Scriptorium – Recensioni. Rubrica quindicinale di Cristina Siccardi

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Recensioni  –  rubrica quindicinale di Cristina Siccardi

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Ci salverà il monachesimo. Nel ritorno alle origini il rinnovamento della Chiesa di Beniamino Lucis. Un libro che è gemma preziosa per tutti coloro che vogliono far vivere il proprio spirito oltre che il proprio corpo e che non si lasciano trascinare dall’uragano dell’apostasia, che tutto ha investito.

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zzzzlucis«I monaci avevano da chiudersi entro le alte mura dei Carmeli e delle Trappe; e predicare, sì, al mondo, ma non tanto con la parola, quanto con lunghi silenzi; col silenzio nudo delle mura di quei loro monasteri in faccia agli uomini, come simboli di resistenza alla follia del mondo e di attesa della Gerusalemme celeste spalancata ai quattro venti». Non c’era ouverture migliore, che porta la firma di Attilio Mordini, per un libro che è gemma preziosa per tutti coloro che vogliono far vivere il proprio spirito oltre che il proprio corpo e che non si lasciano trascinare dall’uragano dell’apostasia, che tutto ha investito. Ma non tutti si sono lasciati sommergere, come dimostra Beniamino Lucis con il suo splendido libro Ci salverà il monachesimo. Nel ritorno alle origini il rinnovamento della Chiesa (Fede & Cultura).

Dentro questo libro batte il cuore di un uomo di Dio lucido e ragionevole, che vuole vivere dentro la Verità di Cristo, l’unica a rendere piena e realizzata la vita, terrena e ultraterrena. Il mondo gli appare come un «ingranaggio che gira a vuoto», le autorità civili e religiose dicono le stesse monotone cose: pace, fratellanza, diritti umani… ma tutto, in realtà, segue un moto contrario. Come la forza di gravità attrae i corpi alla terra, così la Santissima Trinità attrae le anime. Ma più le anime si allontanano dal Dio trinitario, più il caos imperversa nelle vite private e nella vita pubblica.

Il peccato, ormai, è stato legittimato nelle sue forme più aberranti e il castigo è in mezzo a noi: quante persone arrabbiate incontriamo al giorno? Incomprensione, indifferenza, empietà riempiono le nostre città, giornali e telegiornali; mentre i social network sono fucine che per i giovani sfornano senza sosta, 24 su 24, egoismo, vanità, banalità, lussuria, sentimenti di competizione e di rivalità, di invidia e di antagonismo… Spegnere tutto, silenziare i megafoni della deficienza e del vuoto, del peccato e dell’ingordigia delle passioni terrene e leggere… leggere pagine come quelle di Ci salverà il monachesimo e accorgersi, così, che c’è qualcuno che offre la speranza e la terapia ai mali spaventosi di oggi.

«Il papa deplora la violenza compiuta dai cristiani nel passato, ma io preferisco la passione per la Verità a chi ormai ha rinunciato a cercarla e proclamarla. C’è la pace perché si rinuncia alla vita e a cercarne un senso» (p. 38), una pace, in realtà inesistente, visto che siamo costantemente e quotidianamente minacciati dalla violenza che si scatena dentro le case (il malessere familiare) e dentro le città (piccola o grande criminalità, nonché il terrorismo islamico). «Si va d’accordo, ci si dà la mano e si lanciano colombe bianche in cielo… ma non la diamo più a bere a nessuno, non ci crediamo a questa pace, nessuno ci crede. È come la rappresentazione patetica di un teatro semivuoto, non c’è più nemmeno l’illusione degli applausi del mondo. Lo spettacolo è vecchio, non ha più mordente, non interessa più nessuno.

Quale guerra? Non ci sarà una guerra, perché è troppo faticoso farla. I nostri giovani non ne avrebbero le energie. E come non hanno energie per la guerra, non hanno risorse nemmeno per costruire qualcosa per la vita.

Quali ideali per cui vivere? Se non c’è più verità, per cosa battersi? La verità è sprofondata nel baratro di un “rispetto” che è solo disinteresse. Fai la tua vita, credi ciò che vuoi, basta che non ci facciamo del male a vicenda. Ecco la falsa pace di questo falso mondo; una pace più tragica della guerra, la pace di questo grande cimitero di cadaveri spirituali: la nostra Europa ha perso la fede» (pp. 38-39).

Ma in mezzo a questa distruzione, in mezzo a zombi che camminano senza sapere dove sono diretti, esistono persone che scrivono libri come questo. Non tutto è perduto. È da questi germogli che occorre prendere forza. Le Spine della Sacra Corona di Cristo, sparse nelle diverse chiese, stanno germogliando: sono eventi miracolosi che dimostrano la vicinanza di Cristo in questo mondo di spettri e dalle macerie di una simile Europa che rigetta le sue radici, sorgerà un’Europa che, umilmente, dovrà tornare ad essere cristiana. E questo avverrà grazie anche ad un recupero della DIGNITA’ DELLA VOCAZIONE RELIGIOSA: non mancano le chiamate, mancano i luoghi idonei per accoglierle degnamente.

Chiuse adeguatamente nei conventi e nei monasteri, le anime contemplative attraggono il Signore come il nettare dei fiori le api e il Redentore arriverà con la sua potenza d’Amore e di Giustizia per salvare anche coloro che non stanno dentro le mura della dedizione a Dio. Infatti, «se il cristiano deve essere il sale della terra, il monaco deve essere il sale del cristiano» (p. 52). L’orgoglio dei credenti si ridesterà dall’incubo e la Verità non sarà più perseguitata dall’odio della cultura dominante. E lo spirito monacale di San Francesco tornerà ad evangelizzare a differenza delle rappresentazioni non sacrali inaugurate ad Assisi da Giovanni Paolo II o del pensiero di Papa Bergoglio e di tutto quel clero multiculturale e multireligioso che si è imposto nella Chiesa mortificando il Vangelo e Cristo stesso:

«Seguo col cuore una colomba che dopo aver svolazzato qua e là nel cielo azzurro trova rifugio tra due mani che la accolgono. Sono mani scarne, fasciate con delle bende. È proprio lui, il padrone di casa, l’anima di quel luogo, il piccolo grande Santo di Assisi.

È lì seduto sul muretto che guarda sul sagrato, con i piedi a penzoloni, nel suo saio stracciato. Il santo guarda laggiù nella piazza. Uno sguardo di infinita tenerezza, due occhi luminosi, profondi, provati dalla durissima ascesi, consumati dalle lacrime, fiumi di lacrime per l’amore di Cristo che lo divora.

“Ricordi quando andammo dal sultano di Babilonia, beato padre?”.

Una voce rivela un’altra presenza. Accanto a Francesco c’è un altro frate, uno dei suoi compagni. Frate Leone, frate Masseo, Pietro Cattani? Non lo so. È lì anche lui e guarda in basso la stessa scena.

“Oggi questi uomini di Paesi lontani sono qui nella nostra terra. Noi però andammo per portare il nome di Cristo. Partisti per amore. Quell’amore per Lui che ti bruciava il cuore, che ti faceva “bramare ardentemente di immolarti con la fiamma del martirio, ostia viva, a Dio”[1]. Partisti apposta. E noi dietro a te. In effetti il sultano ti divenne amico, fu ammirato per le tue parole, per il tuo fervore. Ma tu non volevi la sua amicizia. Tu non cercavi “quella pace”. Tu anelavi ardentemente al martirio che ti univa a Cristo, e sapevi che solo il sangue era il prezzo per la conversione di quei popoli. Tu non volevi la pace, tu volevi Cristo. Per te e per loro. Nella nostra città oggi, in nome tuo, questi venerandi padri però non parlano di Lui. Parlano della pace… ma di quale pace stanno parlando?” (pp. 39-40).

C’è il Papa, ad Assisi, insieme ad esponenti di altre religioni: è una scena dalle sembianze surreali… ma purtroppo è la realtà, quella che procura un immenso dolore nel monaco rimasto monaco, nell’abito come nell’anima. Ma sarà proprio grazie a tali monaci e a tali monache che gli uomini ritroveranno la strada smarrita e non grazie ad Enzo Bianchi, che segue se stesso, ma non il monachesimo. Bianchi, afferma il valente autore, utilizza il tipico linguaggio del politico di sinistra, avvalendosi della classica tecnica della scuola progressista: mette in stato di soggezione l’ascoltatore, ostentando una dominante sicurezza su ciò che dice: «Più chiaro di così, è molto semplice…»; si erge a paladino della giustizia umana: «Vedete come è scandaloso!… io mi batterò per… da parte mia farò tutto il possibile per…»; si appella all’intelligenza dell’uditorio: «Lo capite anche voi, chi è intelligente lo capisce bene, lo capite anche voi se siete intelligenti…»; dà per scontato cose che non lo sono affatto e dà per certe e come non mutabili le rivoluzioni sociali o dottrinali del nostro tempo: «Oggi non si pensa più che… oggi la Chiesa non crede più che…»; semina l’errore con l’alterigia di chi detiene un potere terreno.

Noi non crediamo ad Enzo Bianchi, perché Enzo Bianchi recita una parte, andando contro gli insegnamenti di Cristo e proponendo surrogati nauseanti della Verità. Noi vogliamo seguire ciò che sta scritto nel libro di Lucis perché noi crediamo a ciò che afferma il monaco che ha deciso si stare a contatto della Trinità, che vuole stare in ginocchio davanti al Crocifisso, in ginocchio a sgranare il Santo Rosario, in ginocchio di fronte al Tabernacolo. E non solo non cerca i palcoscenici del mondo, ma ne ha orrore. Questo è il monachesimo che attira vocazioni, che fiorisce nel deserto, che edifica abbazie architettoniche. Ma prima di costruirle, innalza, senza vacue retoriche e con straripante ardore, cattedrali spirituali in sé, irradiandole al di fuori dei chiostri, perché il silenzio è più forte di ogni chiasso. Questo il monachesimo che ci salverà.

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[1] San Bonaventura, Leggenda minor, Lezione IX.

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