Memorie di un’epoca – Da Mao Zedong a Leonardo da Vinci: storie da riscrivere in chiave cinese – di Luciano Garibaldi

Memorie di un’epoca – rubrica mensile a cura di Luciano Garibaldi

biografie, eventi, grandi fatti, di quel periodo in cui storia e cronaca si toccano

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44 – martedì 27 febbraio 2018

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DA MAO ZEDONG A LEONARDO DA VINCI: STORIE DA RISCRIVERE IN CHIAVE CINESE

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Le straordinarie scoperte storico-letterarie di Angelo Paratico, instancabile imprenditore e scrittore italiano che da trent’anni vive e opera a Hong Kong

di Luciano Garibaldi

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Il 9 settembre 1976 moriva il presidente cinese Mao Tze Tung (o Mao Zedong, come lo si scrive oggi). Aveva 82 anni e c’è chi sostiene che, se fosse morto a 50 anni, oggi sarebbe ricordato come un brillante stratega e rivoluzionario, e non come un feroce assassino. E’ dunque opportuno cercare di storicizzare questo personaggio, che sicuramente ha avuto un ruolo non inferiore a quello di Stalin nel determinare il fallimento del comunismo. Mi accingo al non facile compito riprendendo ampiamente un ritratto di Mao Zedong scritto per il blog del “Corriere della Sera” (lanostrastoria.corriere.it) da Angelo Paratico, scrittore e storico italiano residente a Hong Kong, considerato a ragione uno dei massimi esperti di storia e cultura della Cina, argomenti cui ha dedicato parecchie opere. «La morte di Mao», ha scritto Paratico,  «segnò la fine d’un incubo per i cinesi. La fine di un decennio segnato da un movimento anarchico noto come “La Rivoluzione Culturale” che lui aveva lanciato per mantenersi al potere, dopo il suo disastroso “Grande Balzo in Avanti” che aveva provocato la morte per fame di oltre 50 milioni di cittadini. Pur di evitare lo sgretolamento della propria granitica immagine e venire così spodestato, consentì dieci anni di caos e di violenze, che provocarono distruzioni, sofferenze, e un numero incalcolabile di vittime».

Dopo la sua morte, il successore, Deng Xiaoping, spostò il timone del partito verso il centro, dando così inizio a quella ripresa della Cina anche sul piano internazionale, ripresa che ha permesso alla più popolosa nazione del mondo di diventare la principale esportatrice di prodotti tecnologici.

Ancora Paratico riferisce che, nonostante questo, «in Cina un’aperta discussione su Mao ancora non è possibile, né consentita. Infatti, agli alti dirigenti del Partito comunista cinese non conviene segare il ramo sul quale siedono e, perciò, le foto del “grande timoniere” sono ancor oggi ovunque, in Cina, a partire dalle banconote. L’immagine di Mao Zedong è stata variamente interpretata in Occidente e, salvo rarissime eccezioni, fraintesa dai nostri intellettuali che ebbero la fortuna di visitare quel Paese. Solo per citarne alcuni, Curzio Malaparte, Alberto Moravia, Goffredo Parise, Michelangelo Antonioni. Un intellettuale francese che ebbe un grosso peso nella creazione del mito maoista in Italia, grazie alla sua largamente immeritata fama, fu André Malraux, il quale nel 1965 fece storia con una sua intervista a Mao, che fu pubblicata in tutto il mondo. Oggi sappiamo che per metà se la inventò e per metà fraintese quanto Mao gli stava dicendo. Lo sappiamo per certo, perché esiste negli archivi cinesi la trascrizione delle parole di Mao in cinese fatta dall’interprete.

«Un altro famoso malinteso lo si deve a Edgar Snow, il quale pensava di conoscere abbastanza il cinese da non aver bisogno dell’interprete, e quando Mao descrisse sé stesso come “un monaco solitario che cammina nella pioggia con un ombrello bucato”, egli non riconobbe la battuta e interpretò quella frase come un segno della sua umiltà, quando in realtà significava il contrario: “Nulla per me è sacro e non accetto alcuna legge”».

Mao Zedong era nato in una famiglia di agiati proprietari terrieri, ma odiava il padre che, bambino, lo aveva maltrattato assieme ai suoi fratelli. Si era ribellato quando, appena tredicenne, suo padre lo aveva costretto a sposare una ragazza di 17 anni al solo scopo di entrare in possesso delle terre che la sposa portava in dote. A 16 anni abbandonò il villaggio natio di Shaonshan per la città di Dongshan, dove fu oggetto di bullismo da parte dei compagni, per via delle sue origini contadine. Le sue letture divennero più radicali: prima fu un sostenitore di Sun Yatsen e poi cominciò a partecipare a proteste e manifestazioni, leggendo autori marxisti e leninisti. Il resto è storia.

Dunque è tutto da buttare questo Mao Zedong? Come verrà giudicato dagli storici di qui a cent’anni? Mi rifaccio ancora al giudizio di Angelo Paratico, che condivido in toto: «La Cina moderna sarebbe già di gran lunga la prima potenza mondiale se fosse stata guidata da un altro uomo, magari anch’egli spietato e dal pugno di ferro, ma in possesso d’una mente assai più equilibrata: il leader del Kuomintang, Chiang Kaishek, che nel 1949 fu costretto a rifugiarsi con i suoi fedelissimi a Taiwan, incalzato dai comunisti cinesi, sostenuti e armati da Stalin».

Continuando la sua inarrestabile produzione storica (che iniziò – ricordiamolo – con «Ben», edizioni Mursia, ricostruzione romanzata della fine di Mussolini e Claretta voluta da Churchill ed eseguita da agenti britannici), Paratico, che da 35 anni risiede a Hong Kong (dove alterna l’attività di industriale a quella di scrittore) ma molto spesso torna in Italia, nella sua Turbigo, ha licenziato un nuovo libro: «Leonardo da Vinci. Un intellettuale cinese nel Rinascimento italiano».

In maniera coinvolgente, l’Autore ci coinvolge nell’incredibile mistero nella vita del grande Leonardo. Alla National Gallery di New York esiste un ritratto a olio realizzato da Leonardo  e conosciuto come “Ginevra de’ Benci”, nel quale, per una serie di ragioni, la cupa signora che fissa sofferente l’osservatore non può essere la diciottenne Ginevra, imminente sposa e conosciuta in tutta Firenze per la sua rinomata bellezza. I cultori di Leonardo sanno che i tratti del viso di questa donna sono molto simili a quelli dell’unico autoritratto conosciuto dell’autore, visibile nella “Adorazione dei Magi”. La “Ginevra de’ Benci” del quadro non può che essere Caterina, la madre cinese di Leonardo, l’unica donna che egli abbia mai amato.

La vita di Leonardo da Vinci rimane un enigma, nonostante i documenti emersi dagli archivi antichi e le migliaia di pagine dei suoi quaderni personali. Egli nacque fuori dal matrimonio, e non voluto, frutto di un incontro casuale tra un notaio della Repubblica fiorentina, ser Piero da Vinci, e una schiava domestica cinese, la quale serviva in casa di un cliente del padre di Leonardo, un tale ser Vanni. Il notaio fece subito allontanare Caterina da Firenze, e la portò a partorire a Vinci, quindi la diede in sposa a un suo umile tuttofare, detto l’Attaccabriga. Caterina era solo una bambina quando fu catturata dai predoni mongoli e poi venduta in un mercato di schiavi a Venezia. A quel tempo, gli schiavi orientali erano del tutto comuni in Toscana, al contrario di quanto si ritiene oggi. Ma vi sono decine di altri indizi e di prove che confermano le radici orientali di Leonardo. Egli era mancino, aveva l’abitudine di iniziare i suoi quaderni dall’ultima pagina, era un vegetariano, aveva una visione quasi buddista del mondo. Dobbiamo essere grati ad Angelo Paratico: ci ha fornito (e non solo a noi, perché i suoi lettori sono sparsi un po’ in tutto il mondo) una straordinaria chiave di lettura della cultura e della realtà cinesi che mai come in questo periodo sono state prossime alle nostre tradizioni.

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