LA GUERRA ITALO-TURCA. UNA PUNTUALE RICOSTRUZIONE DEGLI EVENTI BELLICI IN UN SAGGIO DI ROBERTO MAURIELLO – di Gianandrea de Antonellis

di Gianandrea de Antonellis

 

Nel 1911 Enrico Corradini, con riferimento alle potenzialità del territorio libico, affermò: «Altro che deserto! Siamo in terra promessa!», contribuendo ad alimentare il clima di entusiasmo per l’impresa africana. Nel secondo dopoguerra, a causa dell’ideologia antinazionale, antieuropea, anticolonialista e terzomondista, la conquista della Libia venne pressoché dimenticata e la stessa terra libica (un tempo ubertosa, come confermano le fonti antiche, almeno fino all’invasione islamica) disprezzata come un’inutile “scatolone pieno di sabbia” che si sarebbe presto trasformato in “suol di dolore” (come recitava una canzonetta socialista che parodiava la famosa “Tripoli, bel suol d’amore”).

Invero la guerra fu iniziata male, presupponendo a torto la scarsa combattività delle truppe turche e l’amicizia o la neutralità delle tribù arabe locali; in realtà solo grazie alle difficoltà di approvvigionamento e rifornimento dalla Turchia la campagna libica non si trasformò in una logorante guerra di posizione: infatti fu facile per i Turchi far leva sul sentimento religioso e far passare gli Italiani come infedeli che cercavano di sradicare l’islam per imporre una religione odiata, facendo in modo che le tribù dell’entroterra si schierassero in favore dell’Impero turco.

maurielloBenigno Roberto Mauriello, specialista di storia militare, materia che ha insegnato presso l’Università Europea di Roma, affronta la ricostruzione degli eventi bellici con particolare attenzione agli armamenti dei due eserciti: quello italiano che si stava rinnovando rispetto al mediocre strumento bellico post-risorgimentale protagonista in negativo a Custoza, Lissa ed Adua; quello turco ben armato ma non altrettanto ben addestrato.

Il numero degli uomini impiegati fu notevole (in tutto vennero utilizzate 200.000 unità), affiancati da cavalli, carri e, per la prima volta, dirigibili ed aeroplani. Fondamentale fu l’apporto della marina (allora la sesta a livello mondiale, superiore a quelle austriaca e russa), che aveva il compito di impedire di far giungere rifornimenti alle truppe nemiche.

Proprio l’uso dell’aviazione diede una svolta alle operazioni, permettendo di individuare i nascondigli nel deserto da cui i predoni berberi conducevano rapide incursioni che sfiancavano le truppe italiane: la possibilità di prevedere gli attacchi e di raggiungere gli accampamenti nemici modificò completamente il tipo di guerra che da secoli era stata condotta in quelle terre. L’autore sottolinea quindi come grazie alla tecnologia, disprezzata dalla cultura maomettana, fu possibile all’esercito sabaudo una vittoria altrimenti pressoché impossibile.

La guerra ebbe momenti altamente brutali: fu il caso della strage di Sciara Sciatt (23 ottobre 1911), dove 250 bersaglieri vennero catturati, evirati e decapitati; inoltre i Turchi usarono pallottole deformabili (o dum dum) e non esitarono a sparare sulla Croce Rossa. La risposta italiana fu dura, ma rimase sempre entro i limiti delle convenzioni internazionali sulla guerra, senza quindi giungere agli eccessi barbarici degli avversari, che cercavano «di terrorizzare l’avversario, di spargere tra i militari occidentali un senso di insicurezza e di isolamento, aumentando la diffidenza del corpo di spedizione nei confronti dei locali e creando un solco di odio tra arabi e italiani» (p. 53).

La guerra ebbe sostanzialmente tre fronti: quello terrestre per la conquista diretta del territorio; quello marittimo, poiché la talassocrazia era fondamentale per impedire i rifornimenti diretti (dalla Turchia alla Libia) ed indiretti (tramite la Tunisia in mano francese ad ovest e l’Egitto in mano inglese ad est); ed infine quello diplomatico: sia la Francia che l’Inghilterra da un lato che la Germania e l’Austria dall’altro, pur non essendo favorevoli all’espansione italiana, non volevano creare eccessivi motivi di frattura con lo Stato di Vittorio Emanuele III. L’unica grande potenza esplicitamente favorevole all’Italia fu la Russia zarista, che vedeva di buon occhio l’indebolimento di un nemico storico, evento che le avrebbe permesso di muoversi con maggiore sicurezza nel Mar Nero.

Con un fronte interno favorevole al governo (tranne gli anarchici e le frange dell’estrema sinistra socialista) anche quando fu chiaro che la campagna di Libia non sarebbe stata una passeggiata, Giolitti poté spingere perché le operazioni belliche si concentrassero soprattutto nel Mediterraneo orientale (risale a questo periodo l’occupazione delle Sporadi e del Dodecaneso – il 6 maggio 1912 sulla fortezza di Rodi tornò a sventolare una bandiera occidentale: quella italiana).

Le trattative diplomatiche dirette erano iniziate dal gennaio, ma si stavano protraendo a lungo. La Turchia, che intanto aveva problemi con gli stati balcanici, decise di formare un trattato di pace (18 ottobre 1912) per allontanare la minaccia di bombardamenti sulle linee ferroviarie necessarie allo spostamento di truppe sul fronte dei Balcani. Non tutti i sudditi del Sultano, però, accettarono il trattato, soprattutto in Cirenaica, dove «stavano maturando tutte le premesse per una lunga ed accanita resistenza. La società locale era infatti molto bene organizzata sotto la guida dell’ordine dei senussiti, i quali desideravano assumere il controllo diretto della regione» (p. 100). La rivolta rinvigorì durante il primo conflitto mondiale e solo sotto il regima fascista sarebbe stata definitivamente domata con la cattura e l’impiccagione di Omar el Mukhtar (1931), il capo della rivolta.

Accompagnato da un interessante inserto fotografico con una trentina di rare immagini d’epoca (notevoli alcune cartoline di propaganda militare) questa efficace sintesi di storia militare scritta da Benigno Roberto Mauriello contribuisce a spostare l’attenzione dal campo della politica interna (analizzato soprattutto dalla storiografia di impostazione marxista) a quello geostrategico, con attenzione ai rapporti di forza internazionali nel Mediterraneo dell’epoca.

 

Benigno Roberto Mauriello, La guerra italo-turca 1911-1912, Nuova Aurora, Prato 2011, p. 107, € 10

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