Thibon & la modernità. “Diagnosi” del filosofo contadino

Le Edizioni Fede&Cultura hanno da poco pubblicato il pregevole saggio di fisiologia sociale, dal titolo Diagnosi (176 pagine, 15 euro), del filosofo-contadino Gustave Thibon (1903-2001). Curata da Emiliano Fumaneri, questa riedizione del libro, composto originariamente tra il 1934 e il 1939, offre notevoli spunti di interesse e di stretta attualità, anche in rapporto ai principi della dottrina sociale della Chiesa, a iniziare dal sottotitolo (Saggio di filosofia sociale) di questa raccolta di saggi, che evoca un costante parallelismo tra l’organismo vivente della persona e il corpo sociale, in quanto le condizioni della vita sociale influiscono e condizionano la salute spirituale di ogni singola anima.

Il volume presentato da Fumaneri contiene una prefazione all’edizione del 1945 e una premessa all’edizione del 1985 dello stesso Thibon, nelle quali l’autore risponde alle polemiche suscitate dalla sua opera e alle accuse rivoltegli di “nemico del regime democratico e del socialismo”, alle quali l’autore risponde in modo chiaro e inequivocabile: “Non attacchiamo la democrazia in senso generico…ma quella pseudo-democrazia basata sulla legge del numero e sui giochi della politica e del denaro che, spogliando il popolo dei suoi legami e dei suoi appigli naturali, porta necessariamente al totalitarismo… vogliamo sostituire i valori vitali e spirituali ai valori finanziari. Se il socialismo consiste nel porre un freno agli eccessi del capitalismo liberale per avvantaggiare le comunità e le gerarchie naturali, noi siamo socialisti”.

Nel libro, oltre alle delucidazioni costanti in merito alla corretta interpretazione delle frasi, si evidenzia un reiterato appello di Thibon all’urgenza della formazione dei corpi intermedi e a quell’impellente necessità della costruzione di comunità viventi in seno alla società. Traspare quindi in tutte le sue pagine la ricchezza di riflessioni e di aforismi illuminanti, come quello rilevato e approfondito nella prefazione di Gabriel Marcel (presente anch’essa in questa edizione): “Non si sfugge a Dio: chi rifiuta d’esserne figlio sarà eternamente la sua scimmia…non si sfugge all’obbedienza se non per cadere nella schiavitù”.

Dello spirito di economia Il pensatore autodidatta francese Gustave Thibon, di professione viticoltore fino all’età di circa cinquant’anni, ha espresso lo “spirito di economia” in virtù del suo passato contadino, della cultura del risparmio e dell’attesa: “Si ipoteca l’avvenire, si sperpera, acquistando a credito… non si sa più attendere, si vuole essere ripagati immediatamente di tutto quel che si fa”. L’accumulo di riserve che egli auspicava era quello costituito dalla ricchezza delle virtù, delle sane tradizioni, di buoni costumi e anche delle risorse materiali e vitali come la terra, la casa, il mobilio. Lo “spirito di economia” rettamente inteso era legato con quello della fedeltà e del sacrificio ed economizzare significava serbare per meglio donare. Tutto questo era collegato al corpo sociale e a quello che Thibon denominava “i pozzi della vita”, ossia i pozzi della tradizione, dell’autorità e dell’esperienza.

Vita urbana, lavoro e svaghi Da buon contadino e amante della sana vita di campagna, Thibon ammoniva contro la vita urbana e il sovraccarico affettivo indotto, che alterava lo stato psico-intellettuale della persona, alimentando l’ambizione, la sessualità, l’ingordigia attraverso ammiccamenti pubblicitari e mode che conducevano a una vita frenetica dominata da impulsi istintivi. Questa alterazione degli stati affettivi più naturali e profondi come l’amore e l’amicizia portava alla disumanizzazione dell’uomo.

Bisognava, secondo Thibon, che la persona umana si raccogliesse in sé stessa, attingendo alle fonti vive spirituali e dottrinali, per sviluppare una ricchezza interiore piuttosto che indirizzarsi a un mero raggiungimento di un benessere economico. In tal senso il lavoro e lo svago costituivano due fasi di un identico ritmo e divenivano complementari, non antagonisti. Si trattava, in linea con il pensiero della Dottrina sociale della Chiesa, di umanizzare il lavoro, renderlo più sano, che non significava renderlo più comodo o solamente meglio retribuito.

Il problema dell’egualitarismo Thibon si avventava contro la “mistica democratica” che confondeva la legittima uguaglianza (come creature dinanzi a Dio) con l’ideologia egualitarista. Supportato dall’analogia tra persona e corpo sociale, il filosofo-contadino asseriva che era necessario preservare una società fortemente diversificata e gerarchizzata, non solo, secondo il Magistero della Chiesa, che rispettasse le differenze oggettive di ogni persona, ma anche per l’influsso benefico che tali legittime autorità potevano esercitare sul popolo.

Secondo Thibon, senza una società che fosse in comunione nel rispetto delle diverse vocazioni di ogni persona, si sarebbe instaurato un clima di sospetto ideologico che avrebbe portato al totalitarismo: “Un regime di tipo democratico può mantenersi sano nella misura in cui persista, presso le classi dirigenti, uno spirito di immolazione affine a quello del sacerdozio e della cavalleria”. Al pari dell’insegnamento magisteriale della Chiesa, Thibon condannava il “dogma della sovranità popolare”, nel quale si immolavano le strutture naturali e legittime all’ideologia libertaria, escludendo Dio dall’orizzonte della vita umana. L’eresia egualitaria, con gli aneliti anarchici libertari e le rivendicazioni contro natura, portava alla dissoluzione di una società organica fondata sull’autorità delle legittime e naturali differenze.

Lo spirito di sinistra e lo spirito di destra

Da un punto di vista politico, queste considerazioni di Thibon sullo spirito di sinistra e di destra appaiono ai nostri giorni un po’ datate, pur nella considerazione condivisibile delle profonde affinità che hanno tra di loro, basti vedere quanto il liberal-capitalismo si sia sempre più mostrato come l’altra faccia della medaglia del social-comunismo. Certamente è ancora da salvaguardare la critica thiboniana al materialismo e all’ateismo delle visioni ideologiche basate sul freudismo e sul marxismo.

Thibon contrasta pure l’idealizzazione del benessere economico e la cosiddetta “libertà sessuale”, che rimangono gli obiettivi, neanche tanto nascosti, di una società consumista autoreferenziale che si è mossa nel perseguire l’esaltazione dei diritti egoistici dell’atomo-individuo e non nella prospettiva finalistica del bene comune. La stessa pretesa “emancipazione” della persona, caldeggiata allo stesso tempo dallo spirito di sinistra e da quello di destra, manifesta, secondo Thibon, la totale assenza di originalità e di vita, che si compie solo con l’unità interiore dell’uomo: “L’unità interiore dell’uomo si frantuma nel momento in cui l’uomo perde contatto con l’unità divina. Separato dall’Essere che è Tutto, degenera progressivamente e integralmente”.

La gravitazione eccentrica Thibon afferma ripetutamente e perentoriamente che il destino di un’umanità senza Dio è quello di essere chiamata sé stessa a farsi Dio, seminando idolatrie dove può solo germogliare il caos. Il filosofo-contadino propone di risolvere il rapporto uomo-Dio, parte-Tutto attraverso la nozione di “gravitazione eccentrica”.

Questa nozione si riscontra a tutti i livelli (fisico, biologico, spirituale, sociale) della creazione e può essere comprensibile secondo le stesse parole di Thibon: “Ogni unità implica un minimo di tensione vitale tra gli elementi associati e gerarchizzati…la gravitazione di un astro attorno ad un astro centrale comporta un certo coefficiente di eccentricità”.

Questa metafora astronomica permette così al pensatore francese di affermare, con il concetto di gravitazione eccentrica, che ogni creatura umana è, al tempo stesso, qualcosa di assolutamente irriducibile (principio della dignità trascendente della persona) e di assolutamente insufficiente (senza Dio creatore anche la creatura svanisce): la sintesi di queste due inclinazioni costituisce la gravitazione eccentrica.

Conclusioni Le diagnosi proposte da Gustave Thibon sono indirizzate nella prospettiva della salvezza dell’anima di ogni persona e della sua dimensione sociale. La nozione di “gravitazione eccentrica”, lungi dall’essere sfoggio intellettuale, è proposta nella convinzione che le forme del potere tendono progressivamente a farla scomparire: “Le catene che un tempo legavano il corpo dello schiavo sono oggi divenute le corde che muovono, dall’interno, l’anima della marionetta”. All’egualitarismo e alle altre disumane ideologie, Thibon propone, in sintonia con il Magistero della Chiesa, il ricupero della nozione profonda di armonia e di sana interdipendenza che fanno della società stessa una “comunità di destino”.

Al rivoluzionario che crede nella possibilità di una rifondazione di tutte le cose, Thibon contrappone Dio che anziché dal nulla preferisce ripartire ogni giorno dalla mediocrità e dal male degli uomini, indicando che solo il cristianesimo ha realmente trasfigurato l’umanità: “Dio non è solamente disceso sulla terra, si è affondato in essa”.

Questa raccolta di saggi permette di riflettere su molte altre questioni di primaria importanza: dal “personalismo” come culto della persona (a cui Thibon contrappone il “personalismo divino”) alla distinzione acuta tra “morale e costumi” sino all’indicazione pratica di come operare, condensate nelle parole del filosofo-contadino: “Bisogna scendere a riparare, pietra su pietra, le fondamenta minacciate…si tratta di incarnare con umiltà e pazienza la verità umana, di darle corpo e realtà nella vita di ciascuno e nella vita di tutti”.

2 commenti su “Thibon & la modernità. “Diagnosi” del filosofo contadino”

  1. Tiziano Lissandron

    ” Solo i folli e i poveri , con assoluta limpidezza di sguardo , contemplano la verità del mondo
    e ne colgono tutto lo splendore ” . È una frase di Simone Weil , amica e confidente di Thibon.
    Quale affermazione più pregnante per legare due spiriti così accesi ?
    P.S. : consiglio a tutti anche il libro di Thibon ” Simone Weil così come l’abbiamo conosciuta”
    scritto con il domenicano Joseph Marie Perrin ed edito da Ancora .

  2. G. Thibon [Ritorno al reale dal capitolo Realismo civico pag.190, 191 edizioni EFFEDIEFFE]

    Lo straordinario rimpicciolimento del mondo operato dai progressi, della tecnica, e soprattutto l’esibizionismo democratico, hanno condotto la massa degli uomini a farsi delle opinioni e a provare dei sentimenti di fronte a realtà che superano infinitamente la loro normale sfera intellettuale e affettiva. In ciò risiede, io penso, una delle maggiori cause dell’irrealismo moderno. E, cosa ancor più grave, le pseudo-concezioni e gli pseudo-sentimenti in questo modo ottenuti, si installano nell’uomo come parassiti delle idee e degli affetti autentici. Ogni miraggio ci deruba di un pezzetto di oasi. Artificialmente provocati e mantenuti, questi stati d’animo non smentiscono la loro origine: rimangono necessariamente fittizi e irreali.
    […] A fianco dell’azione, il realismo ci comanda la disciplina. Quando voi parlate della condotta della guerra, o dei negoziati internazionali, o del futuro statuto dell’Europa, non ignorate che il vostro destino personale e quello di coloro che amate dipendono da tali questioni. Ma ben sapete anche che mancate di informazioni e di competenza per trattarle. Non vi resta allora che una via d’uscita: riconoscere i veri capi della Francia ed affidarvi a loro senza riserve. La vostra disciplina corrobora i loro sforzi; i vostri sogni, le vostre critiche — e soprattutto le vostre divergenze — li intralciano. I vostri capi sono senza dubbio imperfetti; possono avere, come tutti gli uomini, le loro debolezze e i loro errori; ma il più umile buon senso vi insegna che vi salverete in modo infinitamente più certo restando uniti sotto dei capi imperfetti che se, cercando la perfezione, create l’anarchia.

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