Tolkieniana 2 – Il Signore della Nostalgia

Il 2 settembre ricorre il cinquantenario della morte di John Ronald Reuel Tolkien. Ricognizioni celebra questa data con la pubblicazione di alcuni scritti che mettono in evidenza aspetti poco frequentati della biografia e dell’opera del grande scrittore inglese.

*** *** ***

Il termine  “Nostalgia” deriva dal greco Nostos-ritornare e da algos-sofferenza; nostalgia è dunque la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare. Di ritornare dove e a che cosa?  Mircea Eliade, il grande storico delle religioni, parla di “Nostalgia delle origini”, ossia del desiderio di tornare ad un tempo che precede ogni tempo, quello del mito che è anche quello del Paradiso perduto: si manifesta nel desiderio  di essere «nel cuore del mondo, della realtà e della sacralità, in breve di superare in modo naturale la condizione umana e di ricuperare la condizione divina; un cristiano direbbe: la condizione anteriore al peccato originale»[1]. Si tratta quindi, essenzialmente di una nostalgia del divino.

 Nel pensiero europeo tale desiderio si è espresso particolarmente nel Romanticismo.  I tedeschi utilizzano di rado la parola ‘nostalgia’ nella sua forma greca e preferiscono ‘Sehnsucht’ ‘desiderio di ciò che è assente’. Sehnsucht significa fondamentalmente struggimento, infatti la nostalgia è il “dolore” legato al desiderio del “ritorno” a qualcosa di già conosciuto, mentre Sehnsucht è dolore e ricerca del desiderio in sé: indica cioè un desiderio inestinguibile perché il suo oggetto è irraggiungibile . Si tratta quindi  dell’aspirazione all’Assoluto.

Il romanticismo valorizzò moltissimo la fiaba come genere letterario, considerandola lo strumento migliore per trasmettere la nostalgia per l’infinito ed il desiderio di evasione nel tempo e nello spazio che caratterizzò il movimento. Attraverso di essa i Romantici intendevano ricreare quella profonda unione di Spirito e Natura che era andata perduta in un’età ormai caratterizzata dal’industrializzazione e dalla tecnica.  La poetica romantica si diffuse anche in Inghilterra: in molti autori del periodo si diffuse la visione della Merry England : un mondo felice, preindustriale, di solito coincidente con l’età medievale precedente la riforma anglicana, in cui l’umanità viveva in armonia con la natura ed in cui le creature fatate si mescolavano con il mondo umano. Secondo questa visione, a partire dal regno di Enrico VIII si sarebbero affermati la ragion di stato ed il razionalismo seguiti poi dalla nuova scienza: elementi che avrebbero condotto alla rivoluzione industriale, costringendo all’oblio tutto ciò che è magico e soprannaturale. Ne è un esempio Puck il Folletto[2] di Rudyard Kipling che se da un lato fu il cantore delle glorie dell’Impero inglese, dall’altro espresse anche il fascino della natura incontaminata, contrapposta alla civiltà, come si vede ne Il libro della giungla.

Tali elementi si trovano anche nei primi scritti del giovane Tolkien: alla fine della prima guerra mondiale la modernità invase lo stile di vita inglese in modo sempre più rapido e brutale; inoltre egli aveva perso alcuni degli amici più cari durante il conflitto e lui stesso si era ammalato di febbre da trincea ed aveva vissuto gli orrori del grande massacro. I suoi primi componimenti nascono in questo contesto. La nostalgia riguarda perciò sia un mondo che sta svanendo sempre più rapidamente, sia  le prime esperienze di amicizia e comunione letteraria ed ideale vissute con i membri del TCBS.

 Nel novembre del 1915 il giovane scrittore scrisse una poesia  intitolata Kortirion tra gli alberi, dedicata a Warwick, la cittadina dove aveva vissuto per un breve periodo la sua fidanzata Edith.  Il componimento è pervaso da una struggente nostalgia per il tempo delle fate, che va allontanandosi sempre più. Nota la studiosa Dimitra Fimi che in esso Tolkien usa le espressioni: “le sante fate e gli elfi immortali” : i due termini sono utilizzati per indicare le stesse creature che assumono sembianze semidivine e la caratteristica fondamentale dell’immortalità. Nei versi del giovane autore echeggia il  rimpianto di un  tempo in cui gli esseri soprannaturali camminavano fra gli uomini, in un’epoca da cui ormai gli dei sono fuggiti.

Nell’introduzione in prosa si legge: «Kortirion era splendida e le Fate l’amavano (…) Poi vi fu la grande Partenza (…) Tuttavia laggiù vi sono ancora alcuni Eldar e Noldoli dei tempi remoti (…) E alle Fate sembra, come pare anche a me che conosco quella città e ho spesso percorso le sue vie sfigurate, che l’autunno col cadere delle foglie sia la stagione dell’anno in cui forse, qua e là,il cuore di un Uomo potrebbe aprirsi, e un occhio scorgere come la condizione del mondo sia decaduta, rispetto alle risa e all’amabilità di un tempo. Pensa a Kortirion e rattristati – eppure non c’è speranza?»[3]

La speranza è che Elfi e Fate non siano svaniti del tutto, ma che sia ancora possibile, per chi ha la sensibilità giusta, scoprirne perlomeno le tracce. 

In una versione del suo Legendarium, composta negli anni immediatamente successivi, il giovane Tolkien fece della stessa Inghilterra in un tempo remoto la Terra degli Elfi, che essi avrebbero abbandonato scacciati dalle guerre e dalle invasioni da parte degli uomini, succedutesi nei secoli.

«Un tempo sorgeva un Paese chiamato Inghilterra (…) Per gli elfi quella regione aveva nome Luthien (Luthany), e così è anche oggi. Solo a  Luthien continuava a vivere la maggior parte delle Compagnie Svanenti, le Sante Fate che ancora non avevano fatto vela dal mondo, oltre l’orizzonte della conoscenza degli Uomini ( …) Perciò Luthien è tuttora una terra sacra e una magia immutata indugia ancora in molti luoghi dell’Isola».[4]

Il tema delle fate svanenti è particolarmente interessante: la tesi che man mano che cresce il potere degli uomini quello delle fate declina ed esse diventano come trasparenti permetteva infatti di giustificare agli occhi del giovane autore la tradizione, propria alle isole Britanniche, del Piccolo Popolo, nome attribuito dal folclore agli esseri fatati, ma anche della riduzione letteraria che questi avevano subito. «Nel passato Uomini ed elfi erano alti uguali ( …) man mano che gli Uomini si fanno più numerosi e potenti le fate sbiadiscono e divengono piccine e tenui, sottili e trasparenti, mentre gli Uomini crescono e diventano più densi e grossi. Infine gli Uomini, o perlomeno quasi tutti, non riescono più a vedere le fate».[5] Una eco di tale concezione permane ancora nel Signore degli Anelli quando Galadriel riflette sul destino degli Elfi dopo la distruzione dell’Unico Anello e dice a Frodo che se la sua missione avrà successo il potere dei tre anelli elfici svanirà, insieme alla magia che preserva Lothlorien intatta. Gli Elfi stessi dovranno abbandonare per sempre la Terra di Mezzo, altrimenti si ridurrebbero ad un “rustico popolo di valle e caverna” che verrebbe spazzato via dalle maree del tempo, dimenticando e venendo dimenticato.

Dopo i primi scritti la confusione terminologica tra Elfi e Fate venne del tutto abbandonata, insieme alle caratteristiche ereditate dalla visione romantica, ma tutto ciò avvenne in un lungo periodo.  Secondo Dimitra Fimi negli Anni ’30 Tolkien modificò gradualmente, ma irreversibilmente la propria produzione artistica; ciò deriverebbe dalla combinazione di diversi fattori: il cosiddetto nazionalismo inglese era definitivamente tramontato negli orrori della guerra, insieme all’immaginario vittoriano ed edoardiano popolato di elfi e fatine; l’esigenza di creare una mitologia per l’Inghilterra divenne quindi meno pressante. Nello stesso tempo Tolkien, ormai padre, iniziò a comporre opere per divertire i propri figli, ricavandone anch’egli un enorme godimento; poté nascere così Lo Hobbit, con il suo personaggio principale: Bilbo Baggins, che non avrebbe potuto trovare posto nella mitologia alta, così come questa era stata concepita all’inizio. La nostalgia espressa nei componimenti precedenti assunse un’altra forma:  gli Hobbit, i più “moderni” tra i personaggi tolkieniani, in quanto incarnano l’ideale della borghesia rurale, manifestano la nostalgia personale e biografica per quella campagna inglese che il Professore aveva conosciuto nella sua infanzia nel Warwickshire e che andava scomparendo dopo la Guerra.

Secondo Patrick Curry, d’altronde: «Sia anglosassone, feudale o moderna, la “naturalezza” bucolica e organica degli hobbit fa parte chiaramente della lunga tradizione della letteratura inglese di nostalgie pastorali o rurali che esaltano un tempo lontano nella quiete del mondo, quando c’era meno rumore e più verde»[6]. Nostalgia di una vita più semplice e naturale, quindi, ma anche e soprattutto, come si evince dalle descrizioni dei boschi e della foresta, quella di un cosmo come un’unità, un organismo al contempo reale, vivo e sacro. 

Tuttavia Bilbo e Frodo non sono Hobbit qualsiasi, vi è in loro la nostalgia per un Oltre, che si manifesta anche in Sam nel “desiderio di andare a vedere gli Elfi”.

Vi è quindi un profondo bilanciamento tra la “desiderabilità” di un mondo ove esistano i draghi,come afferma Tolkien nel suo saggio Sulle fiabe,[7] e il sentirsi ancorati alle proprie radici che affondano nella “buona terra della Contea”. Desiderio di fuga verso “pazze avventure” e desiderio di ritorno alla casa e al focolare.

 E’ importante notare che alla fine del suo racconto, e nonostante vari accenni ad altre realtà, Tolkien ritorna saldamente al nostro mondo. Sam esprime  d’altronde più volte «la nostalgia per le piccole cose semplici che hanno il potere magari per un attimo di attenuare la  vera grande nostalgia che c’è in noi e che invece viene vissuta ed espressa in modo particolare dagli Elfi». [8]

Nel suo mondo secondario, infatti, il tema della nostalgia si incarna negli Elfi: la malinconia per il trascorrere del tempo, che sciupa e invecchia ogni cosa, si unisce negli Eldar al sentirsi degli esuli nella Terra di Mezzo. Da un lato rimpiangono l’eterno presente e lo splendore immutabile delle Terre Imperiture, loro patria perduta a cui anelano di tornare,  e dall’altra ricordano e custodiscono le ere passate della Terra di Mezzo, che non possono più rivivere, poiché il cambiamento é proprio di tutta la realtà. Immortali in un mondo che non lo è, vivono la loro condizione cercando di ritardare e limitare la decadenza di ciò che li circonda.

In una lettera, Tolkien afferma che gli Elfi non sono tuttavia completamente nel giusto, in quanto  rischiano di essere degli “Imbalsamatori”poiché, nel loro desiderio di voler mantenere il mondo immutato, si  rinchiudono nel passato e vorrebbero fermare la storia, mentre il peccato degli Uomini consiste nel voler fuggire la morte attraverso la volontà di potenza.

«La loro tentazione (degli Elfi) è diversa: una pigra malinconia, appesantita dalla memoria, che li conduce a tentare di fermare il tempo»[9]

Il desiderio di per sé non è malvagio: tutti noi vorremmo che ciò che amiamo duri per sempre,  ma anche questo non è possibile e costituisce una tentazione: in Arda corrotta il divenire non può essere annullato.

La nostalgia che caratterizza gli Elfi è in parte però anche un tratto che appartiene al loro autore. Si potrebbe sostenere infatti che vi sia in lui una sorta di dualismo tra ragione e sentimento. In quanto cristiano, il Professore si rendeva conto che rinchiudersi nel rimpianto per un passato mitico e indefinito rischia di distogliere l’uomo dai suoi veri compiti e che la storia ed il cambiamento non sono di per sé un male, ma una necessità; tuttavia, a livello emotivo, viveva profondamente il sentimento della nostalgia: la convinzione razionale non poteva impedire che l’inclinazione del cuore si volgesse comunque verso il tempo del mito che Tolkien andava, sì, costruendo, ma come egli stesso affermò più volte, gli pareva piuttosto di “scoprire” che di “inventare.

Egli infatti non abbandonò mai del tutto questo sentimento, come dimostrano le due opere incompiute di viaggi a ritroso nel tempo: The Lost Road[10] e Club Notion Piper[11]

 Da The Lost Road (La Strada Perduta- traduzione libera)

«Considerando i trenta ultimi anni della sua vita, credeva di poter dire che il suo desiderio più costante, benché spesso dissimulato o represso, era stato fin dall’infanzia quello di tornare indietro. Di camminare nel Tempo, forse, come gli uomini camminano su lunghe strade; (….) perlomeno di vedere con i suoi propri occhi e udire con le sue orecchie: vedere l’antica configurazione del paese, e anche delle terre dimenticate, di veder camminare gli uomini di un tempo, e di udire le loro lingue come le parlavano, nei giorni prima dei giorni, quando esistevano lingue di origine sconosciuta nei regni scomparsi da molto tempo sulle rive dell’Atlantico. Ma non poteva far nulla neppure di questo desiderio, neppure di questo.(…)

«Mi piacerebbe che ci fosse una “Macchina per viaggiare nel Tempo”, disse ad alta voce. Ma non si può padroneggiare il Tempo con delle macchine. E tornerei indietro, non andrei avanti; e credo che tornare indietro sarebbe più fattibile.»

La nostalgia espressa dal professore-filologo riguarda il passato, ma un passato che non si può raggiungere attraverso le macchine, ma soltanto attraverso lo studio del linguaggio e l’Immaginazione Creatrice. Il confine tra il mondo della realtà  ed il Regno Incantato, il mondo delle fiabe, è di natura temporale e non geografica ed è scandito dalla formula “C’era una volta…”

Nel commento alla sua ultima opera Fabbro di Wotton Major [12]lo scrittore, ormai anziano, cerca di conciliare lo spazio ed il tempo umani con quelli di Faërie: il Reame Incantato a cui si possono ricondurre le Terre Imperiture del Legendarium.  Nel saggio che accompagna la stesura del racconto Tolkien cerca di motivare come questi possano coesistere: ognuno occupa un tempo ed uno spazio differenti, o con modalità diverse pur essendo contigui. La questione del diverso trascorrere del tempo viene trattata esaurientemente e Tolkien sostiene di non ritenere che un istante nel reame fatato equivarrebbe a centinaia di anni del nostro mondo, come rappresentato nel folklore; piuttosto gli sembra più valido il contrario: benché il protagonista del suo racconto si allontani per  pochi giorni, compie esplorazioni e vive avventure nel “Reame Periglioso”che richiederebbero mesi o anni, proprio come accade nei sogni. Ciò significa che è sempre possibile viaggiare in quei reami, seppur sia sempre necessario ritornare nel mondo primario.Smith of Wotton Major rappresenta non soltanto l’addio di Tolkien alla produzione artistica e creativa, ma anche una sorta di pacificazione rispetto al sentirsi sospeso tra due mondi, quello ordinario e quello di Faërie, espresso nella sua subcreazione; in conclusione l’autentica strada verso il Tempo del Mito, verso il quale non possiamo non provare attrazione e nostalgia, è quella che passa attraverso il linguaggio e la creazione artistica.


[1] M. Eliade, Trattato di storia delle religioni,Boringhieri, Torino 1976, p. 395.
[2] R.Kipling, Puck il Folletto,Adelphi, Milano 2003
[3] J.R.R. Tolkien, Racconti perduti, Bompiani Milano 2008, p.347
[4] Idem, p.373
[5] Idem, p.389
[6] P. Curry, “Meno rumore e più verde”. L’ideologia di Tolkien per l’Inghilterra,-,  traduzione autorizzata di Roberto Di Scala  di “Less Noise and More Green” : Tolkien’s Ideology for England  ,in Aa.Vv. (a c. di P.Reynolds e G.Goodnight), Proceedings of the JRR Tolkien Centenary Conference, The Tolkien Society & The Mythopoeic Press, Milton Keynes and Altadena, 1995,pp 126-138
[7] J.R.R. Tolkien, Sulle fiabe, in il Medioevo e il fantastico,c c. di Christopher Tolkien, Bompiani, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, p.201
[8] G. Spirito, La nostalgia di Legolas, in Tra San Francesco e Tolkien,Il Cerchio, Rimini 2003, p.87
[9] J.R.R. Tolkien, La Realtà in trasparenza, Lettere 1914-1973, trad. it. di C. De Grandis, Rusconi, Milano 1990,Lettera n.208, p.302
[10] J.R.R. Tolkien, The Lost Road and Other Writings, a cura di Christopher Tolkien, HoMe vol 5, HarperCollinsLondon 2002,p.49 e p.52
[11] J.R.R. Tolkien,Notion Club Papers in Sauron Defeated: the End of the Third Age, a cura di Christhopher Tolkien, HoME vol9, HarperCollins, London 1992
[12] J.R.R.Tolkien, Il Fabbro di Wootton Major, Bompiani,Milano 2005

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Seguici

Seguici su Spotify e Youtube

Cari amici,
con “Aleksandr Solženicyn: vivere senza menzogna”, primo episodio del podcast “Radio Ricognizioni. Idee per vivere senza menzogna”, il nostro sito potrà essere seguito anche in video e in audio sulle due piattaforme social.

Podcast

Chi siamo

Ricognizioni è nato dalla consapevolezza che ci troviamo ormai oltre la linea, e proprio qui dobbiamo continuare a pensare e agire in obbedienza alla Legge di Dio, elaborando, secondo l’insegnamento di Solženicyn, idee per vivere senza menzogna.

Ti potrebbe interessare

Eventi

Sorry, we couldn't find any posts. Please try a different search.

Iscriviti alla nostra newsletter

Se ci comunichi il tuo indirizzo e-mail, riceverai la newsletter periodica che ti aggiorna sulla nostre attività!

Torna in alto