Le torri gemelle

Di Dionisio di Francescantonio

Le torri gemelleNel mondo occidentale, in modo particolare in Europa, v’è una deplorevole tendenza a non voler accettare la questione islamica nei termini drammatici in cui si pone oggi. Dopo il folle gesto compiuto da alcuni kamikaze musulmani nel settembre del 2001, allorché lanciarono due aerei dirottati contro le Twin Towers di New York, esiste la diffusa consapevolezza d’un fondamentalismo islamico che ha dichiarato guerra all’Occidente, un fondamentalismo di carattere religioso contro il quale occorre attrezzarsi per difendersi, per neutralizzarlo e, ove possibile, per sconfiggerlo; ma, ancora oggi, pur con tutte le altre manifestazioni di ostilità verificatesi dopo quel tragico evento contro il mondo occidentale e contro le comunità cristiane insediate in paesi con popolazione prevalentemente musulmana, si preferisce attribuire sia la barbara ecatombe consumata a Manhattan, sia i massacri di cristiani perpetrati in diverse parti del mondo, alla follia terroristica di alcuni gruppi di fondamentalisti esaltati ma isolati rispetto al mondo islamico, per quanto numerosi e diffusi nei vari paesi con governi islamici essi possano essere. Da noi non si vuole ammettere che la guerra di religione sia considerata, da forze non irrilevanti del mondo musulmano, possibile e realizzabile, mentre è chiaro, invece, che l’islamismo opposto all’Occidente è un movimento politico che attinge la propria forza proprio nella religione e nasce dalla proterva volontà islamica di riannodare il filo della guerra santa contro il cristianesimo spezzato dalle forze cristiane nella storica battaglia di Lepanto, in cui la volontà conquistatrice dell’Islam nei confronti dell’Europa fu severamente punita e debellata.
Per meglio delineare la questione islamica così come si è venuta configurando ai nostri giorni, proviamo a guardare, sia pure sommariamente, i fatti storici verificatisi nell’ultimo scorcio del secolo scorso e nel primo di quello appena iniziato. Il comunismo sovietico, da molto tempo per l’Occidente il solo nemico da cui guardarsi e contro il quale mettere in campo tutte le strategie possibili di difesa, si sgretola e dissolve al proprio interno nel 1989; ma già nel 1991 scoppia la prima “Guerra del Golfo” tra i paesi occidentali aderenti alla Nato e l’Irak di Saddam Hussein; un conflitto poi reiterato nel 2003 per abbattere definitivamente il regime di Saddam, sopravvissuto al primo attacco. Nel frattempo, l’ex Iugoslavia s’era venuta frantumando in una serie di conflitti tra popolazioni musulmane e popolazioni cristiane che, a tutt’oggi, non appaiono del tutto risolti, tant’è vero che presidi di forze dell’Onu continuano a scongiurare con la loro presenza nuovi contrasti. Lo stesso presidio, effettuato da numerosi contingenti di paesi aderenti alla Nato con a capo quello americano, lo troviamo ancora oggi in Irak, nel tentativo non concluso e comunque sempre problematico di pacificare il paese, onde preservarlo dall’avvento al potere dei fondamentalisti, presenti in loco e capaci di perpetrare attacchi terroristici micidiali sia contro la popolazione irakena, sia contro le forze alleate. La stessa cosa avviene in Afghanistan, dopo che l’Occidente, nel 2001, l’ha liberato dalla morsa dei talebani fondamentalisti seguaci di Bin Laden. La bomba islamica, insomma, esplode quando crolla la potenza sovietica, ma essa non era del tutto una novità, giacché ne erano apparse già cospicue e allarmanti avvisaglie, come quella avvenuta nel 1979, allorché si consumò in Iran la prima delle rivoluzioni ingaggiate in nome della restaurazione intransigente della purezza islamica, quella degli ayatollah khomeinisti; mentre, nello stesso anno, proprio l’invasione dell’Afghanistan intrapresa dai sovietici apriva la strada al cammino impetuoso della rivoluzione islamica con la comparsa e il dilagare dei mudjhaidin talebani chiamati a combattere la Jihad (Guerra Santa) contro gli invasori, quegli stessi che, dopo la cacciata dei sovietici, vi installarono il regime islamico fondamentalista. Da quel momento l’Occidente, mentre vede chiudersi la minaccia della rivoluzione comunista, nata dal suo stesso seno contro la religione cristiana e i fondamenti di libertà e creatività di cui essa è portatrice, assiste alla nascita d’una rivoluzione sorta nel nome d’una religione sviluppatasi al di fuori della sua cerchia ma indirettamente propiziata sempre dal suo interno; rivoluzioni nate entrambe per abbattere il cristianesimo, benché per motivi opposti: la prima in nome del trionfo del materialismo e del nichilismo ateistico; la seconda per il restauro d’una concezione primitiva e apocalittica della divinità e del destino religioso dell’uomo.
La rivoluzione islamica fondamentalista consiste nel restituire all’Islam la pretesa di egemonia politica e religiosa sul mondo intero, la stessa che caratterizzò la rapinosa espansione delle sue origini e che i cristiani conobbero attraverso le invasioni e il dominio di alcuni suoi territori, con la pirateria esercitata per decenni alla stregua d’un potere quasi assoluto sul mar Mediterraneo, con le incursioni lungo le coste e i saccheggi devastanti di villaggi e città, nonché mediante la deportazione sui mercati degli schiavi e la conversione forzata o il martirio inflitto in forme di crudele e raffinato sadismo. Oggi che in Occidente si riconosce quale diritto universale dei popoli la pratica del culto religioso e del costume sociale di appartenenza, ecco che il fondamentalismo islamico reintroduce brutalmente l’intolleranza religiosa di stampo medievalista. Qui ci troviamo, senz’ombra di dubbio, sul terreno del razzismo (ed è bene pronunciare con forza questa parola divenuta quasi un tabù dalle nostre parti), il razzismo autentico, il più radicale e il meno accettabile, perché inteso a strapparti alla tua identità e al tuo stesso essere.
Tuttavia, se dalla sua teologia intransigente l’Islam trae una temibile determinazione aggressiva, svela però anche, attraverso essa, la sua debolezza storica di fronte al cristianesimo e all’Occidente. La forza dell’Islam, in effetti, risiede in un rigore fanatico e inumano, tale da indurre all’atroce immolazione del rito kamikaze, come quello di taluni esaltati che si fanno esplodere in mezzo a una folla o quello dei seguaci di Bin Laden che vanno a schiantarsi con gli aerei contro edifici-simbolo della società americana. Ma questo rigore, per condurre la guerra totale contro il nemico occidentale (a cui va aggiunto lo Stato d’Israele assimilato all’America e all’Europa nell’identificazione del Satana avverso all’Islam), è costretto paradossalmente ad attingere idee e mezzi dalla tecnologia occidentale. E in questa dipendenza dall’aborrito Occidente è inscritto il motivo della debolezza islamica. Ma v’è di più. L’illusione a fondamento del rapporto tra Islam e tecnologia occidentale consiste nel ritenere, come teorizzano espressamente i “puri” seguaci di Allah, che scienza e modernizzazione siano separabili. E questo è un equivoco evidente. L’Islam non può importare e utilizzare la tecnologia occidentale e simultaneamente dichiarare l’embargo alla modernità e l’ostracismo alla cultura che fornisce e che alimenta di sé quella stessa tecnologia: alla fine la modernità costringerà i poteri islamici alla resa dei conti. Il conflitto, già in atto, sia pure in forme ancora sorde e inconfessate a livello della coscienza dei popoli musulmani, trova la sua forma d’espressione o sfogo più vistoso nella crescente migrazione islamica verso il mondo occidentale, sintomo d’un malessere popolare sempre più esteso nei confronti di un ordine morale e civile oscurantista non meno di quelli in vigore nei secoli bui del Medioevo, e inesorabilmente fuori dall’evoluzione della storia e del costume dell’umanità contemporanea.
L’Occidente e la cristianità possono godere pacificamente dei benefici tecnologici giacché hanno stabilito lucidamente i criteri teoretici necessari a convivere con la modernizzazione, vale a dire perché hanno chiara la natura e i fini delle due Città, quella di Dio e quella dell’uomo, procedenti nella storia parallelamente, come ha stabilito una volta per tutte Sant’Agostino in base al messaggio di Cristo (“Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”), ossia guardandosi, naturalmente, l’un l’altra e prendendo perennemente la seconda a modello la prima, ma senza sovrapporre in modo assoluto i propri ambiti. L’argomento cruciale, in questa questione, è che l’Islam non conosce il principio della distinzione tra natura umana e rivelazione divina così come avviene nel cristianesimo; proprio quella distinzione che ha potuto offrire un solido punto di partenza al cammino intrapreso dalla società occidentale verso la modernità.
Tuttavia questa consapevolezza non deve far dimenticare all’Occidente che l’impresa di convertire il fanatismo islamico alle ragioni della modernità sarà in ogni caso ardua e senza dubbio di lunga e forse lunghissima durata, da condurre inoltre con tutti i mezzi che si renderanno necessari: dall’atto di forza alla persuasione derivante dagli aiuti economici, fino alla sollecitazione ad intraprendere senza indugi il cammino della democrazia. In questo contesto occorre dimenticare, innanzitutto, la retorica della “pace a tutti i costi”, dell’ “uguaglianza delle culture e delle religioni”, dei “diritti universali degli uomini”; retorica basata sulla convinzione errata che nessun popolo e nessun individuo possa non essere d’accordo su tali principi, la cui giustezza e necessità, com’è ovvio, in Occidente viene universalmente riconosciuta, ma che non è affatto acquisita allo stesso modo nel resto del mondo. Se è giusto, come fanno i governanti dei paesi occidentali, evitare di criminalizzare tutto l’Islam, perseguendo l’accorta strategia di coinvolgere i paesi arabi retti da governi moderati nell’azione di lotta intransigente al terrorismo volta a debellare il fondamentalismo islamico, è anche, in sede di analisi storico-culturale, profondamente errato, anzi una vera e propria mistificazione, sostenere che il fondamentalismo non c’entri nulla con l’Islam, come se questa fosse una religione pacifica e tollerante. La concezione della Jihad, la guerra santa contro gli infedeli, obbedisce precipuamente allo scopo di pervenire alla Umma, ossia alla sottomissione del mondo all’Islam. E lo stesso Corano la indica quale dovere primario di tutti i musulmani, come confermano molti passi rintracciabili lungo tutto il libro sacro dell’Islam: “Uccidete gli idolatri dovunque li troviate: catturateli, assediateli, attirateli nelle imboscate” (Sura IX, versetto 5); “Combatteteli fino a che non vi sia più ribellione e che la religione sia per tutti quella di Allah” (II, 193); “Non voi li avete trucidati, è Allah che li ha fatti perire” (VIII, 17); “Combattete contro coloro che non credono in Allah e nel Giorno Ultimo, e che non ritengono illecito quel che Allah e il Suo Messaggero hanno dichiarato proibito. Combattete, tra coloro cui fu data la Scrittura (cioè gli ebrei e i cristiani), chi non pratica la vera religione. Combatteteli fin che non paghino il tributo, uno per uno e finché non siano umiliati” (IX, 29). Esortazioni in cui troviamo perfettamente delineato, come si vede, il programma del fondamentalismo islamico dei nostri giorni; ma tutta la storia dell’Islam è stata l’attuazione pratica di questi precetti, benché vi siano stati, nel corso dei secoli, lunghi periodi di tregua dovuti però non tanto alla volontà dei musulmani quanto alla loro intrinseca debolezza rispetto al loro nemico di sempre, l’Occidente cristiano. “Per quasi mille anni” ha scritto Bernard Lewis “dal primo sbarco moresco in Spagna al secondo assedio turco di Vienna, l’Europa è stata sotto la costante minaccia dell’Islam”. E Samuel Huttington ha aggiunto: “L’Islam è l’unica civiltà ad aver messo in serio pericolo, e per ben due volte, la sopravvivenza dell’Occidente”.
Tutto questo non significa, ovviamente, che oggi ogni musulmano sia votato alla distruzione dell’Occidente e pronto a diventare un terrorista fondamentalista. Abbiamo appena rilevato come nell’emigrazione incessante dai paesi islamici si possa cogliere il disagio di molti musulmani nel vivere in condizioni di arretratezza culturale e tecnologica ormai abissali rispetto a quelle garantite dall’Occidente. E’ bene ricordarlo onde evitare una contrapposizione radicale e generalizzata tra Occidente e Islam che andrebbe solo a detrimento dell’Occidente. E non bisogna dimenticare che alcuni teologi islamici hanno condannato duramente, nel recente passato, i massacri perpetrati dai fondamentalisti, benché il problema resti aperto finché l’ortodossia islamica resterà invariata. Una riforma, in questo senso, non può che partire dall’interno dell’Islam, e alcuni teologi si sono provati anche a preconizzarla, come il Gran Muftì di Marsiglia, il quale non molto tempo fa ha dichiarato: “Denuncio l’ipocrisia dei teologi musulmani che se da una parte censurano la pratica di uccidere, dall’altra non mettono in causa la teologia che la sottende. E’ ora di finirla con l’ipocrisia. Occorre cogliere l’occasione per desacralizzare il diritto musulmano, soprattutto in certi punti che offrono un pretesto a quei barbari che rivestono le loro azioni criminali di una certa canonizzazione”. Parole, per il momento, isolate, ma forse suscettibili di aprire una breccia in un mondo che non assomiglia ancora a un monolite avviato verso una contrapposizione sempre più radicale verso l’Occidente.
L’Occidente, coi propri principi cristiani che ne costituiscono il sostrato etico- culturale, ha già vinto la sua lunghissima guerra contro il comunismo, e vi è riuscito con mezzi pressoché pacifici, grazie soprattutto alla forza contagiosa della libertà e al superiore livello di benessere e di dignità umana che ha saputo garantire ai suoi popoli. Non è stata una strada facile, ma un arduo percorso, costellato di urti e patteggiamenti, di prove di dialogo e di manifestazioni di fermezza. Se i politici avevano il dovere di sfruttare ogni possibilità d’intesa o compromesso per evitare che la “guerra fredda” precipitasse in un conflitto vero e proprio, è stato anche necessario che la cultura e le opinioni pubbliche tenessero sotto pressione polemica l’ideologia e i sistemi marxisti, in modo da stigmatizzarne sistematicamente la nequizia e la tirannide e proporne implicitamente agli stessi popoli costretti a subirli il loro superamento, cioè la possibilità di mutarne la fisionomia. Ma oggi l’Occidente, se vuole ancora difendere e diffondere la propria cultura di libertà, deve innanzitutto fare chiarezza al proprio interno, isolando e debellando dal proprio seno quell’odio di sé che taluni suoi esponenti continuano a predicare in nome di una malintesa multiculturalità che può approdare solo al nulla nichilistico delle coscienze e all’inermità e alla rassegnazione al declino dei popoli occidentali. E’ proprio il confronto sempre più serrato con una cultura aggressiva come quella dell’Islam a imporci il recupero orgoglioso della nostra identità, ritrovando ciò che è grande e puro della nostra tradizione e della nostra storia per opporlo alla barbarie dell’intolleranza e dell’oscurantismo di chi è rimasto fermo a oltre mille anni fa.

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