Memorie di un’epoca – rubrica mensile a cura di Luciano Garibaldi
biografie, eventi, grandi fatti, di quel periodo in cui storia e cronaca si toccano
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16 – martedì 30 giugno 2015
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L’INCREDIBILE STORIA DELLE ORIGINI DEL VOLO
Pochi sanno che ben prima dei mitici fratelli Montgolfier, due gesuiti e un altro religioso riuscirono a lanciare nel cielo dei palloni da essi studiati e realizzati. Lo storico dell’aviazione Mirko Molteni ha ricostruito anche le loro imprese. Ma – come sempre nelle grandi conquiste umane – tutto parte da Leonardo da Vinci
di Luciano Garibaldi
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Quanti sapevano che alle origini del volo umano si collocano le ricerche, gli studi e le speranze di due gesuiti e di un altro religioso italo-francese? Ben pochi, anzi direi nessuno, prima che comparisse nelle librerie la nuova ricerca storica di Mirko Molteni che ha per titolo «Le ali di Icaro. Storia delle origini del volo», ed è edita dalla Odoya, una Casa editrice bolognese che sta facendosi rapidamente strada tra le più innovative e sorprendenti d’Italia. Ma veniamo alla scoperta di Molteni, giustamente sottolineata nella prefazione a cura di Giorgio Apostolo, uno dei massimi esperti italiani di aeronautica, secondo cui il libro contiene «una messe di informazioni e dati non soltanto su macchine del volo e personaggi più o meno noti, ma su molti altri pressoché sconosciuti, nondimeno degni di apparire in un’opera di questo livello». Tra i quali, appunto i mitici gesuiti del Seicento. «L’autore», scrive ancora Apostolo, «non si è affidato soltanto alla fantasia, si è documentato a fondo, ha consultato decine e decine di testi e documenti per far rivivere a livello mondiale, con un piacevole percorso, il pensiero e le imprese dei grandi sognatori del volo. Se gli sviluppi dell’aviazione sono stati così prestigiosi, il merito va anche a coloro che per primi hanno studiato la tecnica del volo e hanno costruito le prime macchine volanti».
Tra questo, appunto, i gesuiti che hanno subito colpito la nostra attenzione. Gesuiti che si collocano a metà strada tra i due miti del volo umano: Leonardo da Vinci, che dedicò una grandissima parte della sua magica energia al progetto, e i fratelli Montgolfier, che alla fine del Settecento realizzarono il primo apparecchio umano volante. Gesuiti che tutti hanno dimenticato, ma non Mirko Molteni il quale ricostruisce nel dettaglio le loro scoperte e le loro realizzazioni.
Prendendo spunto dai giocosi palloni in pasta di cera, gonfiati con alito caldo, con i quali Leonardo da Vinci soleva trastullarsi quando passeggiava lungo il Tevere, nel 1670 il gesuita bresciano padre Francesco Lana de Terzi pubblicò la sua opera «Prodromo, ovvero saggio di alcune invenzioni nuove», dove l’intero sesto capitolo era dedicato ad un progetto di «nave volante», concepita come un battello galleggiante nell’atmosfera, con tanto di vele e remi per la locomozione. Il sostentamento avrebbe dovuto essere assicurato da quattro sfere di rame cave, nel cui interno fosse stato prodotto il vuoto pneumatico. Padre De Terzi calcolò che, fabbricando una sfera di rame del diametro di 14 piedi (grosso modo 4 metri e mezzo), e togliendo l’aria al suo interno, ne sarebbe risultata una grossa spinta verso l’alto a causa della caduta della densità della sfera. E ipotizzò che, abbinando quattro sfere di questo tipo, possibilmente un po’ più grandi, si sarebbe potuto far volare una piccola imbarcazione. E’ sintomatico notare come il geniale gesuita bresciano, pur descrivendo con minuzia di particolari la sua invenzione, la paventava, e si augurava che nessuno mai la realizzasse, temendone l’impiego per fini bellici: mai previsione fu tanto azzeccata. Ecco con quali parole padre De Terzi descrisse quelle che egli stesso definì «pesanti perturbazioni dell’ordine civile e politico tra gli uomini», che la sua invenzione, se realizzata su scala industriale, avrebbe comportato:
«Niuna città sarebbe sicura dalle sorprese, potendosi ad ogni ora portare la nave a dirittura sopra la piazza di esse. L’istesso accadrebbe nelle corti delle case private, e nelle navi che scorrono il mare (…) con ferri che dalla nave volante si gettassero a basso, sconvolgendo i vascelli, uccidendo gli uomini, incendiando le navi con fuochi artificiati, con palle e bombe; né solo le navi, ma le case, i castelli e le città, con sicurezza di non poter essere offesi quelli che da una smisurata altezza le facessero precipitare».
Impressionante! Sembra la visione profetica di Dresda, di Hiroshima, di Nagasaki. Padre De Terzi scrisse peraltro di non disporre nemmeno dei cento scudi necessari per finanziare la costruzione dell’aeronave, dato il suo voto di povertà. E’ un fatto che le sue teorie vennero tenute in gran conto per oltre un secolo. Il gesuita bresciano morì nel 1687, ad appena 56 anni. Qualche decennio dopo, agl’inizi del Settecento, proprio un suo confratello, un altro gesuita, collaudò una macchina volante. Si trattava del portoghese Bartolomeu Lourenço de Gusmao, che nel febbraio 1704 scrisse una lettera a re Giovanni V, parlandogli di una sua invenzione utile «per viaggiare nell’aria allo stesso modo che si fa per terra e per mare». Il gesuita prospettava al sovrano l’utilizzo di un mezzo volante in grado di coprire anche 200 leghe al giorno, e mantenere i contatti fra le guarnigioni americane, africane e asiatiche dell’immenso impero coloniale portoghese. Per tutta risposta, Re Giovanni V gli chiese di realizzare la sua invenzione, premiandolo con una cattedra di matematica all’Università di Coimbra e un reddito di 600 mila reis all’anno. Padre Gusmao fece alzare dei palloni ad aria calda, alla presenza del Re, tra il 3 e l’8 agosto 1709 nel sontuoso Palazzo delle Indie di Lisbona. Tra gli spettatori c’era anche il nunzio apostolico in Portogallo, il cardinale Michelangelo Conti, poi eletto Papa nel 1721 con il nome di Innocenzo XIII. Nel 1720, ossia 11 anni dopo, Gusmao decollò personalmente su un pallone che però dovette atterrare quasi subito, danneggiato. A quel punto, egli era già entrato nelle mire dell’Inquisizione, che lo tacciò di arte «nao divina», cioè «non divina» e lo fece incarcerare nonostante avesse l’appoggio del Re del Portogallo. Il quale, con il pieno aiuto della Compagnia di Gesù, lo fece fuggire sotto mentite spoglie in Spagna, a Toledo, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita spegnendosi nel 1724.
Un terzo religioso, padre Giuseppe Gallieno, che insegnava filosofia in Francia, ad Avignone, ipotizzò nel 1755 una nave volante imbrigliante l’aria rarefatta delle grandi altitudini, in modo da sostenersi sopra i densi strati bassi dell’atmosfera. Ma, forse intuendone egli stesso l’impossibilità pratica, abbandono il suo progetto nel campo delle teorie. Ma ormai erano alle porte i fratelli Joseph (1740-1810) e Jacques Montgolfier (1745-1799) che iniziarono nel 1782 a scaldare su stufe e camini dapprima piccoli cartocci, poi involucri di seta che si alzavano fino al soffitto. Il 6 maggio 1783 alzarono un piccolo pallone fino a 20 metri d’altezza. Al suo interno c’era un gatto. Era solo l’inizio di un’avventura, appunto «Le ali di Icaro. Storia delle origini del volo», tutta da leggere.
Dopo i suoi due fortunati «L’aviazione italiana 1940-1945» (Odoya 2012) e «Un secolo di battaglie aeree» (Odoya 2013), Mirko Molteni ha dunque cambiato registro, ma non passione, e ha realizzato il più completo volume sulla storia dei tentativi dell’uomo, più o meno riusciti, di staccarsi dal suolo. Tra le vicende più poetiche narrate da Molteni, la storia del primo pallone moderno, il «Brazil», di Alberto Santos-Dumont, che a Parigi riuscì a volare più volte mentre la città assumeva il suo skyline attuale, contraddistinto dalla neonata Tour Eiffel. Imperdibile anche la vicenda di Otto Lilienthal, che compì più di duemila voli planati lanciandosi con un aliante dalle colline della sua Germania prima del volo che gli fu fatale. Entusiasmante poi la cronaca dei tentativi italiani di creare macchine volanti: per fare un solo esempio, quelle di Enrico Forlanini, inventore dell’elicottero a vapore e, per un soffio, superato da Zeppelin nella riuscita dell’impresa di creare il primo dirigibile efficiente. Insomma, un libro davvero divertente, avvincente e poetico (non a caso molti dei pionieri del volo erano artisti più che scienziati) che riesce a descrivere con destrezza il rapporto tra uomo e volo prima che il cielo fosse definitivamente conquistato.