Mourinho alla Roma. In un mondo di morti, forse il calcio ha ancora qualcosa di vitale

4 maggio 15.09: sul profilo Instagram appare l’immagine di Josè Mourinho sopra la scritta “UFFICIALE alla ASRoma”, “piace a maxkumbulla e a altri 16.127”. Rileggo. Sembra vero. Non ci credo. Vado sul sito della società, sembra confermare. Così mi rivolgo al primo ragazzo a caso che passa di lì per far leggere anche lui, caso mai avessi le traveggole. Il passante conferma, non sembro avere le traveggole. Questa volta l’ex Special One, poi Normal One, poi Humble One e ora, a detta di qualcuno, Boiled One, ha firmato per la mia squadra. Passo le successive due ore a fissare lo schermo.

L’ultima volta i rapporti erano: Mourinho triplete, Roma “zero tituli”. Lo schermo in ogni caso continua immobile a confermare. Continua a non sembrare vero. Ma lo è.

Ora, cosa significa per chi ama il calcio il ritorno di chi ha reso il calcio italiano “uno e triplete”? I detrattori si danno già un gran da fare per ricamare storie scontate di panettoni e bus davanti alla porta, su un allenatore finito. Poi magari il bus andrà a parcheggiare al Circo Massimo.

La verità è che la notizia è un boom. Un fulmine capitolino a ciel sereno. Un tuono mediatico sportivo di improbabilità stocastica smentita solo dai bookies inglesi, gli unici a capire veramente qualcosa di scommesse come gli inglesi di football. I Friedkin, proprietari della Roma, hanno fatto tutto con una classe cui non siamo abituati, parlare poco e fare i fatti.

Il ritorno in Italia dell’allenatore portoghese è una fiammata di passione sulla mediocrità. Non del calcio, perché, per quanto mediocre sia il livello del football nel Belpaese, tutti sappiamo quanto la forza di Josè non sia il bel gioco. Ma è una fiammata sulla mediocrità intellettuale di quanti si sono abituati a pensare il calcio e la vita in termini finanziari. Invece, per fortuna al mondo ci sono persone che pensano la vita in termini di passione, di orgoglio, di verità e di coraggio. Dio solo sa di quanto coraggio abbiamo bisogno oggi. Stavo per avere perfino il coraggio di invocare il ritorno Allegri pur di evidenziare l’impotenza del calcio e del genio italico.

Tutti a criticare i festeggiamenti degli interisti, quando la verità sacrosanta è che l’ultima passione d’Italia è il football. Ed è pure agonizzante. Non ci siamo mossi per salvare la nostra libertà giuridica di cittadini quando ci hanno chiusi in casa, non abbiamo aperto bocca per difendere la nostra dignità di italiani quando immigrati clandestini fanno quello che gli pare senza mascherina e senza coprifuoco, ma questi bauscia di interisti si sono affollati in piazza del Duomo a Milano per festeggiare. E lo Stato si è rivelato impotente. Perché lo è. Si regge sulla paura che promana da media ipocritamente scandalizzati e dissociati. Vivaddio qualcuno si è mosso!

Siccome da “sono un bauscia, non sono un pirla” a “daje Roma” è un attimo, passassero anche tredici anni, ecco un uomo che si può solo amare o odiare, come certi vini, come certi re.

“Ringrazio la famiglia Friedkin per avermi scelto a guidare questo grande Club e per avermi reso parte della loro visione Dopo essermi confrontato con la proprietà e con Tiago Pinto ho capito immediatamente quanto sia alta l’ambizione di questa Società. Questa aspirazione e questa spinta sono le stesse che mi motivano da sempre e insieme vogliamo costruire un percorso vincente negli anni a venire. L’incredibile passione dei tifosi della Roma mi ha convinto ad accettare l’incarico e non vedo l’ora di iniziare la prossima stagione. Allo stesso tempo, auguro a Paulo Fonseca le migliori fortune e chiedo ai media di comprendere che rilascerò dichiarazioni solo a tempo debito. Daje Roma!”

Sembra l’uomo giusto per la difficile piazza di Roma, almeno quanto Roma è la piazza giusta per accarezzare tutta la potenzialità mitopoietica di questo filosofo del calcio. Questa volta lo Special ha trovato un progetto nel quale si possa sentire al centro, senza la condanna di vincere subito.

L’ingaggio di Mourinho (che si è dimezzato lo stipendio, 7,5 mln) è un bene per tutto il calcio italiano, è un bene per lo sport, è un male per i giornalisti politically correct che avranno sempre qualcosa di cui parlare, ma per una volta dovranno stare attenti a quello che diranno: il martello della prostituzione intellettuale è tornato dietro al microfono. C’è un uomo, sulle reti sportive, che non ha mai avuto paura di essere se stesso, nella sregolatezza a bordo campo e nelle conferenze stampa, che non ha mai amato di più il piacere a tutti di quanto amasse il suo football, più della verità. Può non piacere, ma è così.

Il ritorno dello Special One rischia soprattutto di essere un volano per la società capitolina in termini di brand e di sviluppo economico, basta vedere che Ryan air ha già lanciato lo spot: “Josè sarà felice di sapere che noi ora voliamo da Londra a Roma a soli 14,99 sterline”. Perché Josè è un fenomeno metacalcistico in grado di attrarre persone e circoli di pensiero non direttamente interessati al football. Tutti i siti del mondo hanno aperto con la notizia di Mourinho alla Roma, non della Roma che ha preso Mourinho. Poi mi basta guardare i messaggi sul cellulare, arrivati da persone di ogni estrazione sportiva, promettenti tifo giallorosso il prossimo anno.

Ha fallito a Manchester e al Tottenham, vero, gli inglesi lo hanno definito “personalità divisiva” adottata come habitus, vero, ma è proprio quello che ci vuole in questa società di fiocchi di neve piagnucolosi e isterici, che per ogni cavolata si aggrappano alle sottane del reato d’odio. I metodi di Josè saranno bruschi, forse, per questo funzionano con gli uomini. Non chiedetevi se l’allenatore è troppo severo, chiedetevi se siete abbastanza uomini.

Il football non è morto. Il rigetto della tentata vandalizzazione di quanto ne rimane da parte di Florentino Perez e Andrea Agnelli con la loro boiata galattica, insieme a questo fracasso capitale, fa ben sperare. Fa sperare nel NO AL CALCIO MODERNO, che possa rivitalizzare il football. Mourinho è stato uno dei primi a opporsi alla trovata della Super League, rifiutandosi di guidare l’allenamento quell’unica mattina di vita della nuova manifestazione.

Questa volta possiamo ben ricominciare a parlare di una Roma che chiude l’annata calcistica a zero tituli, certo, ma, questa volta, siamo sicuri che non si cercherà di far scrivere un trattato di anatomia a un macellaio, al Teorico del Calcio più brutto, né al Patafisico di Certaldo, ma un’opera d’arte imprevista a un demiurgo esplosivo d’antica pratica.

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