PREMESSA: con questo articolo di Piero Vassallo, Riscossa Cristiana intende aprire un dibattito e dare incentivo alla ricerca, per una conoscenza più approfondita del periodo fascista e della figura di Mussolini. Questo perchè, quale che sia il giudizio che possa scaturire dopo un serio studio, non è concepibile che un popolo cancelli su ordine di una storiografia frettolosa e demagogica vent’anni della propria Storia. Ogni contributo, scritto con spirito costruttivo e con sincera ricerca del vero, sarà graditissimo.
PD
I Diari, un incentivo al dibattito
di Piero Vassallo
Sono veri o presunti i Diari di Benito Mussolini, sfrontatamente pubblicati dall’impavido Marcello Dell’Utri? L’indiscussa, paludata autorità delle opposte e irriducibili scuole di pensiero non consente di sciogliere il dubbio. Probabilmente non si saprà mai se i testi in questione sono stati scritti da Mussolini nelle date segnate o da lui copiati frettolosamente dopo il 1943 o inventati da un falsario geniale, uno storico di alto profilo e miracolista, il quale, oltre tutto, conosceva eventi familiari dei quali era al corrente soltanto il duce.
Si può invece affermare senza imbarazzi la verosimiglianza dei Diari attribuiti al duce. Nelle pagine di quei diari, si leggono giudizi in sintonia con gli studi degli storici (di varia collocazione ideologica), che hanno corretto la classica, partigiana rappresentazione del vituperato tiranno, irresponsabile, feroce, e ossessivamente inteso a trascinare in una disgraziata guerra le masse italiane ubriacate dalla retorica guerrafondaia. Ritratto satirico, il cui disegno sembra lo specchio dei rancori nutriti dalle biliose e rancorose logge massoniche, che Mussolini aveva saggiamente messe fuori gioco.
La verosimiglianza dei Diari incoraggia a spezzare la parentesi marmorea entro la quale un ventennio di storia italiana è sepolto dal giudizio schizzinoso, altezzoso e demonizzante di Benedetto Croce. Convalida inoltre i giudizi non sfavorevoli formulati da numerosi storici estranei e ostili alla cultura fascista, ad esempio Hanna Arendt, George Mosse, Ernst Nolte, Renzo De Felice.
Nel conto vanno messi anche gli elogi tributati a Mussolini da pontefici (Pio XI, Pio XII), da luminose figure del mondo cattolico (San Pio da Pietralcina, il Beato Ildefonso Schuster, il Beato Giovanni XXIII), da statisti ideologicamente lontani (ad esempio Lenin, Churchill e Roosevelt) e da esponenti d’alto profilo della cultura internazionale (Mohandas Gandhi ecc.).
Forse è avviata la riabilitazione dei giudizi formulati da storici e studiosi censurati perché appartenenti o sospettati di appartenere alla cultura di destra: Nino Tripodi, Giovanni Volpe, Attilio Tamaro, Ennio Innocenti, Giano Accame, Enzo Erra, Franco Perfetti, Gianfranco Legitimo, Marcello Staglieno, Fausto Belfiori, Primo Siena, Luigi Gagliardi, Fausto Gianfranceschi, Luciano Garibaldi, Filippo Giannini, Fabio Andriola, Enrico Landolfi, Davide Sabatini, Francesco Grisi.
Le pagine dei Diari, in ultima analisi, confermano la descrizione di Benito Mussolini, uomo colto e statista responsabile, immagine che si deduce dai taccuini di Yvon de Begnac.
Ora la prima notizia che trae conferma dai Diari è la lucida avversione di Mussolini alla guerra a fianco della Germania. Il duce era amareggiato dalla docilità e dalla superficialità di Galeazzo Ciano, che aveva firmato il Patto d’acciaio con i tedeschi senza tenere conto delle prudenti indicazioni ricevute prima della partenza per Berlino.
La notizia del dissenso che correva tra il duce e il suo ministro degli esteri è nota (e confermata dai sicuramente autentici Diari di Ciano), ma alcuni stentano a credere che Ciano abbia firmato, senza tener conto delle riserve e delle cautele consigliate da Mussolini, un testo del Patto d’acciaio che contemplava un più gravoso impegno dell’Italia nei confronti dei tedeschi.
Se non che la personalità di Ciano era notoriamente tormentata dall’ambizione, dall’eccessiva autostima, dalla rivalità verso il duce e dalla volubilità, difetti e stati d’animo che inducono a non escludere una sua rovinosa arrendevolezza e una disgraziata infatuazione davanti alle adulazioni e alle vanterie di politicanti esperti nell’arte della chiacchiera, quali Adolf Hitler e Joachim Ribentropp.
Il profilo aggressivo della Germania nazista, invece, inquietava e spaventava Mussolini, che tra sé e sé rifletteva sulle difficoltà purtroppo connesse alla eventuale scelta neutralista: “Noi neutrali? [i tedeschi] vorrebbero proteggerci e mettere le mani su tutta la penisola… Poniamo che intervenga l’America, la guerra diventerebbe dura e tremenda – allora il nostro Hitler come vedrebbe la neutralità italiana? – un pieno atto di inimicizia un’intesa con il nemico – un inganno” (Diari, 25 luglio 1939).
E’ lecito sospettare che sia apocrifa la pagina (29 dicembre 1939) in cui si afferma che l’America è vigile e ansiosa d’intervenire. Ma il timore del decisivo intervento in guerra dell’America è confermato da documenti storici inoppugnabili. Ad esempio dal promemoria (citato da Renzo De Felice) indirizzato da Mussolini a Hitler prima dell’attacco (vittorioso, contro le tracotanti previsioni di Gamelin) alla Francia: in esso si afferma che la Germania avrebbe forse potuto vincere in Francia ma non evitare l’intervento massiccio e risolutivo dell’America.
Mussolini, pertanto, suggeriva a Hitler d’inviare segnali di moderazione, ad esempio proporre la costituzione di uno stato polacco indipendente.
Purtroppo Hitler e Stalin avevano già concordato la spartizione della Polonia, frustrando e affossando l’intenzione pacificatrice del governo italiano e vanificando gli accorati appelli di Pio XII.
Nel novembre del 1939, d’altra parte, il presidente americano, Franklin Delano Roosevelt nascondeva le intenzioni bellicose degli Stati Uniti dietro vaghe e tortuose allusioni all’inevitabile coinvolgimento nella guerra umanitaria: “Quando la pace viene rotta in qualsiasi parte del mondo, la pace di tutti gli altri paesi, ovunque si trovino è in pericolo”.
Il presunto guerrafondaio Mussolini, invece, riconosceva la debolezza degli armamenti italiani e scriveva: “Dovevo parlare a quel malnato tedesco e dire la verità che non abbiamo armi, che non abbiamo mezzi – che abbiamo bisogno di pace per ridimensionare l’Impero per costruire per lavorare – che una guerra non la vogliamo“ (Diari 28 luglio 1939).
Il pensiero esposto nei Diari veri o presunti è perfettamente in linea con la dichiarazione che si legge nel discorso tenuto a Tripoli nel marzo del 1937: “Entro il Mediterraneo e fuori noi desideriamo di vivere in pace con tutti e offriamo la nostra collaborazione a coloro che manifestino un’identica volontà“.
Il 2 settembre, quando era già in atto l’aggressione tedesca alla Polonia e incombeva l’intervento sovietico, Mussolini, preda dell’angoscia, scriverà: “Tutti oggi si compiacciono che oggi siamo fuori dal conflitto – ma io no. Non è una soluzione – Una pestilenza quale è una guerra di queste proporzioni non può non dilagare ovunque, non può non contagiare tutto“.
Il 29 settembre, quasi presago del fatale coinvolgimento dell’Italia il duce scriveva: “Udiamo le parole di Montesquieu: l’autore di una guerra non è mai chi la dichiara ma chi la rende necessaria”.
Il 9 ottobre: “Gli inglesi stimolano l’odio ed eccitano gli animi. Non trascurano occasione per imporsi e umiliarci. .. Vi è un altro che andrebbe sperso al vento come la polvere: Hitler – che brucia dalla voglia di fare la guerra proprio adesso – senza attendere un momento meno drammatico e infelice”.
E il 1 novembre affermava che la neutralità italiana disgraziatamente non era sostenibile: “Neutrali. L’Italia neutrale – Ma come può l’Italia essere neutrale in un conflitto di tale entità – basta guardare la carta geografica dell’Europa – dov’è l’Italia? In un punto vitale, inevitabile in uno scontro fra oriente e occidente”,
Le ragioni ultime del fatale e forse inevitabile intervento italiano nella II guerra mondiale sono finora sconosciute. Sono state fatte ipotesi fantasiose ma non credibili sulle sollecitazioni di Churchill a intervenire. Giano Accame le ha ridicolizzate. Si è pensato anche a un inganno ben architettato e sostenuto da falsi documenti prodotti dai servizi segreti britannici, per far credere a Mussolini che mai l’America sarebbe intervenuta. Altri hanno sostenuto che Mussolini temeva l’esecuzione di un piano dell’esercito tedesco contemplante la fulminea occupazione dell’Italia.
Certo è che le reiterate dichiarazioni dei Diari, messe a confronto con i documenti d’archivio, lasciano pensare che non sia inverosimile l’ipotesi contemplante l’inevitabilità della guerra e il trascinamento del riluttante governo italiano nella sciagura. Quando si considerano i dubbi e i timori di Mussolini, ad ogni modo, non è più credibile il cliché dell’Italia, che entra in guerra animata dall’istinto dello sciacallo attirato dai bocconi promessi dal leone nazista.
La rilettura della storia, sia chiaro, non intende riabilitare il fascismo (anche se è arduo non condividere di gli scritti di Giorgio Fedel, Marcello Veneziani e Pietrangelo Buttafuoco, che deplorano l’espulsione del ventennio fascista dalla memoria italiana) ma ricostruire il dramma della debole e male armata Italia, stretta nella morsa costituita dagli opposti guerrafondai, i fanatici tedeschi e gli arroganti anglo-francesi.
Confermate le gravissime colpe della Germania hitleriana, si deve aprire la porta a nuove congetture sugli altri promotori del conflitto, cioè riflettere sulle responsabilità che si leggono in filigrana nella mancata dichiarazione di guerra (di Francia e Inghilterra) all’alleato sovietico dell’aggressore tedesco in Polonia.
Perché il pacifismo anglo-francese funzionò a corrente alternata? Perché non si può parlare di un’opzione occidentale favorevole a Stalin?
Inoltre: perché non fu prestato alcun aiuto militare alla Polonia? E’ possibile che i governi di Francia e Inghilterra credessero seriamente alla patetica vanteria dei polacchi, che pronosticavano l’espugnazione di Berlino nel giro di poche settimane?
Nei Diari, Mussolini sostiene che gli anglo-francesi erano in grado di far intervenire le forze aeree e che una tale interposizione avrebbe potuto ostacolare efficacemente l’avanza dei tedeschi (avanzata che in larga misura dipendeva dalla quasi indisturbata azione della Luftwaffe).
Ammesso che i Diari siano un falso, rimane la certezza che l’intervento dell’aviazione anglo-francese in Polonia era possibile e sarebbe stato efficace. Perché la Polonia fu invece abbandonata al suo tragico destino? Giusta la definizione di Mussolini, Hitler era un folle. Perfino il filo-tedesco Julius Evola riconobbe che Hitler era vittima di fisime alienanti. Ma la follia di Hitler non giustifica né gli atti irresponsabili, né le omissioni né la conclamata viltà degli anglo-francesi.
Nel 1937 Bernard Shaw aveva previsto che le efficaci, innovative riforme attuate da Mussolini avrebbero causato un serio conflitto con le nazioni a guida capitalistica.
E’ possibile che la guerra sia stata desiderata dalle patrie del capitalismo quale alternativa alla vincente politica di Mussolini? E’ questa la domanda che gli storici dovrebbero porsi prima di sottoscrivere e di ripetere la solita condanna del guerrafondaio Mussolini.
Il disprezzo che Mussolini nutriva nei confronti del malnato Hitler, d’altra parte, è una verità che nessun storico osa mettere in dubbio. Fabio Andriola ha dimostrato addirittura che l’impietosa e sprezzante battuta di Mussolini “Hitler, orribile degenerato sessuale, pazzo pericoloso” fu pronunciata da Mussolini alla presenza di testimoni attendibili e inconfutabili [1].
E’ accertato che l’Italia fu spinta all’alleanza con la Germania dalla stupidità e dalla malafede dimostrate dagli anglo-francesi alla vigilia della guerra italiana per la conquista dell’Etiopia (perfino l’implacabile Winston Churchill, nella Storia della II Guerra mondiale, ammise che Pierre Laval aveva dichiarato a Mussolini che la Francia non era contraria all’intervento italiano in Etiopia).
Certo è che, fino al 1935 Mussolini, aveva dichiarato più volte la sua risoluta ostilità e il disprezzo nei confronti dell’ideologia e della politica dei nazisti. L’imprevisto voltafaccia degli anglo-francesi e le sanzioni purtroppo lo costrinsero alla sciagurata alleanza con la Germania.
Senza dubbio le leggi razziste, imposte nel 1938 per compiacere il delirio ariano dell’alleato tedesco costituiscono una macchia indelebile.
L’estraneità di Mussolini all’ideologia razzista dichiarata nei Diari, tuttavia, è stata riconosciuta da uno storico insospettabile, George Mosse, il quale stabilì che “il pensiero nazional-patriottico [tedesco] ebbe una dimensione razzista che il fascismo italiano non aveva” [2].
La lettura del saggio del ministro dell’educazione nazionale Balbino Giuliano (Latinità e germanesimo, Bologna 1941), l’indirizzo umanistico degli scritti e dei discorsi tenuti da Giovanni Gentile durante la guerra e il contenuto degli articoli pubblicati da Francesco Orestano nella rivista Gerarchia (rivista fondata e diretta da Benito Mussolini) confermano che la cultura italiana era irriducibile alla cultura nazista. Al proposito, De Felice rammenta che Goebbels andava su tutte le furie quando riceveva la rivista del duce. Rivista che dichiarava apertamente la contrarietà della tradizione italiana al pensiero dominante in Germania.
Bocciati frettolosamente e fulminati dagli storici di scuola tardo-gramsciana e dai conformisti di complemento, i Diari di Mussolini forse riaprono pagine di storia italiana chiuse ermeticamente dall’ammirazione per la meraviglia sovietica e per il sognato paradiso americano. In quelle pagine severamente proibite dalla scolastica dei Camera & Fabietti forse si trova l’antidoto ai veleni che permettono lo striscio anacronistico di una guerra civile conclusa nel 1945.
[1] Citato da Fabio Andriola, in “Mussolini nemico segreto di Hitler”, Piemme, Casale Monferrato 1997, pag. 131. La fonte di Andriola è l’autorevole Paolo Monelli.
[2] “Il fascismo Verso una teoria generale”, Laterza, Bari 1996, pag. 62.