L'Essere e/o il Male

Carlo Angelino – L’Essere e/o il Male – Il penisero antitetico – edizioni Il Nuovo Melangolo, 2009

Dopo l’illuminismo la metafisica
Di Piero Vassallo

L'Essere e/o il MaleDopo le riflessioni di Horckheimer e Adorno sui catastrofici risultati dell’illuminismo è ancora possibile sviluppare un pensiero a parte hominis? E’ possibile mettersi al seguito di Carlo Angelino (autore di un sottile e avvincente saggio, “L’Essere e/o il Male”, edito in Genova dal Melangolo) e “cercare di affrontare, nei limiti delle possibilità inerenti la ragione finita dell’uomo” i problemi posti dalla “constatazione che l’inclinazione al male ha prevalso nell’uomo sull’inclinazione al bene”?
Angelino (in sintonia con la scuola heideggeriana, che nell’università di Genova è stata autorevolmente interpretata da Alberto Caracciolo) afferma il definitivo tramonto della metafisica classica e perciò esclude la possibilità di fare un passo indietro, dall’illuminismo alla filosofia di San Tommaso d’Aquino.
Se non che la filosofia di Kant è sepolta sotto la slavina francofortese e la ragione deve congedarla se vuole proseguire il suo cammino sulla via di ricerca. Aderire a Kant dopo la demolizione francofortese è impossibile. La vacillante fedeltà kantiana di Angelino, coerentemente, afferma un principio che difficilmente Kant avrebbe sottoscritto: “la ragione umana è obbligata a pensare Dio come fondamento incondizionato e perciò assoluto di tutte le cose, ed è anche in condizione di darne una definizione concettuale in sé esaustiva”.
Un illuminista non avrebbe mai detto che l’ateismo contrasta le verità di ragione. D’altra parte il pensiero è legato alla croce dei sensi, che ad ogni costo vogliono esplorare il continente divino, dimensione che il pensiero ha raggiunto avanzando sulle ali dell’invisibile.
L’obiezione antimetafisica riemerge dalla sepolta filosofia di Kant. Scrive Angelino: “nel momento in cui la ragione cerca di verificare se a siffatto ideale trascendentale corrisponde un oggetto nel dominio dell’esperienza sensibile e perciò della conoscenza dell’intelletto, viene a trovarsi sul ciglio di un abisso senza fine”.
La vista ha esigenze che la ragione non può soddisfare. Ma la ragione è costretta ad avanzare negli invisibili quartieri della verità. Come recita un proverbio tanto demodé quanto vero la ragione che si ferma è perduta. La conoscenza deve incominciare dal dato ai sensi, ma per proseguire deve affrontare l’invisibile. Fermarsi significa naufragare nel relativismo e negli incubi intorno al non senso della vita.
Se non che la debolezza della filosofia kantiana è nascosta nel pregiudizio sensista, un trabocchetto scavato dal sensismo inglese, che costringeva il pensiero a far retrocedere la nozione legittimamente astratta al livello delle cose visibili.
Il vischioso residuo della filosofia sensista costringeva Kant a credere che per accertare 7+5=12 non fosse sufficiente applicare la nozione di somma matematica, ma occorresse rinculare ad una rappresentazione sensibile, ad un pallottoliere capace di rendere visibile il risultato della somma. Se non che il pallottoliere è di Kant è ritagliato in una stoffa che non permette l’avanzamento della matematica. I neoscolastici hanno, infatti, dimostrato che, quando si facesse dipendere ogni progresso della matematica dalla conferma data da una rappresentazione sensibile, da un pallottoliere, non si potrebbero più sommare i numeri che sfuggono alla presa dei nostri sensi, ad esempio 3123 e 4875.
La filosofia non può arrestarsi alla legge del pallottoliere. Il pallottoliere è una pietra al collo della filosofia. L’abisso di cui parla Angelino si apre quando prevale il desiderio di vedere l’invisibile con gli occhi creati per vedere il visibile.
La metafisica, pertanto, ricomincia dopo che la ragione ha rimosso il pallottoliere di Kant. Rinasce come sfida alla tirannia sensista e come insopprimibile conquista della ragione.
Angelino, tuttavia, non ha torto quando sostiene la necessità di abbandonare la via di Parmenide per imboccare la via di ricerca della sapienza ebraica. La sapienza ebraica, infatti, ha indicato ai filosofi la via d’uscita dal pensiero greco dimostrando che la tautologia di Parmenide, l’idea che l’analisi del concetto di essere impedisce il raggiungimento della verità sull’origine del mondo. La filosofia che si è elevata al pensiero di Dio come fondamento incondizionato e perciò assoluto di tutte le cose, ha origine dalla sfida “ebraica” all’immanentismo teorizzato da Parmenide e confermato da tutta la sua discendenza.
La filosofia greca non è mai uscita dall’immobilizzante cerchio di Parmenide, dove “l’essere è ingenerato e indistruttibile esso è infatti un tutto nella sua struttura, immobile, privo di fine temporale, perché non sarà un tutto di parti unite ma è soltanto nella sua natura un tutto”.
La metafisica ebraica, affermando che l’Essere perfettissimo è Dio e non l’universo dei panteisti, ha abbattuto l’ostacolo del pensiero greco, sciogliendo l’incantesimo dell’assoluto immanente.
Scrive al proposito Cornelio Fabro: “Affermare che l’essere diviene e che il divenire ha realtà di essere, che il molteplice ha la verità dell’es sere ovvero che la causalità ha una propria verità di essere, non può essere rivendicato analiticamente co­me attributo dell’Essere stesso: in tutti i modi la causalità così come la molteplicità è una novità, un’aggiunta rispetto all’Essere che si fa presente come Uno, così che l’appartenenza della causalità all’essere sembra doversi fondare altrove che nell’essere stesso”.
Angelino, peraltro, mette il lettore davanti alla difficoltà costituita dall’inesistenza, nel mondo d’oggi, di un pensiero che non sia in qualche modo impastato di ebraismo, cioè di certezze intorno alla trascendenza dell’Essere perfettissimo.
Indiscutibile è la radice ebraica di Cristianesimo e Islamismo. Ma nessuno può negare il paradosso rappresentato della radice ebraica delle ideologie anti-ebraiche in circolazione: il comunismo (concepito da Marx quale strumento necessario all’abolizione dell’alienante religione ebraica), la psicoanalisi freudiana (che contemplava l’avversione al monoteismo dell’egiziano Mosé), e la gnosi francofortese (concepita da Walter Benjamin quale antitesi alla teologia dell’Antico Testamento). Hanno radice nella cultura biblica anche le minoranze costituite in Israele dagli ebrei messianici, che riconoscono in Gesù Cristo il Messia promesso. Estraneo all’ebraismo non fu neppure l’ideologia nazista, che (lo ha dimostrato Jacob Taubes) aveva fondamento in un’avversione all’Antico Testamento largamente condivisa in ambienti ebraici. Estranee all’ebraismo rimangono solo le religioni dei primitivi e l’induismo, ma i loro fedeli ormai sono costretti a fare i conti con l’Occidente ebraicizzato. Non hanno torto dunque i teologi che nella centralità del problema costituito dal conflitto che oppone le diverse correnti della cultura ebraica vedono un segno apocalittico.
A dispetto dei laicisti ostinati e smaccati, la scena culturale contemporanea rappresenta il conflitto tra le affermazioni e le negazioni della teologia ebraica. In campo filosofico questo conflitto si traduce nell’opposizione tra la metafisica e il nichilismo, tra San Tommaso e i decadenti. Tra la ragione e la chiacchiera disperata degli atei.

il libro può essere richiesto direttamente a Editore il Nuovo Melangolo

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