Scriptorium – Recensioni. Rubrica quindicinale di Cristina Siccardi

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Questa settimana parliamo di umiltà. Strana parola in questi tempi di tracotanza, superbia e disinibizione esponenziali. Tuttavia l’umiltà continua ad essere per il cattolico il biglietto da visita indispensabile, se desidera rimanere tale.

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I Santi – quelli veri e non sponsorizzati dalle contemporanee pressioni ideologiche che vedono, per esempio, in don Lorenzo Milani un “campione” da imitare – hanno conquistato la terra e il Cielo proprio con l’umiltà. Potevano essere sapienti come san Tommaso d’Aquino o ignoranti come Bernadette Soubirous; potenti come san Pio V o servi come san Martin de Porres, diversissimi fra di loro per rango, prestigio, intelligenza, capacità operative, ma hanno sempre e tutti un elemento che li accomuna, oltre all’aderenza ortodossa al Vangelo: disprezzano la superbia e sono profondamente umili. Quell’umiltà che si fa Gloria per Dio.

Proprio sull’umiltà ricordiamo ciò che scrive Gilbert K. Chesterton nel suo Eretici (Lindau, Torino 2010):

«Il segreto del reale successo della cristianità risiede interamente nell’umiltà cristiana, per quanto realizzata in modo imperfetto. Poiché una volta eliminate tutte le questioni di merito o di ricompensa, l’anima viene improvvisamente liberata per incredibili viaggi. Se chiediamo a un uomo assennato quanto si meriti, istintivamente e improvvisamente la sua mente si ritrae. È indubbio che si meriti anche solo sei piedi di terra. Ma se gli domandate che cosa può conquistare, vi risponderà: le stelle» (p. 54).

All’umile davvero umile non interessa l’applauso perché è al di sopra dell’adulazione umana, al santo sta a cuore farsi piccolo piccolo di fronte a Dio e così facendo non ambisce per sé, bensì ad estendere la città di Dio e così facendo più si umilia e più viene esaltato dal Creatore. L’umile davvero umile guarda all’essenziale e non agli orpelli, egli va dritto al Tutto, Dio Trinità, e non si attarda su se stesso e così facendo più si abbassa e più diventa importante agli occhi dell’Assoluto. Così l’umile va incontro ai successi della Chiesa trionfante in Cristo. A queste considerazioni possiamo legare ciò che ancora scrive Chesterton, seppure egli non rivolga la sua attenzione ai Santi, ma ai cattolici in genere:

«E questa gaia umiltà, questa scarsa considerazione di noi stessi, che non ci impedisce però di essere pronti per un’infinità di trionfi immeritati, questo segreto è così semplice che tutti hanno immaginato che dovesse essere qualcosa di molto sinistro e misterioso. L’umiltà è una virtù così pratica che gli uomini pensano debba essere un vizio. L’umiltà ha così tanto successo che viene scambiata per orgoglio, tanto più facilmente perché di solito è accompagnata da un certo amore semplice per la bellezza che equivale alla vanità. […] L’umiltà è solo troppo preziosa per questo mondo, è anche troppo pratica […]» (p. 55). Ebbene sì, innumerevoli sono i vantaggi dell’essere umili: non ci si arrabbia con se stessi e non ci si arrabbia con gli altri. Trovate che sia poca cosa in questo mondo di irosi e lamentosi che si dibattono senza conoscere il segreto della panacea chiamata umiltà?

Pensiamoci bene: è l’uomo umile che fa le grandi cose per il bene e per la bellezza dell’umanità ed è l’uomo umile che ardisce di opporsi al conformismo del suo tempo per servire Dio e condurLo al prossimo. A questo proposito ricordiamo ciò che insegna un libro che trova ideale compagnia con la Sacra Bibbia sul proprio comodino da notte, L’imitazione di Cristo, testo che andrebbe letto e riletto per imparare l’arte di vivere nella luce della Verità:

«Chi mette la sua fiducia negli uomini e nelle altre creature è un insensato. Non ti rincresca di star sottoposto ad altri, per amore di Gesù Cristo, e di sembrare un poveretto, in questo mondo. Non appoggiarti alle tue forze, ma salda la tua speranza in Dio: se farai tutto quanto sta in te, Iddio aderirà al tuo buon volere. Non confidare nel sapere tuo o nella capacità di un uomo purchessia, ma piuttosto nella grazia di Dio, che sostiene gli umili e atterra i presuntuosi. Non vantarti delle ricchezze, se ne hai, e neppure delle potenti amicizie; il tuo vanto sia in Dio, che concede ogni cosa, ed ama dare se stesso, sopra ogni cosa. Non gonfiarti per la prestanza e la bellezza del tuo corpo; alla minima malattia esse si guastano e si deturpano. Non compiacerti di te stesso, a causa della tua abilità e della tua intelligenza, affinché tu non spiaccia a Dio, a cui appartiene tutto ciò che di buono hai sortito dalla natura. Non crederti migliore di altri, affinché, per avventura, tu non sia ritenuto peggiore dinanzi a Dio, che ben conosce quello che c’è in ogni uomo (cfr. Gv 2,25). Non insuperbire per le tue opere buone, perché il giudizio degli uomini è diverso da quello di Dio, cui spesso non piace ciò che piace agli uomini. Anche se hai qualcosa di buono, pensa che altri abbia di meglio, cosicché tu mantenga l’umiltà. Nulla di male se ti metti al di sotto di tutti gli altri; molto male è invece se tu ti metti al di sopra di una sola persona. Nell’umile è pace indefettibile; nel cuore del superbo sono, invece, continua smania e inquietudine» (Libro I, cap. VII).

L’umiltà è presente in tutte le altre virtù; preferibile dire: è il loro fondamento, la loro radice, la loro porta. «Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili» (Lc 17, 10). Mentre san Paolo domanda: «Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?» (1 Cor 4, 7). Tutto è merito di Dio ciò che abbiamo, a noi la responsabilità di essere degni dell’immensità dei doni che ci ha elargito, anche a costo di annullarsi per Lui, se questa è la Sua volontà: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno, e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi… Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei Cieli» (Mt 5, 11). E ancora: «Chi vuol venire dietro a Me, rinneghi se stesso» (Mt 16, 24). Morire a se stessi non significa disprezzarsi, ma far fruttare i propri talenti. Morire a se stessi significa accettare in silenzio e senza lamento il disprezzo degli altri, la loro poca o nulla considerazione, le offese, le maldicenze, le cattiverie, le vendette, le parole amare e sarcastiche, le situazioni difficili e dolorose in famiglia, il lavoro pesante e umiliante, la poca salute e, insomma, tutto ciò che reca sofferenza. Se l’umiltà fosse il distintivo dei cattolici di oggi la Chiesa riscoprirebbe la propria identità in quanto deporrebbe le armi della superbia del pensiero laico contemporaneo per riappropriarsi della Verità portata da Gesù Cristo, l’Umile per eccellenza: dalla greppia di Betlemme al Calvario di Gerusalemme. Il Figlio di Dio ha accettato tutto in silenzio: percosse, sputi, schiaffi, calci, flagellazione, coronazione di spine, inchiodato alla croce…  «Apparso in forma umana, annientò Se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce» (Fil 2, 8). Pur essendo della stessa sostanza del Padre, si è lasciato calpestare, annientare e ancora ricorda, fino alla fine dei tempi: «Imparate da Me che sono mite e umile di cuore» (Mt 11, 29).

Maria Santissima è stata prescelta da Dio per essere Madre di Suo Figlio proprio per la sua umiltà e l’ha innalzata sopra a tutte le donne, come recita il Magnificat, il cantico per antonomasia dell’umiltà, dove la Madonna afferma: «L’anima mia magnifica il Signore /e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,/perché ha guardato l’umiltà della sua serva. / D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata./Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente/e Santo è il suo nome:/di generazione in generazione la sua misericordia/si stende su quelli che lo temono./Ha spiegato la potenza del suo braccio,/ ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;/ ha rovesciato i potenti dai troni,/ha innalzato gli umili…». Così l’umile delle umili è divenuta Regina del Cielo e della terra, corredentrice e mediatrice fra Dio e gli uomini.

L’amore per Dio e il timor Dio sono alla base dell’umiltà e il Padre, che vede nel segreto, ricompenserà il servo fedele: «Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dona la Grazia agli umili. Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno» (1,Pt 5, 5-6). «Chi si umilia sarà esaltato» (Lc 18, 14). Ci viene ancora incontro la semplicità e profondità di queste pagine senza tempo:

«Tu non sei maggiormente santo se ricevi delle lodi, né maggiormente cattivo se ricevi dei rimproveri; sei quello che sei, e non puoi essere ritenuto più grande di quanto tu non sia agli occhi di Dio. Se fai attenzione a quello che tu sei in te stesso, interiormente, non baderai a ciò che possano dire di te gli uomini. L’uomo vede in superficie, Dio invece vede nel cuore; l’uomo guarda alle azioni esterne. Dio giudica invece le intenzioni. Agire bene, sempre, e avere poca stima di se medesimi, è segno di umiltà di spirito; non cercare conforto da alcuna creatura è segno di grande libertà e di fiducia interiore. Chi non cerca per sé alcuna testimonianza dal di fuori, evidentemente si abbandona del tutto a Dio. Infatti, come dice S. Paolo, “non riceve il premio colui che si loda da sé, ma colui che è lodato da Dio” (2Cor 10,18). Procedere tenendo Dio nel cuore, e non essere stretto da alcun legame che venga di fuori, ecco la condizione dell’uomo spirituale» (L’imitazione di Cristo, Libro 2, cap. VI).

L’uomo è davvero libero quando dipende solo dalla grazia di Dio e allora viene protetto, difeso, sollevato, elevato perché il Signore constata la sincerità di quell’umile. L’umile conosce la serenità, la pace, la forza legate all’Amore Infinito e ciò perché non ha bisogno del compiacimento altrui, egli non dipende da quanti «mi piace» hanno cliccato su di sé, cerca solo di piacere a Dio, china il capo e con il salmista recita, come faceva san Francesco d’Assisi: «Bene per me se sono stato umiliato» (Salmo 118, 71). L’umile brama l’innocenza, la semplicità dell’infante, non l’astuzia, non la malizia dell’orgoglioso. «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli» (Mt 18, 3). Se tale è la condizione, è chiaro che si salveranno solo gli umili, perché solo l’umile è disposto a pentirsi e a convertirsi.

5 commenti su “Scriptorium – Recensioni. Rubrica quindicinale di Cristina Siccardi”

  1. Grazie, dottoressa Siccardi. Scrive Meister Eckhart (sermo “Homo quidam erat dives” – “Sermoni latini”): “La misericordia è la via con cui Dio viene incontro all’umiltà”. Mi chiedo dove eminenti (anche troppo) ecclesiastici abbiano seppellito il loro (e nostro) patrimonio medievale.

  2. Ignorare le scorciatoie che procurano il facile consenso e riporre tutta la propria fiducia in Dio. L’umiltà è la virtù che più ci rende simili al Signore ; non è acquisita una volta per sempre. La coltiviamo nel corso della vita attraverso l’accettazione della sofferenza e il perdono del male ricevuto. Per essere realmente associati a Gesù, alla Sua Croce, alla Sua Resurrezione. Ringrazio l’Autrice per il prezioso contributo.

  3. Non Metuens Verbum

    Se mi accorgo di essere umile, non sono umile. Se mi propongo di essere umile, non sono umile. Il fariseo che ringraziava Dio di non essere un peccatore come il publicano, non mentiva: lui veramente non faceva peccati; ma non aveva capito il suo essere totalmente creato e dipendente dal suo Creatore. Il publicano non chiedeva misericordia per avere riscosso le tasse: chiedeva misericordia come creatura al suo Creatore.
    Ma per noi che leggiamo, è troppo facile dire “Ti ringrazio Signore che non sono come quel fariseo: io sono umile”. AhAhAh, una risata (celeste) ci seppellirà.

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