonia, riaffermando che l’allora polizia politica segreta agli ordini di Berja, la NKVD, era responsabile delle esecuzioni, e che esistevano almeno altri due luoghi, Pyatikhatki e Mednoje, ancora sconosciuti, dove esisterebbero altre fosse comuni. Gorbachev sostiene poi che i dossier più importanti, con i verbali degli ordini diretti per l’esecuzione di oltre 20mila ufficiali polacchi, erano stati nascosti in luogo ancora sconosciuto. Secondo le indagini, contrariamente, Gorbachev sarebbe invece una delle tre persone a sapere esattamente dove.

La travagliata vicenda si avvia al termine sotto la presidenza Eltsin quando, nel 1992, tre ex alti funzionari del partito diffondono pubblicamente il “Protocollo Sigillato N.1”, un dossier altamente segreto. Nei documenti si legge della proposta avanzata dal capo dell’NKVD, Lavrentij Berja, di eseguire le condanne a morte di 25.700 ufficiali dell’esercito polacco, detenuti nei campi di Ostashkov Kozelsk e Starobels, e da alcune prigioni della Bielorussia e dell’Ucraina occidentali. In calce, la firma (tra gli altri) di Stalin. Il dossier segreto comprende poi alcuni estratti degli ordini del Comitato Centrale e una nota a mano di Shelepin a Krushev (marzo 1959) con “informazioni particolari sulla morte di 21.857 polacchi”.

Le indagini che accusano lo stato tedesco piuttosto che quello sovietico, sarebbero state usate per screditare il Processo di Norimberga nel suo complesso, spesso in supporto al revisionismo dell’Olocausto, o per mettere in discussione la legittimità e la saggezza di usare la legge per proibire la revisione dell’Olocausto stesso. Alcuni studiosi negano ancora oggi la colpevolezza sovietica, dichiarando falsi i documenti declassificati, e cercando di dimostrare che i polacchi sono stati uccisi dai tedeschi nel 1941, pur davanti a prove come diverse autopsie sui resti di Katyn, che evidenziano la differenza di un anno in un cadavere, o il fatto che molti corpi portavano uniformi invernali, mentre i tedeschi hanno invaso l’Unione Sovietica in estate, nel giugno 1941. E’ anche accertato che gli alleati sapevano con notevole anticipo quello che era successo. A Bletchley Park, il centro segreto di decodificazione del codice “Enigma”, la verità era già conosciuta grazie alle intercettazioni. Il governo sovietico, di fronte alle accuse, come già detto, nega con decisione, sostenendo che gli ufficiali polacchi erano solo stati fatti prigionieri e destinati a lavori forzati per la costruzione di opere di difesa intorno a Smolensk, quindi lasciati indietro quando le armate sovietiche sono costrette alla ritirata dalla avanzata tedesca. La Wermacht avrebbe catturato a sua volta i polacchi e li avrebbe uccisi nell’agosto 1941.

La prima prova a carico di Mosca sono le investigazioni tedesche e quelle della Croce Rossa, che offrono elementi evidenti per affermare come il massacro sia avvenuto all’inizio del 1940, periodo in cui l’area era ancora sotto il controllo sovietico.

Nell’aprile del 1943, all’investigazione della Croce Rossa Internazionale si aggiunge la pressione del governo polacco in esilio presieduto dal generale Władysław Sikorski, che chiede agli alleati di sottoporre la questione a Stalin. Il dittatore georgiano presenta a sua volta le “prove infondate del massacro di Katyn”, usandole come pretesto per ritirare il riconoscimento al governo di Sikorski, accusandolo di collaborare con la Germania nazista, e spingendo presso gli alleati occidentali per il riconoscimento del governo fantoccio guidato da Wanda Wasilewska.

Nel 2004 alcuni portavoce del governo russo annunciano l’intenzione di mettere a conoscenza del governo polacco ogni informazione sui fatti di Katyn, non appena fosse decaduta la classifica di segreto di Stato. Nel 2005 si chiudono i procedimenti di indagine aperti da oltre dieci anni.

Il capo del pubblico ministero militare russo, Alexander Savenkov, ha dichiarato che per quanto riguarda Katyn non si può parlare di genocidio, crimine di guerra o crimine contro l’umanità: non esisterebbero le basi per considerare la questione in termini giuridici. Nonostante le precedenti dichiarazioni, 116 dei 183 volumi di documenti raccolti durante l’investigazione russa, così come la decisione di porvi fine, rimangono coperti da Segreto di Stato.

In risposta, l’Istituto Nazionale Polacco della Memoria, ha dato avvio ad un procedimento proprio, portato avanti da diversi magistrati rappresentati da Leon Kieres. A sostegno di ciò, il Sejim (Parlamento polacco), nel 2005 ha approvato all’unanimità le disposizioni ufficiali per richiedere la consultazione degli archivi sovietici e la qualifica di “genocidio” per i massacri di Katyn.

 KATYN E IL CINEMA

La “scomoda verità” di Andrei Wajda

Il celebre regista polacco, il cui film su Katyn è in questi giorni nelle sale, ha un motivo particolare per quanto riguarda l’aver diretto la pellicola e l’avere molto a cuore la sua diffusione: il padre, capitano Jacob Wajda del 72°Reggimento Fanteria, è fra i morti di Katyn.

Sono stato a Mosca – spiega in un’intervista – e il procuratore generale mi ha risposto che non esiste alcun documento. In Polonia c’è stato un risveglio di orgoglio nazionale per questa ferita che rimane aperta. Nei tribunali di Mosca stagnano molte cause dei discendenti delle vittime che cercano delle risposte. Mosca o non risponde o dice che non esistono prove. Al centro del mio film non ci sono solo gli ufficiali assassinati ma le donne che hanno aspettato il loro ritorno: ogni giorno, ogni ora. L’Occidente come si è comportato? Non aveva interesse a irritare Mosca, non era interessato a smascherare il crimine di Katyn per non alterare gli equilibri politici internazionali. Non c’è stata possibilità di realizzare questo film fino al 1989, con la caduta del Muro di Berlino. Ma non voglio che quegli ufficiali muoiano per la seconda volta. Nella capitale russa hanno fatto sparire perfino le copie pirata su dvd. Ho capito l’importanza del mio film nell’unica proiezione a Mosca, 1000 cittadini russi invitati all’ambasciata polacca. Alla fine, dopo un lungo silenzio, si sono alzati in piedi e hanno applaudito. Fatelo sapere in Italia. Questo film non è uno strumento politico ma un obbligo morale verso i miei genitori. Ma si può boicottare la Storia?”.

Andrei Wajda, e specialmente il distributore italiano del film, parlano di boicottaggio culturale e commerciale, nonostante le lunghe file ai botteghini delle poche sale dove il film viene proiettato: “Oltre il contenuto e il tema scottante, rimane comunque un film spettacolare. In Polonia ha registrato oltre 3 milioni e 600mila spettatori”.

Rimane il fatto che, come già successo diverse volte, la pellicola è diventata un caso internazionale, nonostante e proprio perché è un soggetto scomodo. Molti critici hanno poi fatto notare che, sebbene l’Italia sia all’avanguardia nell’arte del doppiaggio, sarebbe stato decisamente meglio proiettare il film in lingua originale (una scelta commerciale azzardata nel nostro Paese…).

In Russia, com’era immaginabile, c’è stato un boicottaggio politico più pesante. Lo stesso regista afferma che il film è stato comprato da chi in realtà aveva tutto l’interesse a farlo sparire, come pare anche in USA.

 

 

 

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