L’attualità del pensiero di Dante sull’usura – di Matteo Mazzariol

Per Dante, e per tutto la cristianità, l’usurario era chiunque prestasse denaro ad interesse. Tale azione era considerata un peccato gravissimo, molto più grave dei peccati di incontinenza sessuale. Paolo e Francesca vengono infatti messi nel secondo cerchio dell’inferno mentre gli usurai nel settimo, molto più vicini a Satana. Perché? Semplicissimo: i lussuriosi peccano infatti per incontinenza, per debolezza cioè della volontà verso le passioni. Chi presta denaro ad interesse invece pecca di malizia, cioè perverte la volontà, l’attributo prettamente umano che distingue l’uomo dall’animale, dirigendola contro Dio.

In che modo? Gli usurai offendendo la natura creata da Dio, volendo cioè rendere fertile ciò che per natura non lo è – il denaro -, chiedendone un interesse sul prestito, e cercando di sottrarsi all’ordine delle cose voluto da Dio, secondo cui l’uomo sulla terra, per garantire equità e prosperità per tutti, può e deve guadagnarsi il necessario per vivere solo attraverso il lavoro. Così gli usurai sono considerati peggiori degli omicidi – che usano violenza contro gli uomini – e dei bestemmiatori – che usano violenza direttamente contro Dio – in quanto è più grave e più malizioso rivolgersi contro le leggi create da Dio che non contro Dio stesso.

Questa concezione fu un’invenzione della fantasia letteraria di Dante o qualcosa di più? Certamente la questione merita un approfondimento. Scopriamo così che Dante non fa altro che riprendere e fare una mirabile sintesi delle articolate riflessioni e dei ponderati ragionamenti che, a partire dall’avvento di Cristo e con il supporto della retta ragione, erano stati fatti fino a quel tempo. Esiste infatti una mole immensa di documenti che dimostrano, in maniera inoppugnabile, come il mondo della cristianità fosse arrivato alla unanime e condivisa conclusione che il prestito ad interesse, od usura, fosse uno dei mali più gravi e pericolosi in grado di minacciare dalle sue fondamenta la prosperità e l’ordine sociale. Tale conclusione non fu il frutto di un’interpretazione semplicistica, letterale e fanatica dei testi sacri ma all’opposto dello sforzo di sviluppare al massimo grado la ragionevolezza, integrandola ed arricchendola, nel suo tentativo di cogliere il reale, con la fede.

Non fu cioè un cieco richiamo a forme di misticismo solipsistico ciò che spinse, tra gli altri, Clemente di Alessandria, Tertulliano, St Cipriano, San Geromio, Sant’Ilario di Poitiers, San Basilio, San Gregorio di Nissa, Sant’Ambrogio, San Crisostomo, Papa Leone I, Sant’Agostino, il re inglese Alfredo il Grande a scagliarsi veementemente contro il prestito ad interesse od usura ma la loro attenzione, oltre che alla salvezza delle anime, anche alle esigenze di equità e giustizia sociale, che vedevano mortalmente compromesse.

Non fu un oscuro ed ottuso istinto ad appigliarsi alle autorità del passato che spinse i concili di Elvira (306), di Cartagine (345 d.C.), di Aix (789), di Lione(1274) e di Vienna (1311) reiteratamente a bandire il prestito a interesse come un peccato mortale passibile della esclusione dal consorzio civile ma fu invece la piena consapevolezza che queste misure erano necessarie per preservare l’integrità morale ed il benessere della popolazione. Il pensiero medioevale, fortemente unitario e lungi dall’atteggiamento schizofrenico della modernità, aveva capito infatti benissimo che morale e realtà economico-sociale non sono due dimensioni separate e distinte del reale: se commetto il peccato mortale di usura non solo vado all’inferno ma mando anche in rovina il mio prossimo e la società.

Non fu quindi per arretratezza culturale, per limitatezza di vedute e scarsa propensione ad aprirsi alle potenzialità del futuro che statisti importantissimi quali l’imperatore bizantino Giustiniano (482-565), il sovrano supremo del Sacro Romano Impero Carlo Magno (742-814), il re inglese Alfredo il Grande (849- 899) e quello francese San Luigi IX (1214-1270) combatterono aspramente contro ogni tasso di interesse sul denaro ma fu invece proprio perché avevano ben chiaro che con l’usura il sano, equo e prospero sviluppo dei loro popoli si sarebbe arrestato, per favorire invece la concentrazione di potere e capitale nelle mani di pochi.

La stessa cacciata in massa degli ebrei dalla maggior parte dei paesi europei (Inghilterra 1290; Ungheria 1349; Francia 1394; Austria 1421; Sicilia 1492; Spagna 1492; Lituania 1495; Portogallo 1497; Napoli 1510; Milano 1587) si spiega in parte con il fatto che le autorità religiose e civili non potevano più sopportare e tollerare la massiccia e diffusa pratica dell’usura.

È impossibile citare qui tutti i provvedimenti legislativi, le esortazioni, i documenti ecclesiastici, i libri ed i trattati scritti fino al tempo di Dante per documentare quanto fosse forte la coscienza collettiva che il prestito a interesse o usura rappresentava uno dei mali più gravi della società. Basti per tutti questa citazione dal Concilio di Trento (1563), di un secolo e mezzo successivo, ma davvero paradigmatico nei suoi contenuti. Alla questione undicesima, intitolata “Imprestare ad usura è rapina e quanto grande è questo crimine”, testualmente riporta: “A questa classe appartengono gli usurai, i più crudeli ed implacabili estorsori, che, con l’usura, depredano e distruggono la povera gente. Ora, qualsiasi cosa sia ricevuta oltre il capitale iniziale, sia essa denaro o qualsiasi altra cosa che possa essere acquistata od estimata in denaro, è usura; così infatti è scritto in Ezechiele: “Non devi prestare ad interesse né ricevere alcunchè in sovrappiù”; e in San Luca nostro Signore dice: “impresta, senza sperare nulla in cambio”. Persino tra i Gentili questo era considerato il più pernicioso ed odioso crimine; da qui la questione “Che cosa è usura?”, a cui fu risposto domandosi: “Che cosa è l’assassinio?”. Chi infatti impresta denaro con interesse vende la stessa cosa due volte o vende ciò che non esiste”.

Forse tutti coloro che si inchinano di fronte allo strapotere della finanza, del denaro-debito bancario e dell’usura o prestito ad interesse avrebbero molto da imparare dal buio ed oscuro medioevo, che invece, con il suo pensiero fortemente radicato sulla ragionevolezza e sul senso comune, potrebbe portare un po’ di luce all’uomo del XXI secolo, una luce di cui ha disperato bisogno.

Il Movimento Distributista Italiano (distributismomovimento.blogspot.com) ritiene fortemente che sia giunto il tempo di abbandonare le follie e le alchimie, di chiaro stampo gnostico-cabalistico, che reggono il colosso d’argilla dell’economia moderna, per restituire all’uomo, alle famiglie ed ai corpi intermedi quella centralità e quel protagonismo che gli è stato surrettiziamente tolto.

 

(Il dottor Matteo Mazzariol è presidente Movimento Distributista Italiano)

5 commenti su “L’attualità del pensiero di Dante sull’usura – di Matteo Mazzariol”

  1. parole sagge. Mia nonna, 98 anni, mi racconta ancora quanto fosse radicata nel vivere contadino del secolo scorso, la forma del baratto quale caritatevole forma di aiuto e sussistenza, ragionevole atto del “far fronte comune”. Mi rendo scrivendo ciò, di quanto altrettanto radicata sia oggi oramai, l’accezione negativa legata al Termine “baratto” come espressione di arretratezza e ristrettezza di orizzonti, legata all’idea di ignoranza e povertà. Quanto pervasivo sia divenuto il pensiero unico lo si nota proprio in questi frangenti.

    1. Oswald Penguin Cobblepot

      Ivan, mi perdoni. Ma non tutto è barattabile. Finché si tratta di beni semplici e magari fabbricabili da un artigiano, non vi sarebbe nulla di male. Ma per un’auto, che cosa le do in cambio? Il vero problema – che implicitamente emerge dall’articolo – è quello di distinguere il prestito di denaro dietro interesse (da condannare senza remore) alla restituzione del denaro per il valore effettivo che aveva nell’istante in cui è stato prestato. Se io oggi le presto un euro, e lei me lo restituisce domani, non c’è problema. Ma dopo un mese, quell’euro potrebbe avere perso valore: quanto mi restituirà? E se invece si fosse apprezzato e non deprezzato? Il valore intrinseco del denaro non è più legato al valore del metallo di cui si compone. Le posso suggerire la lettura di “Euroschiavi e i segreti del signoraggio” di Marco della Luna e Antonio Miclavez, ed. Arianna? Un saluto da Gotham, il Pinguino.

      1. Salve Penguin, ma infatti la mia considerazione implicitamente era relativa alla differenza che intercorre fra la carità di sussistenza, legata ad una realtà ormai superata storicamente, ma non per ciò superato è il valore umano che ancora dovrebbe permeare la coscienza morale di ciascuno di noi, e una realtà di signoraggio internazionale di matrice massonica che basa proprio sul prestito di denaro dietro Interesse (da condannare senza remore) l’attuale economia e i rapporti fra stati.

  2. Il professor Giacinto Auriti cattolico fervente e devotissimo alla Madonna di Fatima aveva già più di 40 anni addietro dimostrato come il “sistema usuraio luciferino massonico” che governa il mondo creando il denaro dal nulla “prestandolo” agli Stati “Sovrani” ad usura avrebbe nel breve periodo portato le nuove generazioni a scegliere fra la disperazione e il suicidio. Manca assolutamente una presa di posizione dura e decisiva da parte della Chiesa, tranne richiami “generici” sulla concentrazione della ricchezza in poche mani, senza mai andare al “cuore” del problema. Il denaro oggi viene creato dal nulla a costo zero da soggetti privati e prestato a caro prezzo agli Stati, indebitandoli all’infinito e impoverendo allo stesso tempo i propri cittadini.

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