Considerazioni sul concilio Vaticano II – di Piero Vassallo – prima parte

giovanni xxiii

di Piero Vassallo  –  prima parte

1. – Abbagli e illusioni della vigilia
giovanni xxiiiNella seconda metà degli anni Cinquanta, solo gli esponenti cattolici fedeli alla dottrina ortodossa e perciò indenni dall’influsso della chiacchiera giornalistica, osavano proporre una lettura realistica e anticonformistica dei segni del tempi, nei quali si contemplava l’inarrestabile movimento sovietico di liberazione. “Liberazione” che Pio XI aveva puntualmente definito “rimedio peggiore del male”.
Esponenti e guide della minoranza refrattarie alle illusioni e ai miraggi di giornata erano i cardinali Ernesto Ruffini, Alfredo Ottaviani e Giuseppe Siri, e i filosofi Cornelio Fabro, Antonio Messineo, padre Julio Meinevielle, Michele Federico Sciacca e Augusto Del Noce.
Alcuni di loro previdero la metamorfosi nichilista della dottrina di Marx. Il card. Siri, in una conversazione con padre Candido Capponi, annunciò addirittura lo sfacelo dell’Unione sovietica. Padre Meinvielle rivelò la presenza di suggestioni neognostiche operanti nel cuore dell’avanguardia atea. Altri si resero conto che nel pensiero francofortese era  in atto la metamorfosi nichilistica della libertà immaginata dagli  insorgenti contro la morale cristiana e il diritto naturale.
Dal suo canto Fabro dimostrò che solamente la filosofia di San Tommaso d’Aquino era in grado di sopravvivere alle catastrofi mentali avvenute nel xx secolo.
Fedeli all’insegnamento dell’enciclica Humani generis di Pio XII, i difensori dell’ortodossia erano convinti dell’irriducibilità del pensiero moderno al Vangelo. Pertanto essi rimanevano saldi nella tradizionale opposizione della fede al mondo.
Purtroppo gli avvertimenti degli anticonformisti ebbero una mediocre accoglienza in un ambiente già alterato e flagellati da incontrollabili stati d’animo: infondata stima delle  idee professate dall’avversario, rispetto umano, tracotante faciloneria, ammirazione della propria superficialità,  insofferenza dell’autorità di Pio XII.
Misura della demenziale anarchia strisciante fra i cattolici modernizzanti è la confessione di Giuseppe Alberigo, il quale confidò (a un giornalista del Corriere della Sera) di aver recitato (insieme con un frate benedettino!) il rosario per invocare la morte di Pio XII, giudicato ingombro sulla via del rinnovamento cattolico.  
L’origine dell’appiattimento in scena nell’area cattolica durante gli anni del pre-concilio è stata  ricostruita da Cornelio Fabro “L’attività frenetica dei mezzi di comunicazione, l’invasione della società del benessere, l’affievolimento degli interessi speculativi, lo studio diretto dei classici del pensiero contrastato da una valanga di enciclopedie, dizionari e pubblicazioni di facile volgarizzazione e di altrettanto facili illusioni: tutte queste cose hanno non solo stordito il pubblico dei fedeli ma intimorito la stessa autorità, che ha dato l’impressione di non essere sempre in grado di fronteggiare con nuove proposte siffatto cataclisma, tuttora in atto” (Cfr. “Introduzione a san Tommaso”, Ares, Milano, 1997, pag. 286).  
I tamburi dei giornalisti aggiornati (ad esempio Raniero La Valle, Sergio Zavoli, Giancarlo Vigorelli, Piero Pratesi) rullavano senza sosta. Priva delle necessarie difese immunitarie il popolo della dimezzata cultura cattolica era posseduto dalla convinzione dell’ineluttabile trionfo del comunismo sovietico. Il nuovo Costantino era contemplata attraverso lenti zuccherose, che oscuravano la memoria dell’olocausto ucraino (l’Holomodor)  e nascondevano l’atroce presenza del gulag nei territori amministrati dal buon Kruscev.
Ingannato dalla diceria dei giornalisti e dei teologi da loro aggiornati, perfino il Beato Giovanni XXIII fu vittima dell’abbaglio e confidò a padre Roberto Tucci di giudicare Kruscev animato da buone intenzioni. (Cfr.: Roberto De Mattei, “Il Concilio Vaticano II Una storia mai scritta”, Lindau, Torino 2010, pag. 286).
La fine dell’età costantiniana era annunciata con squilli “teologici” intonati alla festosa preparazione del compromesso col vincitore sovietico. Non a caso Giuseppe Dossetti, futuro segretario del card. Giacomo Lercaro, uno fra i più risoluti esponente dei progressisti attivi nel Vaticano II, durante gli anni Quaranta e Cinquanta fu il capo di una corrente democristiana favorevole all’apertura ai comunisti.
La maggioranza del clero e del laicato militante seguiva le indicazioni di Jacques Maritain, un autore  che si era formato nel movimento di Charles Maurras e Henri Massis. Negli anni della sua attività nella destra francese, Maritain aveva scritto alcuni saggi che fanno tuttora parte della buona biblioteca cattolica, ad esempio “Antimoderno” e  “Tre riformatori Lutero, Cartesio, Rousseau”. Opere al loro tempo ammirate dai giovani lettori Giovanni Battista Montini e Giuseppe Siri.
Nel saggio “Umanesimo integrale”, Maritain considera una più vasta prospettiva e sostiene la presenza di ragioni cristiane nel cuore delle rivoluzioni moderne. Una tesi che fu  in seguito tradotta (con qualche forzatura) nella strategia del compromesso storico.
La tesi sulle parziali (e insufficienti) ragioni delle ideologie è ovvia. Ad esempio: è vero che l’illuminismo rivendica i diritti della ragione ma è innegabile che la rivendicazione unilaterale  della ragione colpisce la fede e ghigliottina le monache di Compiègne e di Orleans.
Forse Maritain non fu del tutto chiaro nell’esposizione della sua tesi. Forse fu troppo indulgente con la rivoluzione comunista e troppo intransigente con la destra degli anni Trenta.
Certo è che fu erronea la conseguenza che dalla sua opera trassero i lettori schierati a sinistra: essi non videro la parzialità delle ragioni e – sopra tutto – la insostenibilità delle conclusioni rivoluzionarie  
L’incensato Pierre Teilhard de Chardin, il gesuita proibito, sentenziò che “Arrestare il movimento moderno è soltanto un tentativo impossibile poiché tale movimento è legato allo sviluppo stesso della coscienza umana”.
La teologia irenistica, che ispirava il progetto di moderare e accorciare la dottrina cattolica per adeguarla alle presunte istanze dell’uomo moderno, peraltro era stata confutata nel 1920 da un predecessore di Siri, il cardinale arcivescovo di Genova Tommaso Pio Boggiano.
Il puntuale giudizio dell’insigne presule rammentava che “La dottrina cristiana, espressione della verità di Dio sulla terra, non può essere né divisa ne scissa. Essa è la tonaca inconsutile, essa è tutta di un pezzo. Dio, Gesù Cristo, Chiesa, Papa, i diritti che Dio ha dato alla Chiesa e al Papa, formano un tutto unito, un complesso di cose inseparabili e, quello che è da tenersi ben presente, affatto indipendenti dalla volontà degli uomini. Volere solamente una parte di ciò che è volontà di Dio, volere solo un po’ di cristianesimo e pretendere così di stare bene con Dio, di essere chiamati suoi soldati e suoi cavalieri, è cosa impossibile. In questa materia: o tutto o niente.  Il Vangelo non contiene un solo capitolo, un solo versetto, che sia una superfetazione e che possa quindi essere a nostro piacimento tolto o trascurato” (Cfr.: “Un vescovo contro la Democrazia Cristiana”, Verrua Savoia 2008.
Purtroppo le tesi degli integralisti furono travolte dall’onda alta e inarrestabile della dolcezza teologizzante. La rumorosa emergenza della teologia conformista, generata da uno stupore disarmato davanti a figure ideologiche già fatiscenti e destinate ad essere travolte e sepolte a Berlino, costituisce motivo di umiliante disagio per la memoria cattolica.
Durante gli anni Cinquanta e Sessanta il potere della suggestione era diventato a tal punto influente che perfino un uomo cauto e scrupoloso come Giovanni XXIII dichiarò ammirazione “per il meraviglioso progresso del genere umano”, in pratica per le conquiste vantate dai propagandisti della rivoluzione illusionista.  
Giovanni XXIII riteneva, in buona fede, che si potesse giudicare addirittura avvenuto “l’ingresso in una nuova età, la quale, fatta salva la sacra eredità trasmessaci dalle generazioni precedenti mostra un meraviglioso progresso nelle cose che riguardano l’animo umano”.
Ora nell’Allocuzione inaugurale del Vaticano II, Gaudet Mater Ecclesia, papa Roncalli, forse consigliato dall’ottimismo esagerato di suggeritori intemperanti, tratteggiò due scenari divergenti: un Concilio indirizzato alla risoluta, intransigente conferma dei dogmi (“il Concilio deve condurre ad un sempre più intenso rafforzamento della fede”) e un Concilio orientato ad evitare la condanna degli errori moderni, visto che “ormai gli uomini da se stessi sembra siano propensi a condannarli” (Cfr.: Paolo Pasqualucci, “Giovanni XXIII e il Concilio Ecumenico Vaticano II Analisi critica della lettera, dei fondamenti, dell’influenza e delle conseguenze della Gaudet Mater Ecclesia, Allocuzione di apertura del Concilio, di Giovanni XXIII”, Editrice Ichtis, Spadarolo Rn 2009).
Nel primo scenario è il fedele ritratto del Concilio Vaticano II. Nel secondo scenario sono descritte le illusioni che suscitarono estenuanti discussioni nel Concilio e rovinose fughe in avanti nel post-concilio.

(continua)

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