Memorie di un’epoca – Leggi razziali e pagine dimenticate – di Luciano Garibaldi

Memorie di un’epoca – rubrica mensile a cura di Luciano Garibaldi

biografie, eventi, grandi fatti, di quel periodo in cui storia e cronaca si toccano

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37 – mercoledì 31 maggio 2017

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LEGGI RAZZIALI E PAGINE DIMENTICATE

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Un professore ebreo di sentimenti fascisti, Tullio Terni, docente di anatomia, si tolse la vita per il dispiacere dopo essere stato allontanato dall’Accademia dei Lincei. La stessa, tragica protesta fu posta in atto dall’editore modenese Angelo Formiggini, lanciatosi nel vuoto dalla Torre della Ghirlandina dopo l’approvazione del Regio decreto legge. La madre di Fabio Filzi (del cui nome i fascisti si erano riempiti per vent’anni la bocca) restituì sdegnata la medaglia d’oro al valor militare del martire triestino ed ebreo.

di Luciano Garibaldi

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Tra le molte lettere che ho ricevuto a seguito della mia ultima “memoria d’epoca” del 30 aprile scorso, dedicata al comportamento dei giornalisti di fronte alle leggi razziali emanate dal regime fascista, alcuni lettori, soprattutto giovani, mi chiedono di approfondire e spiegare meglio l’essenza e il contenuto di quelle leggi. Cerco di aderire alla legittima richiesta e lo faccio rifacendomi ad un bel libro, edito qualche anno fa da Mondadori, dal titolo «I Giusti d’Italia: i non ebrei che salvarono gli ebrei», edizione italiana a cura di Liliana Picciotto, illustre ed apprezzata storica della Shoah. Dunque, si inizia col ricordare che le leggi razziali antiebraiche furono varate con il RDL (Regio decreto legge) 1728/38. Il primo risultato delle leggi, che hanno segnato la condanna morale del fascismo sul piano storico, fu l’esclusione di insegnanti e studenti ebrei «da tutte le scuole del Regno, di ogni ordine e grado». Fu l’inizio della rovina economica e personale per decine di illustri docenti universitari e centinaia di oscuri maestri elementari e professori di scuola media e fu anche l’inizio della caccia ai posti lasciati vacanti. A fronte di un solo caso di rifiuto (quello di Massimo Bontempelli) di occupare la cattedra (di Letteratura italiana) fino al giorno prima appartenuta ad un collega ebreo, ben 108 professori «ariani», vantando «benemerenze fasciste» che in molti casi neppure possedevano, riuscirono a farsi nominare ordinari al posto di altrettanti professori israeliti che avevano perso la cattedra e lo stipendio.

Duecento furono i liberi docenti cacciati e duecento coloro che, senza vergognarsi, ne presero il posto. Tra i più famosi docenti universitari ebrei cacciati a seguito di un decreto legge proposto dal ministro Bottai, Tullio Ascarelli, Rodolfo Mondolfo, Edoardo Volterra, Attilio Momigliano, Giorgio Mortara, Marco Fano. Particolarmente straziante il dramma di non pochi docenti ebrei notoriamente fascisti, come il professor Giorgio Del Vecchio, rettore magnifico dell’Università di Roma, e il professor Gino Arjas, costituzionalista e teorico del corporativismo.

Un professore ebreo di sentimenti fascisti, Tullio Terni, docente di anatomia, si tolse la vita per il dispiacere dopo essere stato allontanato dall’Accademia dei Lincei. La stessa, tragica protesta fu posta in atto dall’editore modenese Angelo Formiggini, lanciatosi nel vuoto dalla Torre della Ghirlandina dopo l’approvazione del Regio decreto legge. Una delle più fiere proteste fu quella della madre di Fabio Filzi (del cui nome i fascisti si erano riempiti per vent’anni la bocca), che restituì sdegnata la medaglia d’oro al valor militare del martire triestino (ed ebreo).

Giovanni Gentile, all’epoca rettore magnifico dell’Università di Pisa, pur essendo profondamente contrario alle leggi razziali (nelle conversazioni e nelle lettere agli amici deprecava la «marea montante» dell’antisemitismo), non ebbe il coraggio di prendere apertamente le distanze da quell’iniziativa. Tuttavia si adoperò per mettere in salvo negli Stati Uniti alcuni professori tedeschi ebrei che aveva fino a quel momento protetto e fatto lavorare sia a Firenze sia a Pisa. Negli Stati Uniti emigrò anche il professor Enrico Fermi, il grande fisico romano, capo della «scuola di via Panisperna», per mettere al sicuro la moglie ebrea. In cambio dell’ospitalità ricevuta, regalerà all’America, assieme a Oppenheimer, la bomba atomica.

Il Regio decreto legge era stato preceduto, il 6 ottobre di quell’anno 1938, dalla riunione del Gran Consiglio del Fascismo con all’ordine del giorno l’approvazione della “Dichiarazione sulla razza”. Essa stabiliva: sono proibiti i matrimoni tra cittadini italiani e appartenenti a “tutte le razze non ariane”; è fatto divieto a tutti i dipendenti pubblici di contrarre matrimonio con ebrei e con stranieri “di qualsiasi razza”; è decretata l’espulsione degli ebrei stranieri, compresi coloro che hanno ottenuto la cittadinanza italiana a partire dal 1° gennaio 1919 (norma che violava apertamente il principio della non retroattività delle leggi) a meno che non siano ultra 65enni, oppure sposati con un italiano/a da prima del 1° ottobre 1938; sono esclusi da questi provvedimenti solo i familiari dei Caduti in guerra, dei volontari di guerra, dei decorati al valor militare, dei “Caduti per la causa fascista”. Rimane comunque valida, anche per costoro, l’esclusione dall’insegnamento. Inoltre, gli ebrei non possono avere aziende con 100 o più dipendenti, non possono possedere oltre 50 ettari di terra, non possono prestare servizio militare, non possono lavorare negli impieghi pubblici.

Durante la seduta del Gran Consiglio, conclusasi nelle prime ore della mattina del 7 ottobre, l’unico gerarca che si pronunciò contro la “dichiarazione” fu Italo Balbo. Emilio De Bono e Luigi Federzoni espressero “riserve”. Cesare Maria De Vecchi, la cui moglie era ebrea, aveva disertato con una scusa. Tutti gli altri approvarono. La “marea antisemita” fu portata a termine – come si è detto – con il Regio decreto legge 17 novembre 1938 numero 1728, che accolse tutte le indicazioni del Gran Consiglio trasformandole in legge dello Stato.

Degli 8566 ebrei italiani deportati in Germania dopo l’8 settembre 1943, ne sarebbero tornati 1009. Malgrado questa tragica realtà, i tedeschi continuavano a protestare che «la politica razziale in Italia è stata una burla e una truffa».

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