Vietato fare il bagno vestiti. Il comune senso del pudore secondo la Lega

“Inaccettabile il bagno vestiti”: questo il titolo di un giornale che sarebbe stato sicuramente l’oggetto dell’arguta ironia di Giovannino Guareschi. In tempi più civili, sarebbe stato inaccettabile fare, al contrario, il bagno nudi, che invece da molto tempo è diventato qualcosa di accettabile, lecito, normale.

Tuttavia, il bagno vestiti è qualcosa di anomalo, a meno che uno finisca accidentalmente in acqua. Non è simpatico né gradevole entrare in mare, o in un lago, con indosso i jeans o una camicia. Soprattutto per il post-bagno. Indossare capi di abbigliamento di questo tipo intrisi d’acqua non va proprio bene, anche se ci fosse la possibilità di cambiarsi integralmente.

Tuttavia, questo grido d’allarme per una possibile nuova moda non riguarda chi avesse la bislacca idea di farsi quattro bracciate con indosso maglietta e pantaloni: per “vestiti” si intende infatti dei costumi che non siano i bikini o gli slip di comune uso balneario.

Il grido di allarme e di dolore si è alzato dal sindaco leghista di Monfalcone, la leghista, Anna Maria Cisint. La prima cittadina ha stigmatizzato come “inaccettabile il comportamento degli stranieri musulmani che entrano abitualmente in acqua con i loro vestiti: una pratica che sta determinando sconcerto e che crea insopportabili conseguenze alla salvaguardia del decoro”. Sinceramente ci sembrano ben altri i comportamenti e le manifestazioni in cui si lede il “decoro” da tempo in molte città italiane.

Per far cessare la pratica di accedere all’arenile e al mare vestiti, la signora Cisint annuncia che intende “applicare questi principi con un apposito provvedimento a tutela dell’interesse generale della città e dei nostri concittadini. Chi viene da realtà diverse dalla nostra ha l’obbligo di rispettare le regole e i costumi – aggiunge -. La pratica di accedere sull’arenile e in acqua con abbigliamenti diversi dai costumi da bagno deve cessare”.

Quello di Monfalcone non è il primo caso, nel corso di questa estate, che vede esponenti della Lega impegnati a difendere il diritto alla nudità e ai “costumi” di tipo Occidentale.

Sabato 8 luglio, a un Acquapark di Limbiate, in provincia di Monza e Brianza, avrebbe dovuto svolgersi una festa nelle piscine per donne musulmane, donne di tutte le età, comprese le bambine. Il complesso sarebbe stato regolarmente affittato e pagato. Invece è diventato un caso politico. C’era qualcosa che non stava bene a determinati esponenti politici, anche qui della Lega.

L’evento infatti era riservato solo alle donne, e alle donne di fede musulmana, che hanno un senso del pudore che purtroppo nell’Europa cristiana è scomparso da almeno cinquant’anni. Se negli anni ’60 qualche associazione femminile avesse voluto organizzare un evento per sole donne, nessuno avrebbe avuto niente da ridire, e infatti questa era la norma, così come i ritrovi associativi per soli uomini, come ad esempio gli ex commilitoni d’arma, che avvengono normalmente anche oggi.

Per le signore di fede musulmana, magari osservanti, può essere abbastanza imbarazzante andare nelle odierne spiagge, o piscine, che sono spesso una esibizione ostentata di carne umana con costumi ridottissimi, quando non addirittura in topless. Per cui niente di meglio che passare una bella giornata di sano divertimento nel rispetto del senso del pudore dell’Islam, che – ripetiamo – è lo stesso che aveva la nostra società quando era ancora cristiana. Inoltre- essendo tra sole donne, le signore avrebbero potuto stare senza hijab, cioè senza il velo che copre solo i capelli.

Ma l’evento assolutamente innocente è stato bloccato dal veemente intervento della europarlamentare leghista Isabella Tovaglieri, che ha saputo dell’evento (che pure doveva essere una festa privata) e ha lanciato il suo grido d’allarme per “un party all’insegna della segregazione”. L’esponente del Carroccio si era detta preoccupata soprattutto per la presenza delle bambine, “che, in questo modo, vengono indottrinate prematuramente e in modo subdolo, anche attraverso un’occasione di svago, alla segregazione e alla sottomissione”. Ma quale segregazione? E sottomissione a chi? Semmai educate ai valori di rispetto per la religione. La compagna di partito di Zaia ha affermato che non possiamo più accettare che “gli immigrati musulmani si vogliano isolare dalla società in cui hanno scelto di vivere, perpetuando usi e costumi incompatibili con i nostri, che stridono con le conquiste e con i diritti faticosamente raggiunti dalle donne in Occidente”.

Ma quale isolamento? La festa era in un Acquapark, non in una Madrasa. Rappresentava l’accettazione di una forma di divertimento europeo e occidentale, ma vissuta nel rispetto delle proprie norme morali. Che male potevano fare con indosso gli eleganti costumi da bagno usati nel mondo musulmano? Così come i bagnanti di Monfalcone. E poi c’è questo uso di categorie veterofemministe, che rendono difficile distinguere queste esponenti leghiste dalla Schlein: di quali diritti delle donne in Occidente si parla? Che le donne musulmane imparino bene la lezione dell’Occidente, e si convertano al gender fluid.

Nei giorni in cui in Francia emerge con drammaticità il totale fallimento delle politiche di assimilazione degli immigrati condotte all’insegna della totale laicità, che hanno prodotto disadattamento e violenza, questi segnali che vengono da certo mondo politico di scarso rispetto per i princìpi religiosi, sono piuttosto preoccupanti. Sono l’indice di una totale assimilazione all’Occidente nihilista e gaio, che non rispetta né l’Islam né tantomeno il Cristianesimo, e ha in odio la morale tradizionale dell’una e dell’altra religione.

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