Siamo tutti sotto l’occhio del capitalismo di sorveglianza

In un articolo di qualche settimana fa, in merito ai personaggi che si apprestavano a gestire la mitica fase due, Ricognizioni ha evocato l’emergente concetto del “capitalismo di sorveglianza”.

Dato che presumibilmente ne sentiremo parlare sempre più spesso, proviamo in queste righe a capire un po’ più nel dettaglio di cosa si tratta, seguendo l’analisi fatta dall’autrice del saggio che per primo ne ha sistematizzato le caratteristiche.

Paragonato, forse con un po’ di eccessivo entusiasmo, a Il Capitale di Marx, La ricchezza delle nazioni di Smith ed Economia e società di Weber, il testo di Shoshana Zuboff titolato Il capitalismo della sorveglianza mette in fila una serie di nozioni, collegamenti e valutazioni che indubbiamente vale la pena di conoscere.

La definizione “della sorveglianza” dice molto, ma non dice tutto, e da sola non è sufficiente a immaginare quale scienza e quali interessi accompagnino la materia in questione. Data la vastità del contenuto, cerchiamo di darne un assaggio attraverso le “parole chiave”, espressioni spesso di nuovo conio, che si sono rese necessarie per definire questo fenomeno in cui siamo già abbondantemente immersi.

Surplus comportamentale

In principio furono i “dati di scarto”. Poi nei primissimi anni zero un giovane ingegnere di Google si accorse che si potevano riciclare i dati avanzati dalle ricerche degli utenti per migliorarne l’esperienza, migliorare l’accuratezza e la fruibilità del servizio. Ma presto si resero conto che si poteva ottenere molto di più, e quegli scarti divennero oro colato.

Tutti più o meno lo sappiamo o abbiamo una vaga idea del fatto che quando siamo sul web, sui social, o al telefono potremmo essere spiati, qualcuno potrebbe reperire informazioni su di noi. Ma non è un’ipotesi, una possibilità: i nostri dati vengono raccolti con una scientificità e una sistematicità talmente pervasive che si fatica a comprenderne la portata.

In un’intervista, l’autrice, parlando di Google, Facebook & C, ha dichiarato: Abbiamo visto che quei servizi digitali erano gratis, e pensavamo che fosse ragionevole fornire loro in cambio i nostri preziosi dati. Ma ora questo si è rovesciato. Loro hanno deciso che noi siamo gratis, che possono appropriarsi liberamente delle nostre esperienze per tradurle in dati comportamentali. E noi siamo solo la fonte di questa materia grezza.1

Un adagio ormai superato recitava che se il servizio era gratuito il prodotto eravamo noi. In base allo studio della Zuboff risulta che non siamo nemmeno più il prodotto, ma la miniera da cui estrarre senza fine il surplus comportamentale, ovvero quell’insieme di informazioni, abitudini, spostamenti, preferenze, relazioni, bisogni, emozioni, quel sovrappiù di valore che i capitalisti della sorveglianza, solo loro, sono in grado di monetizzare.

Profilati, renderizzati e targhettizzati

Grazie alle scoperte fatte Google ha smesso di vendere annunci pubblicitari che venivano semplicemente visti, e ha iniziato a lanciare aste di prodotti “mirati al contenuto” in base al “click through”, cioè a quante volte quell’inserzione sarebbe stata cliccata (a che ora, dove, perché, da chi, eccetera) in base a una previsione vicina alla perfezione.

Così si crea una sorta di filiera di trattamenti a cui accenniamo rapidamente:

– Profilazione: tutti i dati utente derivanti dalla più disparate fonti vengono integrati ed attribuiti ad un soggetto ben identificato, in modo da averne il più possibile un quadro esaustivo.

– Renderizzazione: i dati vengono manipolati in modo da renderli fruibili e appetibili sul mercato.

– Targhettizzazione: sull’utente viene puntato un obiettivo virtuale per assicurarsi che le cartucce sparate andranno a buon fine.

In tutti questi passaggi la cosiddetta intelligenza artificiale (AI) ha un ruolo primario e insostituibile, perché consente di elaborare spaventose quantità di dati con un senso logico, unendo la velocità della macchina ad una capacità simil-umana di riconoscere modelli. È anche per questo che da tempo è in atto una corsa tra i colossi su chi realizza macchine più “intelligenti”.

Mercato dei comportamenti futuri

Se la potenza di calcolo e i dati disponibili sono sufficienti si possono anche indovinare i tasselli mancanti, le informazioni ancora ignote, come ciò che non è ancora accaduto; si possono in sostanza elaborare dei modelli predittivi che oltre ad essere utilizzati direttamente dal produttore, vengono piazzati in modo più remunerativo possibile su ciò che viene definito il “mercato dei comportamenti futuri”, con un’espressione che nemmeno i pur notevoli romanzieri distopici del Novecento si sarebbero potuti immaginare.

Per fare un semplice esempio, vi sono società che utilizzando questi dati possono fornire alle aziende clienti una previsione del turnover dei loro dipendenti a livello della singola persona, in modo da consentire un intervento preventivo per trattenerla o incentivarne l’uscita, a seconda della convenienza dell’azienda stessa.

Questa nuova forma di mercato sostiene che servire i reali bisogni delle persone è meno remunerativo, e pertanto meno importante, che vendere previsioni sul loro comportamento. Google ha scoperto che valiamo meno delle scommesse altrui sul nostro comportamento futuro.2

Si può pensare di fare un parallelo con i famigerati derivati della finanza speculativa. Come ogni derivato è un castello di carte costruito su un sottostante (un indice, un cambio, un valore), nel caso del derivato comportamentale il fine è sempre lo stesso, il lucro facile, ma il sottostante… siamo noi.3

Dopo aver visto le meraviglie di cui sono capaci i mercati che si scambiano valori basati su cose, ci sia consentito qualche timore se l’oggetto delle compravendite sono i nostri comportamenti.

Computazione ubiqua

Il direttore finanziario di Google, nel 2013 scriveva: Tra pochi anni […] noi e le altre aziende potremo offrire ads [pubblicità, ndr] e altri contenuti per mezzo di frigoriferi, cruscotti di automobili, termostati, occhiali e orologi, tanto per fare qualche esempio.4

Se già oggi avvertiamo di essere inseguiti dalla pubblicità, questi hanno in programma di seppellirci vivi sotto un cumulo abnorme di “consigli per gli acquisti”, un vero e proprio lavaggio del cervello.

Ma il flusso delle informazioni è bidirezionale, e con l’avanzamento dell’IoT (internet delle cose) i dati estratti saranno sempre di più.

Un dirigente della Qualcomm sostiene che oggi elettrodomestici e giocattoli possono sapere che succede attorno a loro: “Una bambola può rendersi conto di essere guardata da un bambino”.

A parte il fatto che nessuna bambola potrà mai “rendersi conto” di nulla, il significato è chiaro: qualsiasi oggetto che acquisteremo fungerà da agente segreto per conto dei capitalisti della sorveglianza. Anche il più piccolo elettrodomestico, il più innocente dei giocattoli sarà un sensore del sistema, cioè sentirà, capterà qualcosa di noi che contribuirà a comporre il quadro della nostra esistenza e a renderlo disponibile ai sorveglianti come se abitassimo in una gabbia di vetro, come se fossimo i protagonisti, tutti quanti, del Truman Show.

Un tempo eravamo noi a fare ricerche su Google, ora è Google che fa ricerche su di noi.5

Il salto di paradigma, di non poco conto, è servito.

Condizionamento di scala

Non si tratta più solo di computazione ubiqua. Il vero obiettivo sono intervento, azione e controllo ubiqui. Il vero potere è quello di modificare le azioni in tempo reale nel mondo reale.

C’è una scuola di pensiero detta “comportamentismo”, che attraverso le ricerche dello psicologo americano Burrhus F. Skinner ha posto le basi di una “tecnologia del comportamento” secondo la quale è possibile plasmare in modo scientifico le azioni e le decisioni di intere masse. Ed è opportuno farlo, ovviamente, per il loro bene.

Skinner contava con la sua scienza del comportamento di eliminare la povertà, l’oppressione sessuale e forme di governo coercitive (sì, già sentito). Per fare ciò sperava di instaurare la più coercitiva delle forme di governo: quella in cui la gente pensa e agisce credendo di farlo in libertà, mentre lo fa in base ad un condizionamento totalizzante imposto da chi presume, bontà sua, di sapere qual è il vero bene di questa gente: lo scienziato comportamentista.

La concezione dell’uomo di Skinner era tale che gli viene attribuita una frase agghiacciante: Il vero problema non è se le macchine sappiano pensare ma se gli uomini lo facciano.6

Oggi gli entusiasti del tecnoprogresso tendono a pensare più ottimisticamente una variante sul tema che suona più o meno così: “Visto che gli uomini pensano, non c’è motivo per cui non possano farlo anche le macchine”.

Ma il risultato è lo stesso: come le macchine agiscono unicamente in base ai programmi e ai dati forniti, così l’uomo. E su questo contano i nuovi capitalisti, sempre per il nostro bene (infatti oltre un certo fatturato non si chiamano più capitalisti, ma filantropi).Come il capitalismo industriale era spinto dalla continua crescita dei mezzi di produzione, così il capitalismo della sorveglianza e i suoi operatori di mercato sono costretti ad accrescere continuamente i mezzi per la modifica dei comportamenti e il potere strumentalizzante.7

Ancora: Nel regime del capitalismo della sorveglianza, agli scienziati pagati dalle aziende non viene richiesto di risolvere il problema della fame nel mondo o di eliminare i carburanti basati sul carbonio. Il loro genio viene invece impiegato per fare irruzione nei cancelli dell’esperienza umana, trasformandola in dati e dando vita a un nuovo colosso del mercato che si arricchisce predicendo, influenzando e controllando il comportamento umano.

Life pattern marketing

Il marketing basato sull’analisi dei modelli di vita, tecnica di derivazione militare, consente di decifrare lo schema di comportamento (in particolare geografico) di una persona in modo da fornire previsioni attendibili sulle sue mosse future. Non solo sanno dove siamo stati ieri e dove siamo oggi, ma come ormai dovrebbe essere chiaro, possono prevedere con un buon grado di approssimazione dove andremo e cosa faremo domani.

Un dirigente di Microsoft connota così il messaggio di Cortana [l’assistente personale di Windows]: “So tante cose di te, posso aiutarti in modi che non ti aspetti. Vedo schemi che tu non puoi vedere”.8

Papà Vaccino, che inizialmente era rimasto un po’ indietro, sta recuperando alla grande. Da quando è uscito il suo ultimo sistema operativo nel 2015 diversi esperti hanno notato che gli utenti vengono guidati verso la funzione di express install, quella che fornisce il maggior numero di informazioni personali all’azienda.

Come dice il CEO Satya Nadella: “Oggi Cortana ti conosce,conosce la tua organizzazione e il tuo mondo. Nel futuro, Cortanaconoscerà anche il tuo intero network professionale per crearecollegamenti al posto tuo e consentirti di stare sempre un passoavanti agli altri”.9

Ma se tutti avranno Cortana, come faranno ad essere tutti un passo avanti agli altri?

Il testo ombra

Secondo la Zuboff c’è una realtà che ci viene mostrata, una narrazione di facciata ad usum populi, in base alla quale le grandi company raccolgono i nostri dati per garantirci esperienze più appaganti, prodotti migliori, servizi più personalizzati. Questo è il testo pubblico, ufficiale. Dietro a questo però viene implementato il cosiddetto “testo ombra”, quello sostanzioso, vorrei dire succulento.

Se il testo pubblico è costruito con ciò che di noi vogliamo far vedere (i successi, le foto al mare, i gattini), il testo ombra contiene tutto di noi, comprese le cose che nemmeno noi sappiamo. Nel testo ombra sta scritto che abbiamo cercato quel rimedio per il mal di testa ricorrente, che abbiamo indugiato su quel sito poco raccomandabile, che nostro figlio frequenta quel locale a nostra insaputa, che il vicino ha acquistato certe pasticche per la festa di sabato e che tra i follower di nostra moglie c’è un maniaco sessuale.

Perciò il testo ombra è più veritiero. Lì c’è tutto, e ci sarà sempre di più: dai “pattern che coinvolgono intere popolazioni ai dettagli più intimi di un singolo individuo”. E per avere accesso a queste sconfinate praterie c’è chi è disposto a pagare; ed esse sono lì, pronte e confezionate per essere vendute.

Chi ha accesso a questo testo, e soprattutto chi lo detiene, dispone di un potere inaudito.

A disorientarci sono soprattutto i modi in cui i capitalisti della sorveglianza attuano quel che possono apprendere dalla loro lettura esclusiva del testo ombra per dare al testo pubblico una forma aderente ai propri interessi. Ci sono state tantissime rivelazioni su come Google e Facebook manipolano le informazioni che vediamo. […] Le leggi della dinamica del capitalismo della sorveglianza determinano sia la segretezza, sia la continua crescita del testo ombra. Noi siamo gli oggetti delle sue narrazioni e siamo esclusi dalle sue lezioni. Siamo la fonte che dà vita a tale tesoro, ma questo testo parla di noi, non è per noi. Viene creato, sostenuto e sfruttato al di fuori della nostra consapevolezza, a beneficio di altri.

Iperscala

Il fatto che pochi capitalisti sorveglianti riescano a spremere dai nostri dati apparentemente insignificanti montagne di utili, dipende anche dal fatto che è richiesta una ridottissima forza lavoro umana.

[…] i grandi capitalisti della sorveglianza impiegano ben poche persone rispetto alle loro risorse immense e agli standard storici. Questo pattern nel quale una piccola forza lavoro molto preparata manovra un’infrastruttura economica gigantesca si chiama “iperscala”.10

Come abbiamo già accennato, il grosso del lavoro viene eseguito dalle macchine e dagli algoritmi da queste eseguiti. Escludendo la bassa manovalanza di servizi quali il food delivery e i magazzinieri di Amazon, che presto potranno essere sostituiti anch’essi, i pochi impiegati che lavorano in queste aziende rappresentano l’élite dei data scientist. Pochi talentuosi dotati e contesi dai colossi. Per tutti gli altri il futuro è sempre più un’incognita.

Parassitismo tecnologico

Il capitalismo della sorveglianza è intimamente parassitico e autoreferenziale. Rimanda alla vecchia immagine di Karl Marx del capitalismo come un vampiro che si ciba di lavoro. C’è però una svolta inattesa. Il capitalismo della sorveglianza non si ciba di lavoro, ma di ogni aspetto della vita umana.11

La Zuboff fa il parallelo con quello che successe oltre un secolo fa, quando la General Motors inventò e perfezionò il capitalismo manageriale. Il ruolo che fu di GM è stato e continua ad essere svolto negli anni recenti da Google in primis, e dagli altri colossi delle vendite online e dei servizi informatici.

In questa nuova ottica noi non siamo i clienti, non siamo nemmeno il prodotto. Siamo “le fonti”, quindi in un certo senso i fornitori a titolo gratuito della materia prima di cui questo sistema parassitario si nutre: il surplus comportamentale.Questa nuova forma di mercato sostiene che servire i reali bisogni delle persone è meno remunerativo, e pertanto meno importante, che vendere previsioni sul loro comportamento. Google ha scoperto che valiamo meno delle scommesse altrui sul nostro comportamento futuro.12

Business della realtà

Sfida al diritto naturale al futuro, cioè l’abilità di ognuno di immaginare, decidere, promettersi e costruirsi un avvenire.

Alla fine, la pressione della competizione ha trasferito il paradigma su tutto il mondo online, dove gli stessi meccanismi di base che si appropriano della nostra navigazione e dei nostri like e clic vengono oggi applicati alle nostre corse nel parco, a quello che diciamo a colazione o alla nostra ricerca di un parcheggio. I prodotti predittivi vengono attualmente scambiati in un mercato dei comportamenti futuri che va ben oltre le pubblicità online dirette a un preciso target, e che comprende molti altri settori, come assicurazioni, vendita al dettaglio, finanza, e una serie sempre più ampia di aziende che vendono beni e servizi e sono intenzionate a entrare in un simile mercato. Che si tratti di un dispositivo smart per la casa, di quella che le compagnie di assicurazioni chiamano “clausola comportamentale” o di qualunque altra tra le migliaia di altre transazioni disponibili, stiamo di fatto pagando per farci dominare.13

I clienti sono altre aziende che operano sul mercato dei comportamenti futuri.

Il nostro bisogno di una vita efficiente è in contrasto con la tentazione di resistere all’invadenza di tale capitalismo. Questo conflitto produce un intontimento psichico che ci rende assuefatti a una realtà nella quale siamo tracciati, analizzati, sfruttati e modificati.14

I capitalisti della sorveglianza sanno tutto di noi, mentre per noi è impossibile sapere esattamente quello che fanno con i nostri dati. Predicono il nostro futuro perché qualcun altro ne possa trarre guadagno.

La proprietà dei nuovi mezzi di modifica dei comportamenti eclisserà i mezzi di produzione come fonte della ricchezza e del potere capitalista nel Ventunesimo secolo.15

Questo nuovo tipo di capitalismo ha potuto instaurarsi e prosperare per il fatto di essere senza precedenti. Risulta difficile combattere un fenomeno nuovo se non si è mai visto niente di simile nella storia, e non si hanno quindi gli strumenti adeguati anche solo per definirne i contorni. Il CdS è la nostra “carrozza senza cavalli”: non è più una carrozza, è un’automobile. Tutt’altra cosa.

Come Ford aveva attinto al nuovo consumo di massa, Apple è stata tra le prime aziende a raggiungere il successo commerciale intercettando la domanda di una forma di consumo individuale proveniente da una nuova società di individui post-massificati.

Un’inversione resa possibile dall’avvento dell’era digitale, che ha fornito gli strumenti per spostare l’obiettivo del consumo di massa al consumo individuale, liberando e riconfigurando attività e beni del capitalismo.16

Potremmo dire il “consumo individuale di massa”, dove non esiste più l’album, il CD, bensì la playlist. L’iPod (oggi iPhone) come nuovo Model T della Ford, con l’illusione che sia costruito su misura per ogni singolo utente.

Non-contratto

La sorveglianza e il controllo si fanno sempre più stringenti, tanto da rendere superata e superflua l’istituzione del contratto.

Senza nemmeno alzare il cappello e dirci “addio”, il non-contratto di Varian si sbarazza di millenni di evoluzione sociale, durante i quali la civiltà occidentale ha istituzionalizzato il contratto come una conquista della volontà condivisa.17

Il contratto veniva stipulato per essere rispettato, contenendo la possibilità che ciò non venisse fatto. Esso richiedeva l’impegno dei contraenti, che tuttavia rimanevano in un certo senso liberi di violarlo assumendosene la responsabilità; ciò poteva avvenire per dolo, ma anche per impossibilità, per cause che non dipendevano dalle parti.

Hal Varian è stato definito “l’Adam Smith della Googlenomics”, ovvero l’ispiratore delle politiche economiche della società, e secondo la sua visione siamo all’alba di un nuovo modo di regolare i rapporti commerciali.

Se non pago la rata dell’automobile questa si ferma; se è ferma non parte. La rata dell’assicurazione può essere modulata in tempo reale su un algoritmo che traduce in fattore di rischio il mio stile di guida. Potrebbe anche essere significativamente più bassa se lascio che la vettura guidi autonomamente; ancora più bassa se mi lascio portare dove vuole lei.

Il non-contratto non è uno spazio per relazioni contrattuali ma un’esecuzione unilaterale che rende superflue tali relazioni. Il non-contratto desocializza il contratto, fabbricando la certezza e sostituendo con dei processi automatizzati promesse, dialogo, condivisione del significato, risoluzione dei problemi, risoluzione dei conflitti e fiducia: ovvero quella solidarietà e quell’azione umana gradualmente istituzionalizzate nel corso dei millenni proprio nella nozione di “contratto”. 18

Le relazioni sociali vengono escluse, i comportamenti imposti, gli obiettivi economici garantiti.

Affective computing

Cosa c’entra l’affettività con la computazione? Per questo nuovo capitalismo invece tra i sentimenti e i calcoli vi è una stretta correlazione, e naturalmente i primi sono in funzione dei secondi.

Il libro riporta come nel 2015 una giovane start-up si aggiudicò un cospicuo finanziamento della Commissione Europea per portare a termine un progetto che aveva lo scopo di leggere istantaneamente le emozioni di una persona davanti ad un dato contenuto audiovisivo.

Il progetto SEWA è una finestra su un prosperoso nuovo ambito di renderizzazione e sfruttamento del surplus comportamentale, chiamato affective computing, “analisi delle emozioni” e “analisi dei sentimenti”. […] Come spiega una ricerca di mercato sull’affective computing, “conoscere lo stato emotivo in tempo reale può aiutare le aziende a vendere i loro prodotti e pertanto a guadagnare di più”.19

Il sogno proibito è quello di conoscere in tempo reale cosa stiamo provando, qual è la nostra condizione emotiva standard in un dato momento e quella effettiva, per poter sfruttare ai fini del product placement anche la nostra intimità più recondita.

Sapranno che se abbiamo appena ricevuto una delusione professionale saremo più propensi a recarci in un locale per bere alcolici, e sfruttando questa nostra debolezza, una volta saliti in auto sarà questa a suggerirci che a 3 chilometri c’è esattamente ciò che fa per noi. Magari ci porterà senza che ce ne accorgiamo.

Al contrario, se siamo più euforici del solito potrebbe essere il momento buono per convincerci a cambiare l’automobile perché in fondo sì, ce lo meritiamo, anche se in realtà non possiamo permettercela senza ricorrere all’indebitamento.

La computazione affettiva è ciò che ci vuole per immergerci nell’economia delle emozioni

C’è almeno un’azienda, la Emoshape, che l’ha presa sul serio. Questa società, guidata dal motto “La vita è il valore”, produce un microchip da loro definito “il primo motore di sintesi emotiva in commercio”, che offre “grandi performance nell’ambito della consapevolezza emotiva delle macchine”. Emoshape sostiene che il suo chip può classificare 12 emozioni con un’accuratezza fino al 98 per cento, consentendo “alla nostra intelligenza artificiale o robotica di provare fino a 64 miliardi di miliardi di stati emotivi distinti”.20

Prevedono che YouTube, per dirne una, “scansionerà le emozioni dei suoi utenti mentre guardano i video”. Avranno la nostra psiche in pugno, arriveranno a conoscerci meglio del nostro povero analista, al quale non rimarrà che andare in analisi pure lui da un qualche computatore affettivo. I cookies? Troveranno il modo di depositarceli direttamente tra i pochi neuroni residuali e le sinapsi sopravvissute.

Uno degli aspetti più inquietanti è che i dispositivi di rilevamento sono già in grado di catturare le più inconsapevoli e inavvertite reazioni muscolari, le più insignificanti discontinuità nei parametri vitali per ricondurle ad una sensazione, un pensiero, una reazione anche inconscia, arrivando ad appropriarsi di aspetti di noi che nemmeno noi potremmo immaginare.

Di fronte ad un nemico che ti conosce meglio di te stesso, non ci sono molte armi di difesa.

Gamification

Qualche anno fa andava molto Pokémon Go, un simpatico gioco grazie al quale ragazzini nullafacenti e adulti rincretiniti andavano in giro nel mondo reale per catturare mostriciattoli che non esistevano. Tale gioco può anche essere considerato come uno dei più grandi fenomeni di esproprio e manipolazione comportamentale che si siano mai visti.

Dietro al gioco in realtà aumentata c’era John Hanke, già a capo di Maps e Street View, il dirigente Google determinato a mappare il mondo indipendentemente dal fatto che le persone lo sapessero, gli stati lo volessero, le leggi lo consentissero. Anche questo progetto, in buona parte realizzato, era funzionale alla sorveglianza cui il capitalismo postmoderno ci deve sottoporre per continuare a prosperare.

I giocatori, un tempo incollati agli schermi, ora potevano uscire per interagire con altri e portare a spasso il proprio surplus comportamentale per la città, fornendo ulteriore materiale per l’esproprio informativo, il perfezionamento delle mappe, e soprattutto dando la possibilità di verificare sul campo la direzionabilità dell’utente. In brevissimo iniziarono a sorgere location sponsorizzate: gli esercenti erano pronti a pagare perché gli elementi del gioco venissero posizionati nel parcheggio del loro negozio, nei pressi di un centro commerciale, fino all’interno di un locale.

Giocate pure ma, come avrete ormai capito, mentre voi vi divertite con i finti mostri, loro si divertono molto di più (e soprattutto ci guadagnano) con voi.

Imperativo dell’estrazione

Come tutte le cose piacevoli e facili da ottenere, un dato tira l’altro, e la voracità del nuovo capitalismo è pari solamente alla quantità di dati che si possono vampirescamente estrarre: praticamente infinita.Gli utenti non erano più uno scopo, ma un mezzo per raggiungere gli scopi di altre persone.21

Come Ford aveva rivoluzionato la produzione, Google ha rivoluzionato l’estrazione (di dati) facendola diventare il primo imperativo di questa nuova era. Le nostre vite, i nostri beni, i nostri affetti, sono le miniere dalle quali viene estratta la materia prima che gli algoritmi trasformano in ricchezza.

Persuasion score

La situazione è troppo ghiotta perché la politica non ne approfitti. Abbiamo sentito tanto chiasso (e capito molto poco) sull’affaire Trump-Cambridge Analitica, ma l’autrice ci permette di constatare che di verginelle in giro non ce ne sono, tantomeno tra i Dem. Come disse uno dei consulenti di Obama nelle elezioni del 2008:Sapevamo per chi […] le persone avrebbero votato prima che lo decidessero.22

Nel 2012 la scienza dei dati era diventata ancora più invasiva.

Conoscevamo letteralmente ogni singolo elettore indeciso da convincere a votare per Obama per “nome, indirizzo, razza, sesso e reddito”; inoltre eravamo in grado di far arrivare loro spot televisivi mirati con un grado di accuratezza fino a quel momento impensabile. […]

Il team aveva sviluppato un robusto e affidabile persuasion score che identificava quanto facilmente un indeciso potesse essere convinto a votare per il candidato democratico.23

Nel marketing il persuasion score è il tasso di persuasione, ovvero la probabilità di riuscire a convincere un indeciso ad acquistare qualcosa. Questo conferma che la politica in fondo non è altro che un prodotto, più o meno scadente, da vendere; le elezioni non sono che una verifica della capacità di convincimento dei sorveglianti.

Fortunatamente pare che non sempre le queste tecniche funzionino; l’essere umano sembra resistere ostinatamente, mantenendo per ora ancora un consunto straccio di imprevedibilità.

NonsoloGoogle

Non solo Google, Facebook, Amazon, Apple e Microsoft si occupano di sorveglianza. Il settore è promettente, per cui anche molti dei principali Internet Service Provider di livello mondiale vi si sono buttati a pesce.

Le più grandi tra queste aziende, Verizon, AT&T e Comcast, hanno operato una serie di acquisizioni strategiche che dimostrarono come si siano allontanate dal solito modello: non più servizi in cambio di denaro, ma profitti grazie al surplus comportamentale.24

Verizon è il maggior player nelle telecomunicazioni degli USA, e una delle tante multinazionali in cui Vittorio Colao detiene ruoli di prestigio. In questo caso il manager che salverà l’Italia senza spostarsi da Londra è membro del consiglio d’amministrazione, o come si usa dire adesso per non apparire antiquati, del board.

L’azienda si è distinta per aver sviluppato “un cookie alternativo per uno spazio di marketing penalizzato dalla mancanza di cookie”. Senza entrare troppo nello specifico, si tratta di un sistema di rilevazione e identificazione informatica non cancellabile che si spinge dove altri non possono arrivare. Turn, un’altra azienda alleata di Verizon è nota per aver inventato il “cookie zombie”, un altro sistema di tracciamento informatico che ha il potere di “resuscitare” anche qualora l’utente dovesse riuscire a disattivarlo.

[Il giurista ed esperto informatico Jonathan] Mayer indagò sulle politiche di output di Verizon e Turn, e scoprì che entrambe erano ingannevoli e che ogni affermazione pubblica di Verizon sulla privacy e sulla sicurezza del suo tracking ID era stata una bugia.25

Se volevano controllarci con una app, c’è da dire che hanno scelto bene: per una volta un competente. Anche se a ben vedere le app che abbiamo bastano e avanzano per tracciare molto più dei nostri banali spostamenti.

Prezzi stracciati

Non si pensi che sia materia per sfaccendati cospirazionisti, qua ci siamo dentro tutti. Perfino su Rai3 qualche settimana fa è andato in onda un servizio di Presadiretta in cui venivano documentati gli aspetti più inquietanti di questo business. Una ricercatrice italiana all’Imperial College di Londra spiegava come persino un semplice “baby monitor” (una piccola videocamera per la supervisione dei bambini), ogni volta che viene accesa invia dati a 52 (cinquantadue!) diversi indirizzi IP in quattro stati diversi, inviando pacchetti di dati criptati all’insaputa dell’utente. Più che sorvegliato, quel poppante è una vera star!

Altri elettrodomestici effettuano un port scanning nell’ambiente per verificare se possono recuperare dati dalle periferiche connesse in rete ed inviarli a chissà chi. Ma peggio ancora sono quei dispositivi, di solito i più economici, che inviano i nostri dati in forma non criptata, perché in questo caso chiunque potrebbe intercettarli. Alcune smart tv inviano dati a Facebook e Netflix a intervalli regolari, anche se non siamo iscritti e anche a televisore spento. Ed è così spiegato il prezzo incredibilmente basso di certi device: i nostri dati sono la vera moneta con cui li paghiamo.

Il principio di tutte le novità che ci mettiamo in casa in genere è questo: Meno costano, più spiano.26

Tornando alla Zuboff, dopo i dieci anni di studi e ricerche che le sono occorsi per portare a termine il lavoro, è arrivata alla seguente conclusione:

Il capitalismo della sorveglianza non ha confini e ignora le vecchie distinzioni tra mercato e società, tra mercato e mondo, tra mercato e persona. Agisce a scopo di lucro subordinando la produzione all’estrazione, rivendicando il controllo esclusivo di umanità, società e politica, andando ben oltre l’ambito convenzionale di un’azienda o del mercato. […] Siamo all’inizio di un nuovo processo storico che ho chiamato civiltà dell’informazione, […] Il fine non è più il dominio della natura, bensì della natura umana.27

Lo stato dell’arte del liberismo, oggi.

NOTE

1https://www.nytimes.com/2019/01/18/technology/google-facebook-surveillance-capitalism.html

2 Il capitalismo della sorveglianza, Shoshana Zuboff, Luiss University Press (2019).

3 “This new kind of marketplace trades in behavioral futures. It’s like a form of derivative. But it’s about us.” https://www.nytimes.com/2019/01/18/technology/google-facebook-surveillance-capitalism.html

4 Zuboff (2019).

5 Zuboff (2019).

6 https://www.samuelecorona.com/walden-two-il-romanzo-di-skinner/

7 Zuboff (2019).

8 Zuboff (2019).

9 Zuboff (2019).

10 Zuboff (2019).

11 Zuboff (2019).

12 Zuboff (2019).

13 Zuboff (2019).

14 Zuboff (2019).

15 Zuboff (2019).

16 Zuboff (2019).

17 Zuboff (2019).

18 Zuboff (2019).

19 Zuboff (2019).

20 Zuboff (2019).

21 Zuboff (2019).

22 Zuboff (2019).

23 https://www.nytimes.com/2013/06/23/magazine/the-obama-campaigns-digital-masterminds-cash-in.html

24 Zuboff (2019).

25 Zuboff (2019).

26 Anna Maria Mandalari, intervistata su Presadiretta, Rai3 (10/02/2020).

27 Zuboff (2019).

3 commenti su “Siamo tutti sotto l’occhio del capitalismo di sorveglianza”

  1. Leggere per vedere dove siamo potuti arrivare: a quale punto di follia e di perversione è approdata la nostra marcia civiltà, guidata dall’Economia-e-basta. Lo humour e lo stile leggero ci hanno aiutato a inoltrarci in queste informazioni terrificanti. Grazie all’Autore e a Ricognizioni.

  2. AGGHIACCIANTE!
    Ma allo stesso tempo molto consolante, almeno per me, perché ormai è l’ennesimo SEGNO che siamo proprio alla fine di questo mondo terreno e quindi si avvicina SEMPRE DI PIU’ IL RITORNO DI LUI, GESU’!!!

  3. Nutro fiducia nella stella luminosa creata a suo tempo per salvarci dalle tenebre.
    Secondo gli esperti, pare sia giunta nel bel mezzo del cammin della sua vita, pertanto, prima o poi finirà col battere un colpo.
    Basterà una tempesta “solare perfetta” e finità tutto.
    Speriamo!

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