La lotta contro gli infortuni sul lavoro – di Guido Mariscotti

Infortuni sul lavoro

di Guido Mariscotti

S.S. Pio XII, parlando della lotta contro gli infortuni sul lavoro, ha richiamato
alcuni valori che riportiamo qui di seguito:
( Allocuzione ai partecipanti al Primo Congresso Mondiale per la prevenzione degli Infortuni sul lavoro, “En vous accueillant”, Roma 3 aprile 1955.)

Infortuni sul lavoroAi partecipanti 
al Congresso mondiale 
per la prevenzione 
degli infortuni sul lavoro.
“Nell’accogliervi qui, Signori partecipanti al primo Congresso mondiale di prevenzione degli infortuni sul lavoro, Noi ci riportiamo con lo spirito al mese di novembre dell’anno scorso, quando avemmo il piacere di ricevere a Castel Gandolfo i membri del Consiglio di Amministrazione della Organizzazione Internazionale del Lavoro. Noi allora Ci felicitammo vivamente con tale organismo perché aveva contribuito in gran parte allo sviluppo della legislazione sociale in molti paesi, e si dedicava con ardore allo studio dei problemi attuali posti dalle relazioni tra datori di lavoro e lavoratori. Uno di questi problemi, sorto dallo sviluppo continuo della meccanizzazione, è quello dell’accrescimento del numero degli infortuni sul lavoro, particolarmente sensibile dopo l’ultima guerra. È per affrontarlo che l’« Ente Nazionale di Prevenzione degli Infortuni sul lavoro », con il concorso dell’Ufficio Internazionale del Lavoro, vi ha invitati a questo Congresso. Molto commossi per l’omaggio che Ci volete rendere, Noi prendiamo volentieri questa occasione per rivolgervi le Nostre più sincere felicitazioni ed i Nostri incoraggiamenti.
Da parecchi decenni, la lotta contro gli infortuni sul lavoro viene perseguita con energia per mezzo di organismi tecnici specializzati. Vi si può vedere una delle conseguenze più felici dell’impulso dato nel secolo scorso, e costantemente accresciuto da allora, da tanti uomini generosi, solleciti di migliorare la condizione materiale e morale dei lavoratori, dei quali i Nostri Predecessori Leone XIII e Pio XI sostenevano e orientavano gli sforzi con le loro Encicliche sociali. Sono sorte importanti associazioni che, spesso con l’aiuto dei pubblici poteri, si adoperano a stimolare l’azione dei dotti, degli esperti e di tutti i responsabili in materia di sicurezza e di igiene del lavoro. Ma appariva sempre più l’importanza di evitare la dispersione delle forze, di mettere in comune il frutto delle esperienze e delle ricerche condotte in parecchi settori, di coordinare le iniziative sul piano internazionale il più vasto possibile. Tale è lo scopo di questo Congresso mondiale, che invita alle sue riunioni i rappresentanti degli organismi di prevenzione degli Stati membri dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.
Tra i temi di rapporti e di discussioni che voi avete iscritto nel vostro programma, Noi rileviamo in modo particolare lo studio del compito e del funzionamento dei comitati di sicurezza, le esigenze poste ai costruttori dalla sicurezza delle macchine, l’influenza dei fattori umani e specialmente della selezione e della formazione professionale, i problemi di collaborazione internazionale in materia di sicurezza. Temi molto generali, senza dubbio, ma che richiedono soluzioni particolari e che devono essere affrontati in questo primo Congresso mondiale.
Senza perdere di vista i fattori tecnici nella prevenzione degli infortuni sul lavoro, fattori così diversi nelle singole industrie, conveniva mettere in evidenza un aspetto più delicato: l’intervento dei motivi umani. La lotta che voi sostenete continua in effetti lo sforzo incessante che l’uomo compie fin dalle origini per dominare la materia, le sue cieche resistenze, le sue reazioni sconcertanti e alle volte improvvise e terribili contro colui che tenta di racchiuderle sempre più nelle reti delle sue invenzioni. Tutte le opere umane comportano un certo rischio fisico, economico, morale: si può, si deve anche accettarlo quando non passa il limite fissato dalla prudenza. D’altra parte l’uomo trova in esso una specie di sfida, uno stimolo psicologico potente. Ma d’altra parte nessuno può compromettere, senza grave ragione, la propria salute o quella dei suoi simili, né esporre la sua vita o quella degli altri. Eppure quante imprudenze, quante colpevoli negligenze, rischi deliberatamente accresciuti non cagiona il solo desiderio di evitare pesi economici e sacrifici materiali che provengono da qualsiasi applicazione di misure di protezione? La tendenza alla leggerezza è un po’ di tutti; per evitare perdite di tempo e per aumentare la produzione ed il profitto o semplicemente per sfuggire ad uno sgradevole sforzo psicologico, si trascura la vigilanza, non si tiene conto alle volte neanche delle più elementari precauzioni.
Tuttavia, se si considera la recente evoluzione sociale e se si riflette un poco, si avvertirà facilmente la fondatezza e l’utilità di tale sforzo. Nessuno contesta oggi giorno più la parte che le disposizioni soggettive hanno nel rendimento del lavoro. Il non tener presente le esigenze fisiche, affettive e morali dell’essere umano, finisce per inasprirlo e metterlo contro coloro che disprezzano la sua dignità personale. Come potrebbero sussistere l’interesse che ognuno porta al suo compito e la coscienza professionale che lo incita ad adempierlo con perfezione, quando esiste una continua minaccia d’infortuni che priverebbero l’individuo e la sua famiglia del salario da cui dipende la loro sussistenza materiale? Sul semplice piano economico queste ragioni sarebbero già sufficienti a suscitare presso i datori di lavoro la volontà di assicurare, ai loro operai, soddisfacenti condizioni di sicurezza e di igiene.
Tra i mezzi d’ordine generale utilizzati a questo scopo, è certo che la selezione e la preparazione professionale, come pure il perfezionamento della mano d’opera, hanno una importanza capitale. Il fatto ha chiaramente origine dall’aumento della frequenza degli infortuni tra gli operai emigrati, addetti a lavori industriali ai quali non sono preparati da un lungo apprendistato o da una tradizione familiare o regionale. Considerata da questo punto di vista, la questione appare d’una estensione molto vasta e rivela uno dei suoi tipici caratteri: i problemi specifici della prevenzione degli infortuni sul lavoro non troveranno una soluzione completa se non posti su di un piano d’assieme che terrà conto di tutti gli aspetti della vita del lavoratore e renderà giustizia a tutte le sue legittime aspirazioni. L’applicazione di provvedimenti d’ordine tecnico ne risulterà facilitata, e darà risultati sicuri che non potrebbero essere raggiunti né con la costrizione né con altri mezzi esteriori di persuasione.
Queste rapide considerazioni sono sufficienti ad illustrare la complessità dell’impresa che gli organismi di prevenzione affrontano. Quante pazienti ricerche, quanta competenza e spirito di collaborazione occorre impegnare per risolvere i problemi teorici! E che dire dei molteplici ostacoli che l’applicazione dei dispositivi di protezione incontra! Difficoltà sorte qualche volta dagli interessati stessi che non comprendono la portata di quel che loro si domanda, le conseguenze tragiche di atti che vengono loro proibiti, o che senza negare la necessità dei regolamenti imposti si stancano a poco a poco di applicarli, e di cui bisogna continuamente stimolare la buona volontà.
Per conservare l’ardore che vi spinge a studiare questi problemi e a promuovere le soluzioni, voi vi proponete, Signori, il nobile scopo di un servizio sociale indispensabile al giorno d’oggi. Nel suo dominio temporale, il vostro proponimento è affine a quello della Chiesa e del suo Divino Fondatore, la Cui vita e la Cui morte furono consacrate all’umanità sofferente per apportare un rimedio ai suoi mali. Se è di Cristo soltanto alleviare tante miserie e tanti pesi che gravano sul genere umano, facendo risplendere la speranza della Redenzione, si deve anche cercare in Lui la forza interiore così necessaria a chi si ispira al suo esempio e desidera prolungare tra gli uomini di oggi la benefica azione che fu Sua. Le commemorazioni solenni di questa settimana suggeriranno a molti di voi, ne siamo sicuri, le disposizioni dell’anima che li sosterranno nella loro fatica, spesso ardua ed ingrata.
Fidando nei soccorsi divini che Noi invochiamo su voi, sulle vostre famiglie, sui vostri collaboratori e su tutti quelli che vi sono cari, di tutto cuore vi impartiamo la Nostra Apostolica Benedizione.”
————————————————————————————-
Fino a quando la sicurezza delle persone che lavorano verrà considerata un puro costo e quindi una spesa, possibilmente da evitare, è chiaro che non si riuscirà a venire a capo del problema.
E’ necessario, allora, realizzare un processo di governo,  in materia di prevenzione e promozione della salute.

Quanto più il processo diventerà partecipato, trasversale, intersettoriale, (coinvolgente più settori della società: i cittadini, i lavoratori, i datori di lavoro, i a sindacati, le istituzioni pubbliche, ecc.), tanto più sarà visibile il miglioramento della salute del cittadino lavoratore e di conseguenza del capitale sociale.

La salute e la sicurezza diventano così una pertinenza socialmente costruita, con la partecipazione di tutti i soggetti interessati, a partire dalla scuola.

La cultura della salute e della sicurezza, intesa come acquisizione delle capacità di percepire i rischi ambientali e comportamentali e di adottare e favorire comportamenti sicuri (quindi come convinzione, autonomia e responsabilità) deve essere patrimonio di tutti i cittadini e per favorirla è necessario iniziare sin dalla giovane età con interventi specifici.

La Scuola, agenzia formativa per eccellenza, è in grado di superare azioni di addestramento limitate agli aspetti tecnici per approdare ad ambiti coincidenti con l’educazione civica, storica, sanitaria ed ambientale.

I giovani potranno poi estendere ciò che hanno appreso ai contesti lavorativi in cui avranno occasione di operare, a vantaggio proprio ed altrui.

Questo approccio sposa sempre più la visione secondo cui le imprese, andando oltre il semplice rispetto della normativa ed adottando l’indirizzo della Responsabilità Sociale, si configurano come una componente integrata della società che investe nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le parti interessate  .

La Responsabilità Sociale riguarda la gestione quotidiana dei problemi sociali ed ambientali in ogni ambito operativo dell’impresa e la sua adozione diviene uno strumento per gestire la qualità dell’impatto sociale ed ambientale del suo essere sul territorio.

Nell’attualità di un mercato globalizzato la competitività (continuo miglioramento ed innovazione) deve essere giocata dalle imprese anche ponendo al centro delle strategie aziendali le aspettative di tutti i portatori di interessi che gravitano intorno ad esse.

Pratiche socialmente responsabili che si traducono nell’ attenzione sociale ed ambientale, producono un aumento della soddisfazione e della produttività dei lavoratori, un’immagine positiva sul mercato, una riduzione delle situazioni di conflitto interne ed esterne e possono aiutare ad assumere ed a mantenere personale qualificato in azienda, ad essere scelti come partner e fornitori.

Gli infortuni e le malattie professionali sono talmente numerosi da rappresentare una priorità
in ambito sanitario, sociale e morale.

In Italia si contano ogni anno:
• più di 900.000 infortuni sul lavoro,
• 1.300 decessi per infortunio,
• circa 26.000 malattie professionali.

Le statistiche ufficiali non forniscono informazioni nell’ambito del lavoro sommerso.
Nel 2003 l’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro e le Malattie Professionali), sulla base del numero dei lavoratori irregolari valutati dall’ISTAT (Istituto
Nazionale di Statistica), ha stimato gli infortuni occorsi ai lavoratori “in nero” intorno ai 200.000.

Nello stesso anno l’Istituto Assicuratore, considerando i danni subiti dai lavoratori regolari
ed irregolari, ha calcolato i costi conseguenti (costi sanitari, per gli indennizzi, per le aziende, ad
esempio a seguito della perdita di produzione, degli adempimenti burocratici e delle spese legali)
superiori al 3% del PIL (Prodotto Interno Lordo):
circa 35 miliardi di euro per gli infortuni e 7 miliardi di euro per le malattie professionali.

INFORTUNI SUL LAVORO

Si definiscono come tali gli eventi lesivi (ferite, contusioni, fratture, perdite anatomiche, lesioni da contatto con corrente elettrica, da sforzo fisico, intossicazioni acute, ecc.) avvenuti in occasione di lavoro per causa violenta (con conseguenze sulla salute dei lavoratori immediate, dovute a vari motivi: carenze di sicurezza od uso improprio di macchine e di attrezzature, ambienti di lavoro pericolosi, movimentazione manuale di carichi, inalazione di sostanze chimiche in concentrazioni elevate, ecc.).

L’INAIL eroga prestazioni economiche ai lavoratori nei casi di morte, di inabilità permanente e di inabilità temporanea con assenza dal lavoro per più di tre giorni.

Definisce tutti gli eventi denunciati (notificati sulla base dei certificati medici rilasciati prevalentemente dal Pronto Soccorso).

Indennizza quelli che rientrano a pieno titolo nella definizione di infortunio sul lavoro.

Ormai sono anni che non si fa più riferimento al fato.

Lavorare a rischio zero non è possibile.

Però è vero anche che se non si investe in sicurezza e non si fa formazione ai propri lavoratori, si può incorrere in incidenti.

E succede spesso, purtroppo. La fatalità gioca un ruolo marginale negli infortuni.

C’è sempre, invece, una responsabilità che va individuata: a volte è del datore di lavoro, molte altre del lavoratore stesso.

Credo che alcuni imprenditori illuminati abbiano già dimostrato che profitto e sicurezza possono coesistere nei luoghi di lavoro.
Se l’azienda è consapevole della propria responsabilità sociale, investe in sicurezza e ne trae anche un beneficio.

Purtroppo questa cultura non è diffusa: si ritiene spesso che la sicurezza sia solo ed esclusivamente un costo.

Chi lavora ha indubbiamente dei diritti, ma anche dei doveri in fatto di sicurezza.

l’ Arcivescovo Emerito di Lecce, Francesco Cosmo Ruppi.
Alla domanda: ” Lei  che cosa pensa degli infortuni sul lavoro?: “
“ Sono una sciagura del nostro tempo e di sempre. Ritengo che servano maggiori e più penetranti controlli da parte delle autorità amministrative al fine di evitare la perdita di vite umane. Mettere a rischio una vita, é sempre un peccato e chi lo fa, con dolo o colpa, é responsabile di questo davanti alla giustizia terrena, agli uomini e  soprattutto a Dio, al quale anche se la fa franca in terra, dovrà rendere conto nel giorno del giudizio”.

L’obiettivo di riduzione dei costi, soprattutto in un contesto socio-economico particolarmente difficile come quello attuale, induce, molte aziende a considerare eventuali interventi preventivi come onerosi e addirittura superflui, anziché uno strumento che può salvare la vita delle persone e preservare l’azienda da una eventuale sospensione dell’attività.

Chi non adotta un approccio attivo in materia di sicurezza, accetta consapevolmente il rischio che possa verificarsi un evento dannoso la cui entità non può che comportare conseguenze negative per tutti: il lavoratore infortunato, il datore di lavoro, l’Azienda nel suo complesso.
I reati di omicidio colposo o di lesioni gravi e gravissime in materia di sicurezza sul lavoro, a differenza di altri reati, non comportano un vantaggio per nessuno, tantomeno per l’Azienda. E allora, perché ancora oggi tanti incidenti? Perché le Aziende sono ancora così lontane da soluzioni concrete ed efficaci?

La cultura del rischio richiede lo sviluppo di una consapevolezza e un processo di coinvolgimento ampio. Particolare attenzione deve essere posta sui rischi connessi a controlli omessi o ad inadeguate azioni preventive che possono comportare incidenti rilevanti e/o la sospensione dell’attività con conseguenti danni economici (sanzioni pecuniarie e sanzioni interdittive) e d’immagine per l’azienda.

Con la legge 123/2007 (art. 9) e la successiva variazione introdotta dall’art. 300 del D.Lgs. 81/2008 – Testo Unico sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, si è completato il circuito sanzionatorio a deterrenza del rispetto della normativa, legislativa e tecnica, con la modifica dell’art. 25-septies del D.Lgs. 231/2001 che ora prevede una maggiore gradualità nella applicazione delle sanzioni pecuniarie ed interdittive.

Gli artt. 6 e 7 del D.Lgs. 231/2001 ammettono, infatti, la possibilità di esclusione della responsabilità in argomento, a condizione di dotarsi di un modello organizzativo e di controllo senza particolare tipizzazione, mentre l’art. 30 del D.Lgs. 81/2008, riconduce la capacità esimente ai modelli tipizzati di cui alle norme OHAS 18001:2007 ovvero UNI INAIL (28.09.2001), che definiscono dei Sistemi Gestionali di Sicurezza sul Lavoro (SGSL).

Riportando a livello di sistema e di processo le principali cause e i fattori contribuenti il verificarsi di incidenti sul lavoro e malattie professionali diventa infatti possibile, una volta effettuata l’analisi e la valutazione dei rischi, intervenire sui processi per cercare di prevenire il manifestarsi di tali eventi, diminuendone la frequenza. Si pensi al fatto che il comportamento umano è un fattore che è alla base di circa l’85% degli infortuni e degli incidenti sul lavoro.

Adottare un modello sulla sicurezza significa prendere coscienza che esiste un problema e guardare in modo diverso la propria azienda. Il Management aziendale ha la responsabilità di identificare ed attuare efficaci strumenti organizzativi ed operativi per la prevenzione e gestione del rischio.
La costituzione di un modello organizzativo sulla sicurezza, attraverso la definizione di ruoli e responsabilità ai vari livelli, permette di coinvolgere e sensibilizzare i dipendenti ai problemi relativi alla sicurezza, di creare una diffusa consapevolezza attraverso la comunicazione interna e la formazione del personale, coinvolgendo tutte le funzioni aziendali per la prevenzione degli incidenti sul lavoro.

L’implementazione di un sistema di sicurezza e di gestione dei rischi deve essere considerata un investimento e non un semplice costo. Essa rappresenta una leva necessaria per la vita dell’Azienda, attraverso lo sviluppo di un’adeguata coscienza sul rischio, un costante presidio e un migliore governo dei processi, tutelando da un lato un bene di fondamentale importanza quale la vita umana, dall’altro permettendo un miglioramento delle condizioni produttive e immagine dell’azienda agli occhi della comunità.

CHE COS’ È LA CULTURA DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA?

Si citano alcune definizioni raccolte:

Avere la consapevolezza che la salute e la sicurezza sono fondamentali in una azienda è il punto di partenza e deve essere ormai ben chiaro a tutti. Lavorare costantemente per migliorare le condizioni dei luoghi di lavoro ed adottare le misure di sicurezza adatte è essenziale e va continuato nel tempo.

Perché una cultura per la sicurezza e la salute in un qualunque ambiente di lavoro abbia a realizzarsi è necessario che tutti gli attori che vi fanno parte, siano sensibilizzati al rispetto di tutte quelle azioni atte a garantire un’integrità sia fisica che morale, che non riveste soltanto l’ambito lavorativo: basti pensare ai rischi che si incorrono quotidianamente nelle nostre strade. E’ importante fare mente locale su questo fronte perché gli incidenti stradali sono purtroppo all’ordine del giorno.

La semplice conoscenza di norme e di regole non contribuisce da sola la cultura; questa è caratterizzata da una sorta di automaticità per cui nella fattispecie, quando ci imbattiamo in una inosservanza, non ci chiediamo più se vi sono norme e regole o se esse sono giuste o sbagliate o insufficienti, ma piuttosto come “ancora oggi” c’è un “cretino” che attenta alla sua e/o alla altrui sicurezza.

Essere consapevoli dei rischi e dei pericoli presenti e di come comportarsi per evitare incidenti. Cultura della sicurezza significa anche pretendere l’adozione dei dispositivi di protezione e l’attenersi alla normativa da parte dei superiori. Nei laboratori delle scuole spesso alcuni macchinari non vengono utilizzati perché il metterli a norma è costoso; così si preclude una preparazione più ampia degli studenti. Alcune attività manuali (anche alternative ai soliti programmi) vengono subito scartate dalle possibilità per evitare l’assunzione delle responsabilità (es. far riparare i banchi agli studenti, ridipingere un’aula). Anche docenti e dirigenti dovrebbero essere formati e aggiornati in maniera più diffusa sulla sicurezza.

Deve diventare sempre di più una filosofia comportamentale  da adattare in tutti i campi umani. Questa cultura oltre che applicata sul luogo di lavoro deve poi essere esportata anche fuori delle aziende. Per questo reputo che sarebbe impostante, a partire già dalle scuole dell’obbligo, attivare dei corsi di educazione alla salute e alla sicurezza. Ogni investimento in questo campo deve vedere nel lungo periodo un mondo sempre più consapevole dell’importanza della salute e dell’abbattimento dei costi per la collettività ottenuta con una drastica riduzione dell’assistenzialismo dovuto  per i numerosi infortuni.

La cultura della sicurezza riguarda numerosi aspetti della vita di lavoro e di relazione sociale; è un elemento cardine per il miglioramento della sicurezza del lavoro e della salute pubblica in generale e deve essere patrimonio non solo tecnico, ma dell’intera collettività in quanto tutti debbono concorrere ad alimentare una coscienza generale, una conoscenza  ed una migliore comprensione dei concetti di pericolo e di rischio e del modo per prevenirli e reprimerli. “Ci si accorge che manca quando è già tardi!”

Secondo le linee guida più accreditate Linee guida dell’Agenzia europea di Bilbao circa il significato di “buona prassi” (o “buona pratica”), questa è rivolta a chi opera per ridurre il rischio di lesioni e malattie sul luogo di lavoro. Affinché si possa parlare di “buona prassi” le informazioni devono:
• permettere a chi le utilizza di rispettare il relativo quadro normativo, fra cui direttive europee, leggi nazionali, regolamenti, orientamenti e norme armonizzate già approvate; 
• affrontare un problema già individuato dalle autorità competenti in materia di sicurezza e salute e sicurezza. 
• dimostrare le fasi ed i metodi che si possono intraprendere o seguire all’interno di un’azienda per migliorare le condizioni di vita/di lavoro e ridurre i rischi inerenti alla salute ed alla sicurezza oppure mostrare quali fasi e metodi si possono intraprendere o seguire all’interno di un’organizzazione per migliorare le condizioni di vita e di lavoro di altre aziende;
• suggerire un’azione che può essere identificata e verificata come un fattore capace di ridurre il rischio; 
• essere attuali – vale a dire, operare in una maniera consona alle prassi di lavoro esistenti a livello dell’Unione Europea..

Prima di utilizzare le informazioni sulla buona prassi, occorre procedere ad una valutazione dei rischi presenti sul luogo di lavoro, facendo anche riferimento alla legislazione nazionale in materia.
La valutazione dei rischi è un attento esame di quanto potrebbe provocare un danno alla persona, per poter decidere se le precauzioni che sono state adottate sono sufficienti, oppure per valutare se occorre fare di più sul fronte della prevenzione.
L’obiettivo è fare in modo che nessuno si faccia male o si ammali.
Se la valutazione dei rischi non viene effettuata prima di andare ad applicare la “buona prassi”, non vi è soltanto il pericolo che i rischi possano essere fuori controllo, ma anche che si riscontrino sprechi associati all’uso non appropriato delle risorse disponibili.
Perché la cultura della sicurezza è una sola: non si può essere un datore di lavoro o un lavoratore attento alla sicurezza sul posto di lavoro se prima non si è cittadini attenti alla sicurezza.

Lo scopo è quello di uscire dal luogo comune, autoassolvente, che gli infortuni sul lavoro siano un problema fuori di noi: un problema dei “datori di lavoro e dei lavoratori”.

Come se ciascuno di noi non appartenesse a una delle due categorie – o quantomeno aspirasse ad appartenervi – e quindi non fosse inevitabilmente parte del problema.

Si tratta quindi di un cambiamento nella cultura del lavoro che pur sviluppandosi intorno alla logica della produzione, prende coscienza che essa si deve realizzare in modo consapevole e civile, nel rispetto della risorsa primaria dell’Impresa che è e resta il lavoratore, l’Uomo, creatura di Dio.

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